Vedi EPIDAURO dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
EPIDAURO (ἡ ᾿Επίδαυρος, Epidaurus)
Città del Peloponneso, nòmos di Argolide, posta nella penisoletta di Aktè (oggi Nisi), nel Golfo Sarònico. La città antica occupava il sito in cui sorge la cittadina di Palaià Epidauros. Pausania (ii, 29, 1), ricorda templi e monumenti, ma l'unica identificazione possibile è quella del tempio di Atena Kissàia, sull'acropoli.
A nove chilometri dalla città, verso S, in una pianura dominata dall'Arachnaion (m 1199), e circondata da montagne, sorgeva il santuario di Asklepios che aveva a N il Tithion, a S e S-O il Koryphaion, a S-E il Kynortion, sulla strada per Nauplia la collina di Koronis, mentre, ad occidente, le alture di Alogomandra precludevano la vista del mare. Nel sito stesso del santuario e nelle colline vicine, numerose sono le sorgenti ed i corsi d'acqua, cui erano riconosciuti particolari virtù terapeutiche, mentre la loro presenza era indispensabile alle pratiche del culto di Asklepios (v. asklepieion, asklepios). In E. gli scavi hanno rivelato la presenza di un culto antichissimo per l'eroe e dio Maleatas, di probabile origine pre-greca: questa divinità fu assimilata ad Apollo intorno alla metà del sec. VII a. C. e il dio assunse l'epiteto di Maleàtas. Entrambi i culti ebbero sede sulla cima del Kynortion, dove sono state ritrovate testimonianze archeologiche databili fin dall'epoca micenea. Quando Asklepios prese il sopravvento su Apollo Maleàtas, il santuario fu spostato verso N-O, cioè nel luogo delle attuali rovine: tuttavia, le ricerche archeologiche non hanno rivelato, finora, tracce di un tempio di Asklepios anteriore a quello del IV sec. a. C.
Le fonti classiche hanno tramandato poche notizie sulla più antica storia di Epidauro. Il nome sembra ricondurci ad una popolazione primitiva non greca cui si sovrapposero, in seguito, i Dori di Argo. Presto E. dovette assumere una qualche importanza se ad essa è attribuita, da alcune fonti (Herod., vur, 46; Paus., ii, 29, 5), la colonizzazione dell'isola di Egina. Verso la fine del sec. VIII a. C., troviamo E. nella lega di Calauria a parità di condizioni con Atene, Nauplia, Orcomeno, Prasia, Ermione, Egina. Un periodo di soggezione ad Argo dovette essere quello in cui Fidone assicurò alla sua città il dominio su tutta l'Aktè intorno alla metà del VII sec. a. C. Alla fine del secolo, il governo dell'Argolide, e quindi anche di E., passò nelle mani di Corinto, grazie all'abile ed energica politica di Periandro. Alla caduta dei Cipselidi, tuttavia, la città è nuovamente libera. Comincia, ora, la politica delle grandi leghe raggruppate intorno alle due potenze egemoniche: Atene e Sparta. E. sceglie la lega peloponnesiaca controllata da Sparta per avere un appoggio contro le mire di Argo che, con l'Elide e Mantinea, era entrata nell'orbita ateniese. Ad una guerra fra Argo ed E., si venne, durante una pausa delle guerre del Peloponneso, dopo la pace di Nicia. E. si difese bene e giunse a minacciare da vicino Argo, per cui le grandi potenze furono costrette ad intervenire per evitare che venisse turbato l'equilibrio raggiunto fra i due blocchi. Nel IV sec. a. C., la funzione politica di E. è pressoché nulla, ma sempre più cresce la sua importanza quale metropoli del culto di Asklepios. Di questo periodo sono le maggiori costruzioni del santuario che vengono realizzate con il contributo delle città vicine, ma soprattutto, con le ricchezze che i numerosi pellegrini versano annualmente nelle casse dello stato. Sono stanziate grosse somme ed ingaggiati i migliori artisti, fra i quali Timotheos e Policleto il giovane. Nell'età ellenistica E. è al centro di alcune vicende delle lotte fra i Diadochi e, dopo la presa di Corinto (243 a. C.), entra a far parte della Lega Achea. Durante il II sec. a. C. sono costruiti nuovi edifici, è allargata la cinta e sono restaurati e trasformati numerosi monumenti. La decadenza comincia lenta con il III sec. d. C., si accentua con il definitivo trionfo della nuova religione e le invasioni barbariche aggiungono all'abbandono la rovina.
