Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Agli inizi del Settecento gran parte dell’Europa è - sia pur nei diversi regimi - un’unica comunità, con frequenti legami dinastici e identici principi politici; il sostanziale equilibrio sembra rompersi con le guerre di successione in cui Francia, Inghilterra, Impero asburgico e Spagna si scontrano e si accordano a spese degli Stati più piccoli e deboli ottenendo uno stabilizzarsi delle relazioni rotto solo dalla “guerra dei Sette anni”, che inaugura un nuovo periodo di incertezza. È, questa, la prima “guerra mondiale” e mostra come ciò che accade nelle colonie sia essenziale per gli stati europei: e mentre il commercio mondiale diventa affare quasi esclusivo della Gran Bretagna, che lo domina, proprio dalle tredici colonie arriva la sfida più pericolosa al sistema imperiale, giungendo fino all’indipendenza americana. Ma è lo scoppio della Rivoluzione francese, con i suoi sconvolgenti principi, a determinare la fine dell’ordine settecentesco: che, irrimediabilmente e definitivamente, sfiorisce nel diffondersi dell’“infezione” e nel cambiare dell’atlante.
L’equilibrio europeo
Fino alla guerra dei Sette anni, che innesca la crisi nel vecchio sistema di equilibrio inaugurando un trentennio di incertezza diplomatica e che Winston Churchill definirà la prima, vera “guerra mondiale”, le esigenze di difendere il principio dinastico – nel perdurare di una concezione patrimoniale dello Stato – rendono possibile il permanere dei consueti meccanismi di gestione dei problemi e delle relazioni, in una sostanziale unità di scopi ed intenti: secondo Voltaire, l’Europa in quegli anni è una comunità differenziata solo dal punto di vista dei regimi politici, ma le sue parti sono in reciproca comunicazione, hanno identici princípi politici e di diritto pubblico. Nel 1758 il filosofo e giurista Emmerich de Vattel scrive nel suo Les droits des gents: “l’Europa moderna è una sorta di repubblica, i cui membri, indipendenti l’uno dall’altro ma legati tutti da un comune interesse, si uniscono per il mantenimento dell’ordine e la conservazione della libertà. È questo che ha dato origine al ben noto principio della bilancia del potere, espressione che designa un assetto degli affari tale che nessuno Stato possa avere un’assoluta supremazia e dominare sugli altri”. Né vanno dimenticati, peraltro, i consueti legami di parentela che avviluppano il vecchio continente – e conseguentemente le colonie a esso legate – in una complessa, ma interconnessa, rete familiare: l’equilibrio è, sostanzialmente, dinastico tra la Francia, alleata con una Spagna ormai in decadenza e alcuni Stati germanici (soprattutto la Baviera), e gli Asburgo d’Austria, sostenuti dall’Inghilterra e dalle Province Unite.
Ma le guerre di successione sembrano rompere, nel loro aggregare e disaggregare porzioni di territorio al fine del mantenimento del sistema senza tenere in alcun conto le appartenenze territoriali e culturali in nome di una superiore legittimità dinastica, la complementarietà realizzata: Francia, Inghilterra, Impero asburgico e Spagna si scontrano e si accordano a spese degli Stati più piccoli e deboli che l’equilibrio avrebbe dovuto salvaguardare. Nel breve periodo, le conseguenze non sono ovunque negative, né il sistema si decompone: per esempio, dopo l’acquisizione da parte degli Asburgo d’Austria di quasi tutti i domini spagnoli, l’ascesa del Ducato di Savoia e le modificazioni degli equilibri territoriali europei – apportate dopo la guerra di successione polacca, con il passaggio del Regno di Napoli a un ramo della dinastia dei Borbone – la penisola italiana gode di un lungo periodo di tranquillità in seguito alla pace di Aquisgrana (1748).
Per circa mezzo secolo il territorio continentale si trova infatti stabilmente in equilibrio, pur conoscendo qualche dislocazione: gli Asburgo-Lorena sono riconosciuti come legittimi sovrani dell’impero e dei possessi della casa d’Austria, ma devono rinunciare alla Slesia a favore della Prussia, con la quale avevano già concluso una pace separata, mentre la Francia abbandona i territori occupati neiPaesi Bassi austriaci e nelle Province Unite, ma ottiene che il Ducato di Parma e Piacenza passi a un ramo dei Borbone diSpagna, gli stessi che governano il Napoletano. L’ascesa di nuove forze politiche nell’Europa centrale e nordorientale e il venir meno della centralità della penisola italiana negli equilibri internazionali non sono però percepiti dai contemporanei: la diplomazia si muove ancora sui vecchi binari della rivalità tra Borbone e Asburgo e non si appalesano mutamenti che possano rompere una gerarchia in equilibrio ma cambiano – e non ovunque – i suoi soggetti. La rottura avviene altrove e contamina solo successivamente il Vecchio Continente.
