entelechia
Termine usato da Aristotele (ἐντελέχεια, da ἐν τέλει ἔχειν «essere compiuto, essere in atto») in contrapposizione a «potenza» (δύναμις), per designare la realtà che ha raggiunto il pieno grado del suo sviluppo; talvolta è identificato con il termine «atto» (ἐνέργεια), ma le due nozioni si distinguono in quanto quest’ultimo indica la realizzazione attiva della potenza, e l’e. invece costituisce la perfetta attuazione raggiunta dalla sostanza. Non è perciò da confondere con l’ἐνδελέχεια (endelechia), termine del primo Aristotele trasmessoci da Cicerone (cfr. Tusculanae, I, 10, 22), che viene usato per indicare l’anima umana intesa come quinta natura (diversa da ogni altra a noi nota), immortale, comune agli dei e ai cieli (esseri divini). Il termine e. fu ripreso da Leibniz per indicare la monade, in quanto ha in sé il perfetto fine organico del suo sviluppo. Nel campo delle scienze biologiche, fu usato per designare il principio dirigente dello sviluppo di ogni organismo. In questa accezione il termine e. fu riesumato da H. Driesh, che nella sua dottrina neovitalistica ammise l’esistenza di un principio organico individuale avente in sé l’idea della realtà perfetta, cioè dell’organismo completamente sviluppato.