Il santuario. - L'accesso al peribolo sacro era segnato da due propilei posti nella parte N ed in quella S del santuario. I propilei N, costruiti in corrispondenza della strada per la città di E. donde giungevano tutti i pellegrini, furono messi in luce nel 1893; è possibile ricostruirne la pianta, sebbene assai pochi elementi ne siano rimasti: un porticato esterno di ordine ionico con un fregio di rosette e bucrani alternati, uno interno corinzio assai vicino, per stile, alla decorazione architettonica della thòlos, e due rampe d'accesso contrapposte, una sul lato N e l'altra su quello S del vestibolo. I propilei S, scoperti fin dal 1884, sono di carattere più monumentale ed assai prossimi ai templi di Asklepios ed Artemide. Di questi ci è rimasta una documentazione migliore. Si componevano di un porticato dorico con dodici colonne che mostrano, in corrispondenza della rampa d'accesso da N, un intercolumnio più largo; un secondo porticato sorretto da quattro colonne, probabilmente ioniche, è interno al primo. L'accesso dalla parte esterna avveniva attraverso un passaggio a tre porte fra due ante, aventi all'estremità due coppie di colonne doriche. Ciò che resta della decorazione architettonica, capitelli soprattutto, mostra linee irrigidite che testimoniano una posteriorità di questo edificio rispetto agli altri del IV sec. a. C., seppure non l'appartenenza ad una diversa fase costruttiva. Tranne il lastricato in calcare, tutto il pròpylon era in blocchi di tufo tenero ricoperti di stucco bianco finissimo. Questi propilei furono collegati, in età romana, con un edificio, forse una palestra ed in età piuttosto tarda, quando la palestra aveva perduto la sua funzione, trasformati in un tempietto dedicato ad Igea. Altri accessi al santuario non dovevano mancare, ma si trattava di semplici porte. Intorno ai propilei, come presso i templi di Asklepios e di Artemide e presso la thòlos, erano numerose piccole costruzioni votive, esedre semicircolari, altari.
L'identificazione del massimo tempio del santuario, quello dedicato ad Asklepios, è certa, sia perché si tratta del più grande e meglio decorato, oltre che del più vicino al portico in cui i pellegrini facevano l'incubazione, sia perché presso di esso è stata rinvenuta un'iscrizione, incisa su una grande lastra di calcare e recante notizie intorno alle spese per la costruzione del tempio, che è detto privo di opistodomo, come appunto è quest'ultimo. L'architetto, direttore dei lavori, fu Theodotos e l'esecuzione, durata cinque anni, dovette essere compresa fra il 380 ed il 375 a. C. Anche per il tempio maggiore, sulle fondamenta in blocchi di calcare, fu poggiato un elevato di tufo di Corinto, rivestito di marmo solo nel coronamento dei muri dei lati lunghi e nelle statue dei frontoni. Il tempio era periptero dorico, con sei colonne sulla fronte e undici sui lati, secondo un rapporto assai poco comune, e presentava la contrazione laterale degli intercolumnî. Il pronao era preceduto da due colonne in antis, anch'esse doriche, mentre la cella era priva di opistodomo. All'interno di questa, sono tuttora visibili le tracce di un basamento per la statua di culto, pochi resti della crepidine, che era di tre gradini, e alcuni rocchi di colonne. Scavi recenti hanno messo in luce una fossa rettangolare di m 2,70 × 1,25 × 0,52 lungo la parete meridionale della cella; questo ritrovamento ha permesso di far luce su una notizia dell'iscrizione trovata presso il tempio, riferentesi al suo tesoro; sarebbe infatti (secondo R. Martin) questa fossa il deposito per il tesoro di Asklepios. La copertura dell'edificio era, forse, in tegole d'argilla, ma gli ambulacri dovevano essere uniti alle pareti della cella con lastre di pietra. La stessa fonte ci informa che il soffitto era rilucente di dorature sia all'esterno che all'interno; esso era probabilmente a cassettoni, decorato con astragali, rosette, foglie di acanto; il legno impiegato era il cipresso. Del