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EPITAFIO

di Gino Funaioli - Enciclopedia Italiana (1932)
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EPITAFIO (ἐπιτάϕιος)

Gino Funaioli

Con e senza λόγος o ἀγών, si adopera grecamente a denotare un discorso in onore di estinti; equivale dunque alla laudatio funebris dei Romani. Negli spiriti però s'identificano epitafio e laudatio solo in quanto ivi si esprime il culto dei morti; per il resto, l'epitafio è un portato dell'anima civica della πόλις, la laudatio dell'orgoglio della gens, del patriziato romano. L'uno è detto da un oratore a ciò pubblicamente deputato, in celebrazione d'un eroe o degli eroi della patria; l'altra dal figlio o, comunque, da un agnato del defunto, a esaltazione di lui e della gens; solo più tardi, col nascere del funus publicum nell'ultimo secolo a. C., anche da un magistrato. La costumanza del discorso funebre greco si fa risalire dalla tradizione storica al periodo delle guerre persiane, mentre la festa stessa, che a quello diede poi occasione, è certamente assai più antica; si riallaccia ai threnoi o lamentazioni per i morti, di cui il primo esempio per noi è quello in onore di Ettore nell'Iliade (XXIV, 720 segg.). Un magnifico saggio di simile eloquenza si legge in Tucidide (II, 35 segg.): è l'orazione di Pericle per gli Ateniesi morti sul campo di battaglia nel primo anno della guerra del Peloponneso. Con quale esattezza lo storico l'abbia riprodotta, non si può dire; è presumibile, comunque, che egli l'avesse udita, ed aveva poi modo di interrogare testimonî auricolari. Ma o che l'orazione dello storico sia molto vicina alla periclea, o che Tucidide vi abbia aggiunto motivi che pur sapeva di Pericle, e altri che da Pericle in questa occasione furono realmente pronunziati abbia svolti per conto suo, ciò che conta qui è lo spirito che vi parla. Pericle è l'oratore designato dalla pubblica legge, è il simbolo e l'incarnazione dell'idea di stato: l'eredità avita importa un obbligo morale, ed ecco che la mente va anzi tutto ai maggiori che prima difesero la libertà della loro terra e poi l'ingrandirono e crearono la maniera di governo e le arti, per cui Atene arrivò alla grandezza. Questo di Pericle è il modello classico d'un epitafio greco. L'unico rimastoci di autore indiscusso nella forma originaria, quello di Iperide, pronunziato nel 322 in onore dei caduti in guerra presso la città di Lamia in Tessaglia, risente, in uno scrittore semplice quale Iperide, della pompa che questa forma letteraria acquistò con la sofistica, a cominciare da Gorgia. Una simile impronta è già in Lisia, nell'orazione a lui attribuita per i morti della guerra corinzia, la quale sembra però essere una falsificazione, come autentico non era per gli antichi né è per i moderni l'epitafio, l'orazione sessantesima, di Demostene che si riferisce al momento dopo la vittoria di Filippo il Macedone sugli Ateniesi a Cheronea. D'altro genere e d'altri spiriti è la lode che Platone fa dire a Socrate o piuttosto ad Aspasia nel Menesseno (236 segg.) per i morti della guerra corinzia. Finita la πόλις, subentrano nell'uso interessi privati, e l'epitafio diventa una declamazione di parata; finché i Greci, e più tardi i cristiani, fan propria la maniera della laudatio funebris romana, e laudationes, vere o finte, entrano nel dominio della letteratura. Possediamo, dell'età imperiale, orazioni funebri di Dione Crisostomo, di Elio Aristide, di Gregorio Nazianzeno, di Ambrogio; di latine (v. anche elogio) altresì, ma solo frammentarie, quella di Adriano per la suocera Matidia, la laudatio Murdiae del sec. I d. C., e umanamente e storicamente importantissima la laudatio Turiae dell'età augustea, se le due ultime erano proprio laudationes, come è probabile.

Bibl.: Th. Thalheim, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 218 seg.; F. Blass, Attische Beredsamkeit, 2ª ed., I, Lipsia 1887, p. 436 segg.; II, 1892, p. 124 segg.; III, i, 1893, p. 404 segg.; H. Diels, Vorsokratiker, II, 3ª ed., p. 247 seg.; C. Martha, in Revue des deux mondes, XXI (1877), p. 654 segg.; F. Vollmer, in Jahrbücher für Philologie, Suppl. XVIII (1891), p. 446 segg.; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 992 segg.; F. Leo, Griechisch-römische Biographie, Lipsia 1901, p. 225 segg.; E. Weiss, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 994 segg.; G. Misch, Geschichte der Autobiographie, Lipsia 1907, p. 131 segg.

Vedi anche
Demòstene Uomo politico e oratore ateniese (384 a. C. - 322 a. C.). Partecipò alla vita pubblica di Atene, dedicandosi alla difesa delle libertà democratiche contro l'espansionismo di Filippo II di Macedonia attraverso un'intensa attività oratoria (Filippiche, 350-341; Olintiache, 349-348; Per la pace, 346) e ... epitaffio Iscrizione sepolcrale, spesso in forma di breve componimento in versi, che per lo più contiene anche le lodi del defunto. Storia Presso gli antichi Greci, discorso pronunciato da un oratore per celebrare gli eroi morti per la patria (diversa era la laudatio funebre romana, affidata a un figlio o a un ... panegirico Nell’antica Grecia si designava con il termine πανήγυρις ogni assemblea aperta a tutti e riunita essenzialmente per motivi agonistico-sacrali. Durante tali celebrazioni si tenevano i discorsi a cui si diede il nome di p. che, avendo carattere suasorio ed encomiastico, erano vicini all’epitaffio, all’encomio ... Epicuro Filosofo greco (Samo 341 - Atene 270 a. C.). Fondatore di una delle più importanti scuole filosofiche dell'età ellenistica, detta il "Giardino" (perché aveva sede in un giardino attiguo alla sua casa). Della sua opera, amplissima (essa comprendeva quasi 300 titoli), restano i frammenti di circa 9 libri ...
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Vocabolario
epitàffio
epitaffio epitàffio (o epitàfio; ant. pitàffio) s. m. [dal lat. tardo epitaphium, neutro sostantivato dell’agg. (già class.) epitaphius, dal gr. ἐπιτάϕιος «sepolcrale» e come s. m. «discorso funebre», comp. di ἐπί «sopra» e τάϕος «tomba»]....
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