epigrafe
La comunicazione nell'antichità
L'epigrafe è l'iscrizione, in prosa o in versi, incisa su un materiale solido: pietra, marmo o bronzo. Attualmente l'uso di epigrafi è limitato ad ambiti specifici, in particolare a quello funebre o commemorativo, mentre nel mondo antico questo mezzo di comunicazione era molto più diffuso e utilizzato anche in ambiti oggi di esclusivo appannaggio del libro, quale per esempio il campo legislativo
Poiché le iscrizioni venivano incise su materiali solidi non deperibili, abbiamo oggi a disposizione una quantità di testi epigrafici del mondo antico assai superiore rispetto a qualsiasi altro testo. Esistono epigrafi composte in tutte le lingue del mondo antico: per esempio, oltre al greco e al latino, l'etrusco, le varie lingue egiziane, e mesopotamiche, l'ebraico, il fenicio, l'aramaico e così via; pertanto la scienza che studia tali testi, ossia l'epigrafia, è a sua volta ripartita in altrettante branche.
I testi epigrafici vengono ordinati in base alla finalità per la quale venivano incisi. Le due tipologie più comuni sono le epigrafi sepolcrali e quelle che commemorano l'edificazione di monumenti. I testi si possono però distinguere anche in base ai committenti (iscrizioni pubbliche o private) o al tipo di linguaggio adottato (testi in prosa o in versi).
Per quanto riguarda l'Italia, la massa della documentazione epigrafica è in lingua latina. La più grande raccolta delle iscrizioni latine è costituita dal Corpus inscriptionum latinarum, che è un'opera immensa costituita dalla trascrizione di tutte le epigrafi rinvenute, iniziata a Berlino a metà dell'Ottocento da uno dei più importanti studiosi di storia antica di tutti i tempi, Theodor Mommsen, e tuttora in corso. Non esistono strumenti così imponenti per le iscrizioni composte in nessuna altra lingua.
Altre importanti raccolte di iscrizioni scoperte in Italia sono quelle relative alle lingue dell'Italia preromana, la più importante delle quali è certo il Corpus inscriptionum etruscarum, che raccoglie le iscrizioni redatte nella lingua, ancora oggi in gran parte misteriosa, degli Etruschi.
Incidere un testo su una pietra era un compito arduo, che richiedeva una grande tecnica e molta maestria, pertanto far incidere un'iscrizione risultava molto costoso. Per questo motivo il linguaggio delle iscrizioni ‒ che per sua natura è spesso ripetitivo o (per usare l'aggettivo giusto) 'formulare', utilizza cioè delle formule ricorrenti come per esempio "qui giace X Y" ‒ fa ampio uso di abbreviazioni che, se permettevano di risparmiare tempo e spazio sulla pietra, possono costituire oggi motivo di difficoltà per il lettore.
Per esempio, è normale trovare su iscrizioni latine sigle quali L P D D D, che sta per l(ocus) p(ublice) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) "il luogo [della sepoltura] è stato pubblicamente assegnato dai magistrati municipali [i decurioni] con un decreto". È tuttavia possibile trovare sigle molto più complesse di questa! A ciò si aggiunga che, a causa dell'uso dei Romani (Roma antica) di abbreviare sempre i nomi di persona, già gli antichi potevano avere difficoltà a leggere le iscrizioni: "È un Marius, un Marcius o un Metellus quello che giace qui? Nessuno può saperlo con certezza. Le lettere sono frammentarie, i caratteri risultano confusi e così ogni senso è scomparso" si lamentava già Ausonio, un autore del 4° secolo d.C.
Nell'incisione dell'iscrizione si devono distinguere due parti del lavoro. La prima, creativa, riguarda la redazione del testo e la sua disposizione nello spazio: è quella che oggi si direbbe 'impaginazione'. Una volta portata a termine questa prima parte, veniva scritto un cartone ‒ o modello ‒ che era poi affidato agli scalpellini, chiamati dai Romani lapicidi o quadratari. Costoro erano semplici operai, di condizione spesso modesta e talvolta praticamente analfabeti, che si limitavano a riprodurre meccanicamente sulla pietra i segni che vedevano scritti nei modelli, con l'ausilio di una quantità di strumenti, squadre e righelli, che troviamo talvolta rappresentati nelle stele funebri figurate di qualcuno di loro.