La guerra dei Sette anni
Gli interessi coloniali e la lotta per la conquista dell’egemonia al di fuori del Vecchio Continente progressivamente diventano determinanti nei rapporti di forza tra le potenze europee: la pace di Aquisgrana, infatti, si rivela incapace di risolvere i conflitti coloniali anglo-francesi specialmente in un sistema mondiale che si incardina e sostiene sempre più sul controllo del commercio internazionale. Non è la guerra che sposta il proprio teatro lontano dall’Europa, come altre volte era accaduto; piuttosto, è l’aumento dell’integrazione economica, il suo globalizzarsi in un unico e interconnesso sistema a rendere ciò che accade nelle colonie, nell’affacciarsi del cameralismo, essenziale per gli Stati del Vecchio Continente. D’altra parte il trattato firmato ad Aquisgrana, lasciando la Francia a contrastare l’Inghilterra nelle colonie e l’Austria di fronte all’affiorare della potenza prussiana, non può condurre a una stabilità duratura del sistema: così nella prima metà degli anni Cinquanta aumentano gli attriti tra le colonie britanniche dell’America del Nord e gli stanziamenti francesi in Canada e in Louisiana, insieme alla concorrenza nei Caraibi per il commercio dello zucchero e all’espansione francese in India, in seguito al disfacimento dell’Impero moghul.
A complicare il quadro internazionale, alla situazione di guerra non dichiarata che caratterizza i rapporti Francia e Inghilterra, nel 1755 si aggiunge la volontà manifestata da Maria Teresa d’Asburgo di rientrare in possesso della Slesia, occupata da Federico II di Prussia.
Il 16 gennaio 1756 Inghilterra e Prussia stipulano l’accordo di Westminster, con cui Federico si impegna a difendere l’Hannover da un eventuale attacco francese. Con questo trattato Federico II si libera dalla morsa della duplice alleanza inglese con la Russia e con l’Austria, mentre l’Inghilterra sottrae un alleato alla Francia, principale ostacolo alla propria egemonia marittimo-coloniale. Il 1° maggio 1756 Luigi XV, temendo l’isolamento, firma un accordo con l’Austria, cui si associano la Russia, la Polonia, la Svezia e l’elettore di Sassonia ponendo dunque fine alla tradizionale inimicizia degli Asburgo e dei Borbone.
La guerra dei Sette anni nelle colonie e in Europa
La guerra viene dichiarata nell’agosto del 1756, quando l’invasione della Sassonia da parte di Federico II di Prussia provoca la reazione dei Franco-Austriaci; ma già da due anni le scaramucce di confine nelle colonie del Nord America sono sfociate in una guerra aperta e quello europeo è solo uno dei teatri che si aggiunge e neanche il più cruento.
Mentre l’attacco di Federico II viene respinto, le forze francesi si impadroniscono dell’isola di Minorca e invadono l’Hannover, costringendo l’esercito inglese alla capitolazione nell’estate del 1757. L’opinione pubblica inglese insorge e chiede la nomina di William Pitt, esponente del gruppo “patriota” che propone un disimpegno nelle questioni continentali e una strenua difesa degli interessi marittimi e commerciali del Paese. La caduta di Louisbourg nel 1758 apre la strada alla conquista inglese della colonia: nel 1760 Montréal si arrende, e tutti i possedimenti francesi vengono ceduti al Regno britannico l’8 settembre 1760, per mano del marchese di Vaudreil. Nel 1759 l’isola di Guadalupa, nelle Antille, viene espugnata dagli Inglesi e anche in India i Francesi subiscono una dura sconfitta. Nel 1761 viene stipulato il “patto di famiglia” fra Luigi XV e Carlo III con lo scopo di unire politicamente ed economicamente i vari rami dei Borbone – in particolare le monarchie di Francia e Spagna – e di preparare un’alleanza contro l’Inghilterra. L’entrata in guerra dellaSpagna non muta però le sorti del conflitto: negli ultimi anni di guerra gli Inglesi conquistano anche la Florida, L’Avana nelle Antille e inviano una spedizione nelle Filippine.
Intanto, con la dichiarazione di guerra dell’Inghilterra alla Francia (17 maggio 1756) prende ufficialmente inizio una guerra già da tempo carsicamente in atto tra le due potenze. In America settentrionale i generali francesi Montcalm e Vaudreuil, benché privi di sostegno dalla madrepatria, riescono in un primo tempo a infliggere perdite agli Inglesi, conquistando la città di Oswego (14 agosto 1756). L’impegno inglese di uomini e risorse è invece massiccio, e non tarda a dare i suoi frutti: prima cade Luisburg (25 luglio 1758), assediata da 15 mila i soldati inglesi appoggiati da 14 navi; è quindi il turno delle fortezze di Fontenac e di Duquesne. Il generale Montcalm muore nella difesa di Québec (12 settembre 1759), e la flotta francese è quasi distrutta presso Belle-Isle (20 novembre 1759). Anche Vaudreuil infine, ritiratosi a Montréal, si deve arrendere l’8 settembre del 1760. In Europa Federico II riesce inizialmente a fronteggiare gli avversari, anche grazie all’efficienza del suo esercito, coeso da un lungo addestramento e da una rigida disciplina: nell’inverno del 1757 sconfigge i Francesi a Rossbach e gli Austriaci a Leuthen. Tuttavia nell’agosto del 1759 le sue armate vengono distrutte a Kunersdorf dall’esercito russo, che avanza fino a Berlino.