medesimo legno erano le porte: quella interna a chiusura della cella, più ricca ed intarsiata d'oro ed avorio; quella esterna, che chiudeva il pronao, meno preziosa. Entrambe erano opera di un Thrasymedes, forse lo stesso che ebbe incarico di eseguire il simulacro di Asklepios per il tempio e che è ricordato con l'etnico di Paro. Per ciò che concerne la decorazione scultorea del tempio, sappiamo che Timotheos preparò i τύποι per la somma di 900 dracme (esiste discussione fra gli studiosi sul significato da dare alla parola τύποι; taluno ha pensato ai modellini in scala ridotta, altri alle statue stesse dei frontoni ma è più probabile si trattasse, come pensano il Crome ed il Roux, di bassorilievi decoranti il fregio interno del pronao). Lo stesso autore, per 2.240 dracme eseguì le statue acroteriali di uno dei frontoni, mentre Theotimos, per la stessa somma, fece gli acroteri dell'altro timpano. Hectoridas ricevette 1.400 dracme per le statue di uno dei frontoni, ed Agathinos ebbe 2.738 dracme per un lavoro non ben precisato. Della decorazione frontonale non è rimasto molto; tuttavia, per il lato occidentale, abbiamo una serie di frammenti che ci fanno ricostruire la composizione come una amazzonomachia. Il frammento più notevole raffigura un'amazzone a cavallo in atto di colpire mentre il cavallo si impenna; essa doveva occupare il centro del campo. Altro frammento notevole è un torso di amazzone colpita al petto che cade riversa, trascinata forse dal guerriero che l'ha colpita; allo stesso gruppo appartengono, secondo la ricostruzione che ne da il Crome, un frammento di base con una zampa di cavallo, una coda del medesimo animale e un torso di guerriero. Ricordiamo pure tre figure di personaggi giacenti; due femminili ed una maschile, ed una amazzone distesa a terra. Questo frontone, il meglio conservato, è attribuito dai più a Timotheos; la figura di amazzone a cavallo soprattutto, contribuisce a confortare tale attribuzione per i contatti con il Mausoleo, al quale sappiamo aver pure lavorato Timotheos. Del frontone orientale attribuito ad Hektoridas resta così poco che assai dubbia è l'identificazione della scena raffigurata; probabilmente un combattimento fra centauri e lapiti, o meglio una Ilioupèrsis. Fra i pezzi più notevoli, alcune teste, di cui una che una mano afferra per i capelli, un torso di figura femminile arcaistica, forse un Palladion, alcuni frammenti di torsi femminili e virili in atteggiamenti non bene identificabili. Questo frontone sarebbe opera di Hektoridas. Sono state ritrovate anche alcune statue pertinenti ai gruppi acroteriali dei frontoni. Seguendo il Crome, sul lato O (attribuito a Timotheos), al centro sarebbe da porsi la bellissima figura femminile, acefala, che tiene in mano un'oca (Epione?) e ai lati due figure, pure femminili, su cavalli (auree, divinità ctonie?); gli acroteri del lato E (attribuito a Theodotos) sono una Vittoria alata - di cui si conserva solo il torso - al centro, e due frammenti (una testa e un torso) nelle posizioni angolari.
All'interno della cella sappiamo che era conservata la statua di Asklepios, la cui esecuzione era stata affidata a Thrasymedes pario. Essa non ci è conservata. La sua esecuzione dovette essere posteriore, se pur di poco, al tempio, dal momento che nell'elenco delle spese che doveva controllare il direttore dei lavori, Theodotos, non si fa menzione di essa: la statua fu eseguita, probabilmente, intorno al 370 a. C. Pausania ce ne dà una descrizione assai particolareggiata: egli dice che il dio era raffigurato assiso in un trono presso il quale era un cane; con la mano destra tesa egli accarezzava la testa di un serpente. Assolutamente fedele a questa descrizione è la raffigurazione di Asklepios che si vede in monete di E. del IV sec. a. C., ed assai simile quella in due bassorilievi, pure da E., ed in un monumento votivo raffigurante Asklepios, presso il quale è Igea ed una Nike con le ali distese.
