FERRIERI, Enzo
Nacque a Milano il 7 luglio 1890 da Pio e Rosina Magenta. La famiglia non godeva di grande agiatezza, ma vi si respirava l'amore per la cultura. Il giovane F. poté proseguire i suoi studi grazie a premi e borse di studio che si procurava con le sue doti e il suo impegno. Nel 1909 si iscrisse ai corsi di medicina all'università di Pavia come studente interno del collegio "Ghislieri"; si laureò, però, più tardi in giurisprudenza.
Nel 1920 ideava e fondava la rivista Il Convegno, che diventava subito punto di riferimento per gli intellettuali italiani.
La rivista, già dai primi numeri, si presentava con un prezioso contenuto di novità: testi stranieri tradotti da valenti scrittori, poesie inedite e racconti di giovani letterati, saggi di critica d'arte che promettenti artisti e critici offrivano con regolarità, un ricco sommario delle rassegne italiane e straniere. Già dal '21 si sarebbe avvalsa di illustri nomi stranieri (basti citare A. Thibaudet per la letteratura francese) per giri di orizzonte chiari ed esaurienti ad illustrare le tendenze letterarie nei vari paesi e per numerose versioni di poesie e novelle nelle quali si cimentò il F. stesso, con la traduzione di F. Wedekind e di K. Hamsun. In seguito verrà preferita la formula del numero speciale interamente dedicato a un autore, sia straniero (sarà così per R. M. Rilke, F. Hölderlin, V. Ivanov) sia anche italiano (A. Manzoni nel '23, C. Michelstaedter nel '22).
Il Convegno si poteva così vantare di offrire ai suoi lettori la versione di C. Linati di Exiles di J. Joyce, apparsa già nel '20, e più tardi le prime versioni italiane dell'Ulysses, da T. Mann, da poeti olandesi tradotti da G. Prampolini, da poeti catalani, da D. H. Lawrence, da U. Sinclair, dalla nuova letteratura russa, ma non vi veniva trascurato il côté italiano e specificamente milanese. Il F. puntava su A. Savinio, G. Comisso, I. Svevo, E. Montale, U. Saba, dei quali riusciva a pubblicare non solo poesie inedite e racconti, ma anche recensioni a libri e saggi; d'altro canto dava molta importanza anche a testi lombardi, a C. Dossi soprattutto, di cui veniva pubblicata Ona famigliade Cilapponi.
Nell'ottobre del '20 si apriva la libreria del "Convegno", in via Monte Napoleone 45, che offriva opere francesi, belghe, tedesche, inglesi, russe in lingua, nonché riviste di tutti i paesi e la biblioteca, per prestito e consultazione. Da lì al diventare lui stesso editore il passo era breve e il F. creava il "Convegno editoriale" nel '21. Nello stesso anno veniva stampato il Risvegliodi primavera di Wedekind, nella traduzione di Prampolini. Prendeva vita anche il Circolo del Convegno, che trovava sede nei magnifici saloni affrescati di palazzo Gallarati Scotti in via Borgospesso 7.
L'attività del circolo era intensa: conferenze, concerti dal programma spesso coraggiosamente contemporaneo, letture pubbliche, incontri con personalità straordinarie: S. Zweig, per esempio, A. Maurois, Rilke, C. Du Bos, Svevo, P. Valéry, ecc. Nel '23 il numero di maggio-giugno del Convegno introduceva nella rivista e nel circolo un nuovo interesse primario, che si rivelava poi come la vera vocazione del F.: il teatro.
Nel frattempo la rivista Il Convegno entrava nel vivo della rivoluzione teatrale che in Germania, in Francia, in Russia, iniziata a cavallo del secolo, stava ora dando i suoi più maturi frutti. Alla nota di G. Craig, presente ad una serata del Circolo del Convegno, il teorizzatore del teatro puro, il maestro del "far vedere" che amava perciò servirsi di testi il meno possibile compiuti, seguirono lo scritto di G. Ponti sul teatro di A. Appia, che riassumeva la teoria dell'art vivant (il numero di ottobre della rivista conteneva un fascicolo dello stesso Appia col titolo Lamessa in scena e il suo avvenire) e il saggio del F. sul prediletto J. Copeau, che nel '13-'14 aveva dato vita al Vieux Colombier. Nel suo approfondimento della ricerca sul Copeau e sul Vieux Colombier, il F. ebbe conferma della propria vocazione teatrale, registica in particolare, evidenziando l'amore per il testo, classico e modernissimo, di cui il regista deve saper determinare il giusto "tempo", che riuscirà a restituirne la poesia. Egli stesso racconterà in seguito di aver fondato il piccolo teatro del Convegno (o il teatro d'arte del Convegno), nel 1924, con sede in corso Magenta 37, con la stessa impostazione di Copeau (La regia, Torino 1955, p. 104).
