EPIFANIO (Epyphanius abbas)
Abate di San Vincenzo al Volturno (od. Comune Rocchetta e Volturno, prov. Isernia) dal 6 ott. 824 al 13 sett. 842, è ricordato nel Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni soprattutto per la sua attività edilizia e per l'incremento che diede al patrimonio fondiario dell'abbazia grazie alle donazioni ottenute dall'imperatore franco e da signori longobardi. Non mancano tuttavia in questa fonte altre notazioni che ci permettono di delineare meglio la sua personalità. Innanzitutto il cronista ci informa che E. non aveva fatto in San Vincenzo al Volturno la sua professione monastica, ma che veniva dal monastero di S. Martino del Monte Massico (presso Mondragone, prov. di Caserta), nel sec. X documentato come dipendente dall'abbazia volturnense.
Non appare convincente l'interpretazione che il Federici fornisce del passo relativo contenuto nel Chronicon, secondo la quale la vacanza di un anno e un giorno tra la morte del suo predecessore Talarico e l'assunzione di E. alla carica abbaziale sarebbe dovuta al fatto che egli, abituato alla solitudine del suo eremo, prima di accettare l'onere del governo di San Vincenzo, aveva voluto osservare la vita interna di quella comunità e studiarne i bisogni (Federici, Ricerche, p. 73). In realtà il cronista si limita a dire che E. passò dal monastero di S. Martino a quello di San Vincenzo alla ricerca di un più alto livello di vita monastica ("exemplo adipiscende eximie conversacionis") e che, dopo averlo conseguito a prezzo di grandi sforzi ("et diu in sancta conversacione decertando"), fu eletto abate di San Vincenzo non soltanto per il carattere esemplare della sua condotta di vita ("pro vite merito"), ma anche per la sua dottrina ("et sapiencie doctrina").
Una volta assunta la guida del monastero, E. si trovò alle prese con i problemi che dovunque in quegli anni rendevano assai impegnativo il governo dei grandi complessi monastici, problemi riconducibili sostanzialmente al rapporto con i contadini dipendenti e con le autorità politiche ed ecclesiastiche. I servi di Trita, ad esempio, si rifiutavano di prestare al monastero i servizi dovuti, per cui furono celebrate, di fronte al conte Suppone, ai gastaldi Benedetto, Ilpiano e Anifrido e ad un numero imprecisato di scabini, ben quattro sessioni giudiziarie; per i giudicati emessi in quelle occasioni, E. chiese la conferma all'imperatore Ludovico il Pio, così come fece anche per una donazione di ventiquattro case in Amiterno e in Sabina, fatta dal defunto Lupo, duca di Spoleto (l'imperatore concesse la richiesta conferma con precetto emanato da Aquisgrana il 1º apr. 831).
Il maggiore benefattore del monastero volturnense fu, durante l'abbaziato di E., Sicardo, principe di Benevento, che nei suoi diplomi attribuisce sempre a E. la qualifica di suo padre spirituale. Nel febbraio dell'833 quel principe donò al monastero di San Vincenzo la cella di S. Sossio e un bosco a Pantano, in Liburia (od. prov. di Caserta), attiguo a quello donato in precedenza dal duca Gisulfo. Nel maggio seguente oggetto di donazione da parte di Sicardo furono terre, in parte pianeggianti e in parte montuose, site nel territorio di Venafro (Isernia) e confinanti con altri beni donati a suo tempo dal duca Arechi II. Con un altro precetto dell'agosto dello stesso anno il principe, che dichiara sempre di operare dietro sollecitazione del suo referendario Roffrid, conferma sia la donazione, con tutte le sue pertinenze, della chiesa di S. Secondino in territorio di Acerenza, fatta dal vescovo Pietro, sia quella fatta dai figli di Picone, di Rapperto, di Paldone, di Andrea, di Radiperto e di Lupino. Al gennaio dell'836 risale il quarto ed ultimo precetto con il quale Sicardo, questa volta sollecitato dal suo parente Adelfrid, dona al monastero di San Vincenzo e all'abate E. le terre, i servi e la chiesa di S. Maria di Campiniano, nel territorio di Venafro, beni che erano stati confiscati proprio ai figli dei personaggi menzionati nell'atto di conferma dell'agosto 833.