Solo la morte della zarina Elisabetta Romanova e la decisione del nuovo zar Pietro III di allearsi con la Prussia salvano Federico II da una probabile disfatta. Intanto, la scarsità di uomini e mezzi costringe anche Francia e Svezia ad abbandonare la coalizione. Il governo asburgico, rimasto solo e con una grave situazione finanziaria, è dunque costretto a intraprendere trattative di pace.
Le questioni territoriali europee vengono regolate dal trattato di Hubertusburg (15 ottobre 1763) che sancisce lo status quo ante, mentre quelle marittime e coloniali sono oggetto del trattato di Parigi (10 febbraio 1763).
Le conseguenze della guerra dei Sette anni e il nuovo equilibrio europeo
La pace di Hubertusburg sancisce il pieno riconoscimento della Prussia nel sistema europeo e il definitivo tramonto dell’idea relativa a un sistema di forze in equilibrio tra loro: l’equilibrio diventa parziale e locale. Così è anche per l’Europa dell’Est e per l’Oriente, dove l’ascesa della potenza russa verso il Baltico e in direzione dell’impero turco non viene contestata da Francia e Inghilterra.
Alla morte di Federico Augusto II di Sassonia, Imperoasburgico e Francia – assorbite dai problemi interni derivanti dalla crisi postbellica – non sono in grado di intervenire efficacemente nella questione della successione polacca: così la Russia, che durante la guerra dei Sette anni ne ha utilizzato il territorio come base per le operazioni militari, può imporre (con l’appoggio della Prussia) Stanislao Augusto Poniatowski.
La ribellione dei nobili e le inattese idee di riforma del nuovo sovrano provocano l’intervento militare russo: dal 1772 al 1795 le tre grandi potenze confinanti – Russia, Prussia e Impero asburgico – smembrano il territorio polacco a proprio vantaggio. La Polonia viene così cancellata dalla carta politica europea.
La guerra dei Sette anni sancisce, inoltre, la supremazia marittima e coloniale inglese: l’Inghilterra ottiene il Canada, il territorio della Louisiana a est del Mississippi, alcune isole delle Antille e le basi francesi del Senegal; la Spagna deve cedere all’Inghilterra la Florida e riceve in cambio dalla Francia il territorio della Louisiana a ovest del Mississippi, mentre in India la Francia perde ogni possibilità di espansione nella penisola. Nulla ormai sembrerebbe opporsi alla formazione di un impero territoriale britannico nelle zone strategiche del commercio mondiale, anche se dalle 13 colonie americane viene la sfida più pericolosa.
Il rapido sviluppo demografico ed economico di queste colonie e la partecipazione al conflitto franco-indiano fanno infatti prendere coscienza ai coloni della propria identità e della propria forza; inoltre, la pretesa inglese di volgere la produzione e il commercio coloniale a proprio vantaggio, ma anche i poteri attribuiti ai governatori e gli ostacoli frapposti all’espansione verso ovest, provocano un crescente malcontento. D’altra parte la guerra dei Sette anni, eliminando la presenza francese nella Louisiana e in Canada, rende meno indispensabile il sostegno politico-militare della madrepatria. Quando l’Inghilterra impone un maggiore contributo fiscale, i coloni dichiarano illegittima una tassazione approvata dai rappresentanti dei sudditi: il Boston Tea Party dà inizio alla guerra d’indipendenza americana. Il 3 settembre 1783, con la pace di Versailles, vengono riconosciuti gli Stati Uniti d’America.
Ma è lo scoppio della Rivoluzione francese con i suoi sconvolgenti princípi di politica estera – negazione del diritto di conquista, diritto delle popolazioni di aderire volontariamente alla compagine nazionale – e il pericoloso diffondersi di fermenti rivoluzionari inEuropa, oltre gli appelli e i tentativi controrivoluzionari degli emigrati, a segnare il definitivo tramonto dell’ordine settecentesco: non solo per il formarsi di una grande coalizione antifrancese in Europa, né per la dichiarazione di guerra all’Inghilterra da parte della Francia rivoluzionaria, cui non sono estranei anche interessi commerciali: nel mutare delle gerarchie, e dei soggetti, è un intero ordine che – irrimediabilmente e definitivamente – sfiorisce, nel diffondersi dell’“infezione” e nel mutare dell’atlante.