EQUI (Aequi, e gr. Αἷκοι, Αἷκλοι)
Stirpe italica strettamente imparentata Volsci finitimi. I tentativi di G. Colucci (Gli Equi, Firenze 1866) di dimostrarne l'origine osca riposano su un'iscrizione dubbia (Corp. Inscr. Lat., IX, pp. 683 e 388). Abitavano le montagne tra il lago Fucino e Rieti nelle valli dell'Imella e dell'Aniene. Virgilio fa una pittura vivace del loro carattere selvaggio (Aen., VII, 746 segg.). D'altra parte, secondo una tradizione antica, Anco Marzio ius ab antiqua gente Aequiculis, quod nunc fetiales habent descripsit (Liv., I, 32; Dion. Hal., II, 72). Livio (I, 55) accenna a un trattato di pace di Tarquinio il Superbo con gli Equi; nel 494 a. C. compaiono in veste di devastatori dell'agro romano.
Più noto è l'episodio di Cincinnato (v.), fissato al 458, quando gli Equi, sotto la guida di Clelio, da assedianti si trovano assediati e debbono passare sotto il giogo. Poco dopo, nel 443, un Equo, Cluilio (la stessa persona del Clelio vinto da Cincinnato) avrebbe guidato i Volsci all'assedio di Ardea ma, vinto, seguì il trionfo del vincitore. Nel 431 Aulo Postumio Tuberto vince sull'Algido gli Equi guidatì da Vezio Messio (Liv., IV, 27-29). Dopo quest'epoca vediamo diminuire l'attività bellicosa degli Equi, le cui velleità ostili debbono essere sfumate dopo la sconfitta gallica; a ogni modo nel 389 è ricordata una vittoria di Camillo su di loro a Bolae (Liv., VI, 2). Torna menzione degli Equi dopo la seconda guerra sannitica, nel 304, quando sono vinti e soggiogati definitivamente da Sempronio. Agli Equi è attribuita la civitas sine suffragio; colonie militari sono dedotte a Carseoli e Alba Fucente; altrove fu costituita una tribus Aniensis (Livio, X, 9). Nell'alta valle dell'Imella restò una parte dell'antico popolo col nome di Aequiuli (v. equicoli).
Bibl.: H. Nissen, Ital. Landeskunde, I, Berlino 1883, p. 514; Ch. Hülsen, art. Aequi, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, coll. 597-98; G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, pp. 115, 248, 340.