II teatro del Convegno ebbe breve vita, ma i suoi spettacoli furono memorabili prove del "teatro di realtà poetica" che ricercava il F., di regia essenzialmente "critica" che rispondesse a una precisa posizione del regista riguardo al testo. Nel '24 Gli innamorati di C. Goldoni poneva per la prima volta al F. il problema di rendere in scena "l'alto comico" goldoniano, attraverso "caratteri comici immersi nella musicalità dei loro stessi tic" (ibid., pp. 130 s.), in contrapposizione con la tradizionale "cantilena" che risolveva meccanicamente il problema dell'interpretazione, e contro lo psicologismo che diverrà poi la "moda" delle rappresentazioni goldoniane. Anche in tutti gli altri spettacoli di quella memorabile stagione allestiti dal F. al teatro del Convegno si contrapponeva la ricerca della poesia alle mode registiche, facile scappatoia di un teatro che ricorre ad effetti e funambolismi tecnici per compiacere il pubblico. L'uragano di A. N. Ostrovskij era impostato dal F. sulla contrapposizione dell'esaltazione lirica dell'individuo alla società prossima alla sua fine. In Bastos l'ardito di L. Régis e F. De Vergines il F. ripudiava quella sorta di realismo folkloristico che imperava sulle scene italiane, per adottare, invece, una stilizzazione particolare, quasi un astratto ritmo di balletto. Con L. Pirandello (All'uscita) e con Rosso di San Secondo (Marionette, che passione!) la regia del F. affermava sempre questa sua ricerca di un ritmo che traducesse la realtà poetica. Dopo questi spettacoli il teatro del Convegno non poté più, per difficoltà finanziarie, mettere in scena una sua stagione, ma solo ospitare spettacoli di tanto in tanto, se escludiamo nel '30 la produzione della commedia di Joyce, Gliesuli, e nel '33 Il poeta e l'uccellino di F. Jammes con la regia del Ferrieri. La rivista presenterà sempre, invece, recensioni teatrali regolari, molte delle quali dovute al Ferrieri.
Nel '26 nasceva il Circolo della cinematografia, intorno al quale gravitavano i giovani registi A. Lattuada, L. Comencini, R. Castellani, C. Zavattini, E. Margadonna, e si susseguivano le serate di proiezioni, curate dal F. stesso, dei film di J. Epstein, di A. Artaud (La coquille e le clergyman) di R. Clair (Entr'acte), di J. Renoir (La chienne). Il F. si fece volentieri mediatore tra il pubblico e questa nuova arte prepotentemente venuta allo scoperto con capolavori spesso sconcertanti e promosse pure lezioni tecniche, tenute da G. Gualtierotti, per avvicinare gli appassionati al processo del "farsi" cinematografico.
Chiuso il teatro del Convegno, il F. proseguiva il suo lavoro di regista all'Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR; nel '28 è il primo regista della radio) e poi alla Radio audizioni italiane (RAI). Nel '29 il Convegno editoriale pubblicava a Milano Nord Sud, una raccolta di conversazioni tenute per radio dal maggio '28 al maggio '29. Alcune, ricche di spunti umoristici, sono bozzetti di costume, come Conferenzi eri per radio, che sfiora i problemi posti dal nuovo mezzo, accentuandone i risvolti umoristici, Lettori e lettrici in biblioteca, Ascoltatori di conferenze, l'irresistibile Confessioni automobilistiche, ecc. Ma nel libro trovano posto pure scritti di critica letteraria, come il Saluto a Gozzano, che analizza l'uso da parte del poeta dell'"artificio della semplicità" studiato negli effetti verbali, nelle rime libere, e le numerose conferenze che riprendono importanti serate al circolo, tra cui Un viaggio al Congo, che riproduce la serata di proiezioni sul viaggio di A. Gide o il brano sulle biografie di Maurois. Le possibilità di comunicazione culturale che la radio può offrire, il teatro scritto per la radio diventano subito un campo di studio e di discussione per il F. che, al solito, vi coinvolse amici e collaboratori.
Il fascismo non aveva contrastato né la rivista né il circolo forse per non averne conosciuto gli argomenti dibattuti, forse per non averne compreso la dimensione internazionale. Finita la rivista nel '39, il F. si dedicò alla regia. Moltissimi furono i testi che diresse per l'ascolto radiofonico. I testi da lui messi in scena e in onda raggiunsero il numero di 600; le regie più interessanti furono per Rosso Malpelo di J. Renard (1942, teatro delle Arti di Roma), La città d'oro di R. Billinger (1944, teatro Olimpia di Milano), dove l'idea registica del F. sta nella contrapposizione di paesaggio e di colore tra la città del desiderio e la palude della vita quotidiana, Gente magnifica di W. Saroyan (1949, teatro del Parco di Milano), Intermezzo di J. Giraudoux (1951, Piccolo teatro di Milano), Illadro di ragazzi di J. Supervielle (1951, ibid.), Donna Rosita nubile, il dramma di F. García Lorca (1952, ibid.) spogliato dal F. di ogni dannunzianesimo. Moltissimi anche gli spettacoli da lui messi in scena in teatro, con la compagnia delle Novità (da lui fondata nel '55), al nuovo teatro del Convegno (rifondato nel '56) e altrove. Al nuovo teatro del Convegno che guidò dal '56 al '60 il F. mise in scena accanto a commedie di M. Achard, di J. Audiberti, di G. Greene, anche opere nuove italiane, come il Don Giovanni involontario di V. Brancati e Amleto di R. Bacchelli.