I resti del tempio di Artemide sono stati riconosciuti circa 30 m a S-E del tempio di Asklepios. Restano solamente parte delle fondazioni in grossi blocchi di calcare ed alcuni elementi del krepidoma, oltre a vari rocchi di colonne del porticato esterno. Il tempio constava di una cella unica avente all'interno un porticato dorico di quattro colonne sul fondo e tre sui fianchi, in corrispondenza delle quali ultime, dai muri che separavano la cella dal pronao, si staccavano due brevi ante. Il pronao era preceduto da un colonnato dorico di sei colonne sulla fronte e due sui lati. L'accesso avveniva, come in tutti i templi del Peloponneso, per mezzo di una rampa lastricata, ai piedi della quale si hanno i resti di un grande basamento rettangolare relativo a un altare. All'interno della cella è ancora visibile l'impianto per la statua onoraria. Sia i muri, sia le colonne del tempio erano di pietra tufacea di Corinto ricoperta di stucco bianco. Il rivestimento esterno del fastigio nei lati lunghi era in marmo pentelico e decorato con ovuli e girali di acanto; gli sbocchi delle sime erano coperti, anziché con le solite teste di leone, con teste di cane, in omaggio alla dea cacciatrice. Pare accertato che il tempio non avesse decorazione frontonale, ma solo degli acroteri marmorei raffiguranti Vittorie alate eseguite secondo uno schema tipologico affine a quello della Nike di Paionios. Le sagome dei capitelli e la tecnica di lavorazione delle grondaie marmoree permettono di attribuire il tempio alla stessa fase edilizia di quello di Asklepios, se pure ad una epoca di poco posteriore alla costruzione del tempio maggiore.
Thòlos. - La thòlos è ricordata da Pausania come opera di Policleto il giovane. Essa consisteva di una cella circolare con un porticato esterno di ventisei colonne doriche su cui posava un architrave le cui metope erano decorate con rosette rilevate, decorazione del tutto inconsueta per questa età. All'interno della cella, si elevava un secondo porticato, corinzio, del tutto indipendente dai muri perimetrali. Sotto il krepìdoma, di tre gradini, le sostruzioni, tuttora visibili, presentano un impianto di sei muri continui, circolari e concentrici, includenti altrettanti corridoi. Di questi, i tre più interni sono sbarrati da muretti trasversali e messi in comunicazione fra loro per mezzo di passaggi aperti nei muri, in modo da obbligare a percorrerli interamente secondo un condotto obbligato. Alcuni studiosi, fra cui il Noack, hanno notato una certa differenza anche nella costruzione dei muri più interni rispetto agli altri, per cui hanno pensato che essi fossero pertinenti ad un edificio più antico, del VI sec. a. C., incluso poi nella costruzione policletea, che poté anche esser sorta allo scopo di proteggere questo edificio antico per ragioni legate alla destinazione originaria di esso. È stata formulata l'ipotesi che l'edificio includesse un pozzo sacro, anzi la κρήνη di cui parlano le fonti come vicina al tempio di Asklepios. La notizia è poco probabile, tenuto conto del fatto che sarebbe stata troppo inconsueta una costruzione di tanta mole per una semplice fontana, sia pure sacra; tuttavia è stato scoperto al centro delle fondazioni un pozzo, oggi non più visibile, il cui orifizio era coperto da quattro lastroni di calcare sagomati in modo da mantenere scoperto un foro circolare. Della costruzione sono visibili soltanto i grossi muri ad anelli delle sostruzioni e numerosi frammenti della decorazione marmorea, che è stata ricostruita e completata in museo. Recentemente F. Robert, eseguendo saggi per accertare la reale destinazione dell'edificio, ha scoperto che le grappe che legavano i blocchi del giro interno di muri sono le medesime del giro esterno, la cui introduzione non può essere arretrata oltre la fine del V