Epicuro
Filosofo greco nato a Samo nel 341 e morto il 270 a.C. Trascorsi gli anni della giovinezza a Samo e a Teo, si portò ad Atene. Intorno al 310 fondò una scuola filosofica a Mitilene che poi trasferì a Lampsaco. Nel 306 si stabilì definitivamente ad Atene e, insieme ad alcuni discepoli, aperse una scuola nella sua casa il cui giardino o képos, dove era solito riunire amici e discepoli, passò a designare simbolicamente la scuola. Casa e giardino furono lasciati da E. in eredità ai discepoli.
Di E. ci rimangono vari scritti: quaranta Massime capitali, il Testamento ai discepoli, le tre Epistole a Meneceo, a Erodoto e a Pitocle, che compendiano le tre parti fondamentali della sua filosofia: morale, canonica, fisica (tutti questi documenti ci sono stati conservati da Diogene Laerzio, il cui X libro delle Vite è intieramente dedicato a E.). Infine possediamo frammenti di lettere e di un trattato Sulla natura in 37 libri e le cosiddette Sentenze vaticane, una raccolta di massime di recente scoperta.
Rispetto alla canonica e alla fisica preponderanti sono in E. i problemi etici. Soprattutto nel tentativo di definire l'ideale della " saggezza ", intesa come tranquillità imperturbabile, " atarassia ", E. svolse la sua dottrina della felicità e del piacere, cui la sua fortuna è in buona parte legata. Per E. il piacere sommo, e quindi la felicità perfetta, consiste nell'eliminazione del dolore e della sofferenza, in uno stato in cui l'anima, libera da desideri e da turbamenti (" non soffrire quanto al corpo e non essere turbati quanto all'anima "), attinge la pace interiore che è silenzio dei desideri e perfetto equilibrio. Pertanto, il piacere consistendo nell'eliminazione del dolore, dev'essere il termine dei desideri raggiungibili e appagabili. Tali desideri E. distinse in naturali e necessari, naturali ma non necessari, né naturali né necessari. Solo i primi sono ineliminabili e come tali conseguibili (non assecondati genererebbero dolore) mentre gli altri dovranno essere ‛ sfrondati ' e mai alimentati. Ma al conseguimento della perfetta felicità E. poneva altre due essenziali condizioni: l'eliminazione del terrore della morte (" Nulla è per noi la morte: ciò che è disciolto è insensibile, e l'insensibilità è nulla per noi ") e degli dei i quali, pur esistendo, rimangono isolati nel loro mondo, incuranti delle vicende terrene.
Questi due terrori confondono l'animo con vani fantasmi e turbano la tranquillità interiore. Quanto alle due altre parti della sua filosofia, va ricordato che a una canonica basata sulla sensazione come canone di verità (" Se ti opporrai a tutte le sensazioni, non avrai più alcun criterio, neppure per giudicare quelle che dichiari fallaci "), corrisponde una fisica atomistica secondo la quale la realtà è costituita di atomi infiniti, qualitativamente uguali e quantitativamente diversi, eternamente in moto, in senso verticale, in uno spazio vuoto. L'incontro degli atomi e il formarsi degli aggregati materiali, per E. avviene in virtù del clinamen, cioè di una leggera ‛ declinazione ' dalla verticale secondo cui si muovono. Come ogni cosa, oltre il corpo umano, anche l'anima è il risultato d'una aggregazione di atomi, seppure più sottili e leggeri. Essa è dunque mortale come il corpo (" Se l'organismo si dissolve totalmente, l'anima si disperde e non mantiene più le medesime facoltà, né più si muove; e perciò non possiede più la facoltà di sentire ").
Alla dottrina della felicità e del piacere di E. fa riferimento D. in Cv IV VI 11-12, confrontandola con quella di Accademici Stoici e Peripatetici. In Cv IV XXII 4 tralascia la teoria del fine ultimo sia di Zenone che di E. per abbracciare decisamente quella di Aristotele. In Mn II V 5 D. ricorda la citazione di Cincinnato fatta da Cicerone (Fin. II IV 12) con l'espressione in eius laudem Cicero, contra Epycurum in hiis quae ‛ De fine bonorum ' disceptans... inquit. La locuzione contra Epycurum, se detta in senso generale, indicherà il II libro del De Finibus dedicato appunto da Cicerone alla ‛ confutazione ' della filosofia epicurea (contra, peraltro, è l'esordio tecnico con cui, nelle quaestiones medievali, venivano introdotte le argomentazioni ‛ contrarie ' a quelle proposte alla discussione); se detta in senso specifico, indicherà il luogo in discussione, cioè il cap. IV, dove Cicerone appunto conduceva un'ampia confutazione del ‛ piacere ' secondo E. (vedi Epicurei).