Il nome dell'abate E. è legato soprattutto all'attività edilizia da lui svolta, attività che continuava quella intrapresa, negli anni precedenti, dall'abate Giosuè (792-817). Il monaco Giovanni, il cronista di San Vincenzo al Volturno, gli attribuisce la fondazione di due chiese: S. Maria "in Insula" e S. Lorenzo "in alia insula". I resti di una delle due, probabilmente quella di S. Maria, sono ancora oggi visibili a poca distanza dall'area dell'antico monastero, al di là del Volturno, ed hanno richiamato l'attenzione di molti storici dell'arte per gli affreschi che ne coprono le pareti e le volte della cripta. Tra di essi vi è un importante ciclo pittorico: all'esterno della XII scena, la Crocefissione, "ma in diretto rapporto con essa", è rappresentato l'abate E. "inginocchiato in atto di venerazione e di preghiera come indicano le mani alzate e tese verso la Croce" (De Maffei). Il nome e la titolatura del presule appaiono scritti in grandi lettere capitali alla base del riquadro ("DOM EPYPHANIUS ABB"). Che sia stato E. a far eseguire gli affreschi è dimostrato non solo dal fatto che la scritta che lo identifica è la più vistosa della cripta, ma anche e soprattutto dal fatto che il suo capo appare incorniciato dal nimbo rettangolare, simbolo che, probabilmente a partire dall'epoca di Gregorio Magno, veniva usato nell'iconografia per i viventi, mentre per i defunti si adoperava quello circolare. È da aggiungere che i brevi baffi e la cortissima barba che caratterizzano il volto di E. in questo affresco si ritrovano anche nella miniatura raffigurante E. che compare nel ChroniconVulturnense.
Fonti e Bibl.: Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, I, Roma 1940, in Fonti per la storia d'Italia..., LVIII, pp. 288 s. e 302; documenti: 55-59, pp. 289-296; I. De Vita, Thesaurus antiquitatum Beneventanarum, Roma 1754-64, II, pp. 328 s.; A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli nella Mezzana Età, III, Napoli 1797, pp. 355, 365; IV, ibid. 1798, pp. 30 s.; A. Mastrominico, Ricerche storico-critiche intorno all'antico Vico Fenicolense presso Literno, Napoli 1802, pp. 66-69; O. Piscicelli Taeggi, Pitture cristiane del IX secolo. Badia di San Vincenzo, Montecassino 1886; M. K. Voigt, Beiträge zur Diplomatik der langobardischen Fürsten von Benevent, Capua und Salerno, Göttingen 1902, p. 60; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Paris 1903, 1, pp. 93-103; P. Toesca, Reliquie d'arte della badia di San Vincenzo al Volturno, in Bull. dell'Istit. storico ital. per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, XXV (1904), pp. 10, 25 ss.; R. Poupardin, Les institutions politiques et administratives des principautés lombardes de l'Italie méridionale (IXe-XIe siècles). Étude suivi d'un catalogue des actes des princes de Bénévent et de Capoue, Paris 1907, pp. 75 s., 79, 136; V. Federici, Ricerche per l'edizione del Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, II, Gli abati, in Bull. d. Ist. stor. ital. ... Arch. Murator., LVII (1941), pp. 73, 86, 101; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma 1962, pp. 25 ss.; H. Belting, Studien zur beneventanischen Malerei, Wiesbaden 1968, pp. 253 ss.; A. Pantoni, Le chiese e gli edifici del monastero di San Vincenzo al Volturno, Montecassino 1980, pp. 18, 108 s., 122; F. De Maffei, Le arti a San Vincenzo al Volturno. Il ciclo della cripta di Epifanio, in Una grande abbazia altomedievale nel Molise: San Vincenzo al Volturno. Atti del I Convegno di studio sul Medioevo meridionale (Venafro-San Vincenzo al Volturno, 19-22maggio 1982), Montecassino 1985, pp. 269 ss.; G. Morra, La formazione del patrimonio fondiario volturnese nel territorio di Venafro, ibid., pp. 515 s.