sec. a. C.; questa scoperta ha eliminato la ipotesi delle diverse età della costruzione, ma non ha chiarito la ragione della presenza dei muretti divisori e dei passaggi solo per la parte interna. L'uso di una sostruzione a muri continui, piuttosto che a platea, non sarebbe del resto un unicum nel mondo ellenico, dato che permetteva con una economia di materiale di diminuire la pressione sul terreno. La datazione della thòlos deve essere posta nella seconda metà del IV sec. a. C. sia per le proporzioni delle varie parti dell'architrave e della cornice, sia per i caratteri dei capitelli corinzî, assai più evoluti di quelli del tempio di Apollo Epicurio a Figalia. La grondaia, di marmo pentelico, era decorata con un meandro a linee spezzate, con girali e palmette. Le parti stuccate dell'edificio erano dipinte a vivaci colori. La policromia dell'insieme era accresciuta dall'uso di marmi di diverso colore per il sekòs, la cui parte interna era ricoperta da due file di marmo nero di Argo e quella esterna da marmo bianco. Di marmo erano pure le cornici della porta, opera di Sannion di Paro e di Komodion, maestri cesellatori. Caratteristica della thòlos non è tanto la ricchezza della decorazione, quanto la cura con cui ogni elemento è stato eseguito e l'eleganza del fregio, che ricorda la decorazione architettonica dell'Eretteo di Atene. All'interno della thòlos erano esposti due quadri del pittore Pausias; essi rappresentavano l'uno Eros che suona la lyra, l'altro la Ebrezza che beve in una coppa di vetro. Il Kavvadias sosteneva, invece, che Pausias dipinse pitture murali, affreschi, ricoprendo di pitture tutte le pareti interne della cella, oltre al soffitto. Tale opinione non è, comunque, sostenibile sulla scorta delle fonti. Degli artisti (lavoranti, scalpellini, operai) che presero parte alla costruzione della thòlos ci sono pervenuti i nomi di: Antigenes di Tegea, Aristias di Atene, Aseas, Atthikos, Gnathis di Argo, Damosthenes, Dorkon di Argo, Euthynomos di Atene, Kallimenes di Trezene, Kallistratos di Tegea, Kommodion, Lusianas di Argo, Lysipos di Argo, Nausistratos di Atene, Nikostratos di Argo, Polyzenos di Argo, Sannion di Paro, Stephanos di Tegea, Stratos di Atene, Timangelos, Timarchos di Argo, Chremon di Argo.
Teatro. - L'altra costruzione policletea di E. è il teatro, databile intorno al 350 a. C. e ben conservato. Pausania lo ricorda come il più armonico di tutta la Grecia per la connessione e l'equilibrio delle parti. La cavea consta di 55 file di seggi, delle quali 34 costituivano il thèatron e le restanti 21 l'epithéatron: un corridoio largo m 2 (diàzoma), divideva le due parti; un secondo diàzoma correva alla sommità del teatro, dopo la 55a fila. Le tre file più basse, a contatto con l'orchestra, erano formate di seggi forniti di spalliera e, di essi, quelli della prima fila, ancor più lussuosi, erano destinati alle autorità (proedria). Nel senso verticale si avevano tredici scalette (kerkides), di cui la settima divideva a metà il teatro; esse servivano i vari settori del thèatron, mentre nell'epithèatron i settori erano ulteriormente suddivisi in due, per cui si avevano 23 scalette. La cavea (kòilon), non era di forma perfettamente semicircolare, ma si apriva leggermente a ventaglio per migliorare la visibilità ai lati, e ciò era ottenuto raccordando tre archi di cerchio. L'orchestra era unita alla cavea da un corridoio largo in media m 2,10, ma allargantesi ai lati per la forma non semicircolare della cavea. Il giro dell'orchestra era segnato da un bordo di pietra largo m 0,40, e questa misurava di diametro m 10,15. Al centro era l'altare di Dioniso, di cui resta la base di m 0,70 di diametro. La skenè sorgeva a circa m o,6o dal cerchio dell'orchestra ed era del tipo a paraskènia. Due porte assai ben decorate ornavano le pàrodoi.