Per difendere questa caparbia volontà di sacrificare ogni effetto alla resa della anche più celata essenza poetica peculiare ad ogni autore, le regie del F. ebbero spesso anche una notazione polemica, come nel caso di alcune opere di Molière, di G. Kaiser, di A. Čechov. Nel '46 il F. aveva scritto un saggio critico introduttivo per un'edizione del Teatro di Čechov (Milano 1946) che può servire ad illustrare cosa significhi per lui poesia di un testo e quale sia il suo ideale di teatro che proprio in Čechov egli trova così pienamente realizzato. Studiando quel mondo cechoviano di vinti, senza più fede e affondati nella propria inutilità, il F. vedeva, di commedia in commedia, il progressivo fondersi ed armonizzarsi di tutti i temi individuali in una nuova tormentosa complessità, con la graduale rinuncia da parte di Čechov a tutti gli effetti teatrali, ma con l'affinarsi di un filtro umoristico sempre più nitido e sempre più svelatore. Il teatro deve saper cogliere, più che i segni del fallimento, quanto "ognuno ha in sé di deformato, di cristallizzato". È questo, per il F., il particolare tipo di comico che nelle ultime opere čechoviane si fa riconoscere nei personaggi maggiori e nei minori, modificandone la connotazione o troppo drammatica o macchiettistica.
Delle esperienze di addetto ai lavori e di spettatore assiduo possiamo leggere nei due volumi del F., Novità di teatro (Milano 1941 - Torino 1952), che riuniscono conversazioni radiofoniche sullo spettacolo tenute per la radio dal '45. Nella sezione "Classici" il F. definisce il suo concetto di "alto comico" e le intrusioni di tipo veristico e romantico che ne hanno alterato la musicalità. La sezione "Stranieri di oggi" fornisce molte idee critiche all'interpretazione del dramma moderno, di cui, di volta in volta, il F. valuta la capacità di tenuta, l'apporto di vera poesia e di mestiere. Nella sezione "Italiani d'oggi" interessa soprattutto l'analisi del F. sui problemi che pone il dramma di Pirandello e la sua messa in scena, che non vuol essere né umanizzata né spettacolarmente acutizzata. L'occasione per un viaggio storico attraverso il teatro di tutti i tempi veniva offerta al F. dalla vasta parte sulla regia teatrale che curò per l'opera in tre volumi La regia (Torino 1955) accanto a M. Apollonio, A. Mantelli, G. L. Rondi, che si occuparono delle altre sezioni.
Questo viaggio, che prende l'avvio dal nascere della regia stessa, venuto meno ogni significato rituale legato alla scena, si svolge attraverso le esperienze teatrali di tutti i paesi europei, con una grande quantità di protagonisti sui quali il F. si sofferma. Viene lucidamente analizzato il ritardo con cui l'Italia arriva alle teorie registiche più moderne e ogni tentativo nuovo di teatro italiano, dal teatro degli Indipendenti di A. G. Bragaglia, al teatro Odescalchi di Pirandello, allo stesso teatro del Convegno, al quale il F. dedica un'affettuosa pagina in cui riprende gli scopi di tutta la sua attività, di tutta la sua vita.Ma l'autoritratto più profondo e insieme più misteroso del F. esce con evidenza dai versi delle sue poesie: "Il mio libro sono io, a parte la modestia" (Libri, da Fuori dal gioco, p. 23): un io che studia timoroso e diffidente, talvolta dispettoso, il mondo odiato in silenzio, pur fingendo di appartenervi, un mondo "guardato dal buco della chiave" (Superintellettuali, ibid., p. 25).
Le poesie del F. furono pubblicate a Milano nel 1970 da V. Scheiwiller con il titolo Fuori dal gioco e una prefazione di E. Levi, amico già dai tempi primi del Convegno, un anno dopo la scomparsa del F., avvenuta a Milano per impreviste complicazioni seguite a un intervento chirurgico il 4 febbr. 1969.
Fonti e Bibl.: I manoscritti del F. sono conservati presso il Centro della ricerca manoscritti su autori moderni e contemporanei di Pavia. A. Hermet, La ventura delle riviste, Firenze 1941, p. 300; G. Serafini. F. e i suoi seicento testi, in Sipario, 1951, n. 58; F. Malatini, Cinquant'anni di teatro radiofonico in Italia, Bari 1981, pp. 27-29, 45, 49, 68, 82;M. Corti, Primo piano per F., in La Repubblica, 22 nov. 1990; Enc. d. spettacolo, V, coll. 219 s.