Altri monumenti. - Sappiamo dalle fonti che i pellegrini che venivano al santuario per appellarsi ad Asidepios, erano ricevuti dal clero per un esame preliminare ed introdotti poi in un edificio dove attendevano l'ispirazione divina: da questo edificio, detto àbaton (ἄβατον) o enkoimetèrion (ἐγκοιμητήριον), era possibile seguire l'andirivieni dei sacerdoti del tempio; doveva quindi essere relativamente aperto e prossimo al luogo in cui sorgeva il naòs. Tale edificio è stato riconosciuto in un doppio porticato che chiude l'area del santuario da N con una fronte di m 70, ornata di 34 colonne. Il complesso consta di due elementi, uno ad un solo piano l'altro a due; i due corpi sono di epoche differenti: greca per l'edificio ad un solo piano, romana per l'altro. Il porticato più antico, lungo m 36 e largo m 8, presentava un muro continuo, privo di porte o finestre, nei lati N, O, E; il lato meridionale era, invece, aperto verso la piazza con una serie di 16 colonne ioniche sulla fronte e 7 nell'interno per sostenere il tetto. Il muro O terminava con una semicolonna aderente all'anta, e quello E era interrotto da un pozzo preesistente all'edificio e tuttora visibile. Nessun elemento è rimasto della copertura, che doveva essere con tegole d'argilla. L'edificio aggiunto in età romana, presenta qualche anomalia di costruzione che può essere chiarita con difficoltà. Il muro di fondo a N e quello O della sala inferiore sono di costruzione ellenica a differenza degli altri; essi sono anche rinforzati con contrafforti, il che ha fatto pensare che servissero, in epoca greca, a sostenere un terrazzamento che dovette esser creato per aumentare lo spazio intorno al primo àbaton, che era ad un livello superiore rispetto al piazzale. Quando, in età romana, si volle costruire il secondo portico, si sbancò il terrazzamento, mantenendo i muri di fondo e si costruì una sala che permise di raggiungere il livello del primo porticato; su questa, fu costruito il secondo àbaton che venne ad allinearsi con il primo. La profondità della seconda costruzione fu di m 8, come la precedente, ma la lunghezza fu solo di m 32. Sulla fronte si allineavano 13 colonne ioniche ed il tetto era sorretto da 6 colonne poste nell'interno ed intervallate con banchi di pietra. Le stesse condizioni si ripetevano al piano di sotto, dove le colonne erano, però, sostituite con pilastri.
Tra il tempio di Asklepios e quello di Artemide, è stata messa in luce dagli scavi del Kavvadias una costruzione che occupa un'area di circa m 20,50 × 24,60; Varie ipotesi sono state fatte sulla sua destinazione: mentre alcuni vi hanno visto semplicemente un locale di riunione per il clero del santuario, altri hanno ritenuto che ivi fosse l'àbaton, mentre, nell'edificio comunemente considerato tale, sarebbero stati dei locali di rappresentanza e di ritrovo. Studi recenti hanno messo questa costruzione in relazione con un tempio di Apollo Maleàtas che sarebbe sorto prima del tempio di Asclepios nell'area del santuario. In realtà, solo scavi più accurati, potranno dare una risposta definitiva sull'argomento.
A metà strada fra il teatro ed il santuario, in direzione E, è tuttora visibile l'impianto di una costruzione a pianta quadrangolare di circa m 77 di lato. Essa risulta dalla somma di quattro corpi simmetrici, ciascuno dei quali era indipendente per gli accessi, ma poteva esser messo in comunicazione con gli altri per mezzo di corridoi e di un cortiletto. Ognuno dei quattro bracci della costruzione constava di un largo peristilio su cui si aprivano 20 stanze; essendo l'edificio a due piani, si aveva un complesso di 160 stanze, tutte servite da corridoi rettilinei. L'identificazione della costruzione appare delle più sicure, poiché si trattava certamente dell'albergo per i pellegrini.
Dello stadio, resta solo qualche traccia della parte presso la curva; la sua pianta è, tuttavia, facilmente ricostruibile. Esso sorgeva in una depressione ad O del peribolo sacro ed aveva orientamento E-O.
Presso lo stadio sorgeva la palestra, una costruzione di pianta quasi quadrangolare, costituita da una grande corte a peristilio intorno a cui si aprivano ambienti di varia grandezza. La costruzione, di epoca romana, subì un profondo rimaneggiamento intorno al III sec. d. C. L'ingresso principale era sul lato N e fu utilizzato il pròpylon meridionale del santuario per dargli un carattere monumentale. Sempre nel lato N si apriva un ephebeum con un altare ed una nicchia. Il lato S era occupato quasi del tutto da una sala con colonnato centrale; analoghe sale, di dimensioni minori, si aprivano sui lati E ed O; nel primo erano stati praticati anche i due ingressi secondari della palestra. Intorno al III sec. d. C. questo edificio perdette la sua originaria funzione e nel peristilio fu ricavato un edificio (a gradinate incurvate a settore di cerchio) incluso fra mura rettilinee; la pianta ricorda quella degli odei di epoca romana e tale doveva essere probabilmente la destinazione del nuovo edificio. Con questa trasformazione, il pròpylon cessò di avere una sua funzione e fu trasformato in un tempietto dedicato ad Igea, la personificazione della Salute, che ebbe un culto particolarmente vivace ad Atene, soprattutto in età romana.
Nella zona N-O, fuori dal peribolo sacro, sono ancor oggi visibili i resti di un grande stabilimento termale romano che presenta numerosi rimaneggiamenti. Di questi il più importante dovette avvenire intorno al IV sec. d. C., come testimonia la tecnica di costruzione a blocchi di pietra compresi fra pareti di argilla che avevano funzione di isolante termico. I rifacimenti più importanti si ebbero nel calidarium i cui ambienti vennero suddivisi in una serie di piccole stanzette adibite a bagno individuale. Poiché una trasformazione del genere si ha contemporaneamente anche in altre località, tra cui Argo e Delfi, si deve pensare ad un mutato orientamento del gusto che possiamo attribuire al prevalere del bagno di pulizia, su quello di rilassamento, come anche ad un accresciuto senso di pudore recato dal diffondersi del cristianesimo.
La Via Sacra attraversava il santuario da N a S, deviando ora a destra ora a sinistra, per passare vicino ai principali monumenti. Due tronconi sono ancor oggi visibili: l'uno che dal tempio di Asklepios si dirige a S verso quello di Artemide, l'altro che da quest'ultimo va verso E. Lungo i bordi della via, si allineavano fittamente le stele, i pubblici documenti e le tavole di offerta; numerose dovevano essere anche le statue, di parecchie delle quali sono rimaste le basi con l'iscrizione.
Pochissimo il materiale arcaico finora restituito dallo scavo; tuttavia i sondaggi condotti in questi ultimi due decenni stanno facendo qualche luce sulle vicende del santuario anteriormente al IV sec. a. C. Poche anche le terrecotte figurate, di solito così numerose nelle stipi votive dei santuarî. Fra le statue ricordiamo una Igea, leggermente piegata in avanti ed insistente sulla gamba destra secondo uno schema che ricorda la Vittoria che si allaccia il sandalo, varie figure di Atena di scarsa qualità stilistica ed una Afrodite indossante, sotto lo himàtion, un chitone di seta trasparente ed aderente al corpo. Sono state anche rinvenute alcune statuette di bronzo, databili tutte all'arcaismo avanzato e di buona qualità. Particolarmente notevole una, rinvenuta dal Martin nei saggi del 1942, che trova i confronti più convincenti nelle pitture vascolari della cerchia di Euthymides.
Museo. - Il materiale proveniente dallo scavo del santuario è stato già dal Kavvadias sistemato parte nel museo sorto sul posto, parte trasportato (soprattutto le sculture) nel Museo Nazionale di Atene. Nel museo di E. è stato ricostruito, in parte, l'elevato della thòlos utilizzando gli elementi sicuri forniti dallo scavo. Numerose le iscrizioni di ringraziamento dei pellegrini e le sculture di epoca romana.
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