ENSÉRUNE
Centro archeologico, già oppidum della Gallia meridionale, situato nella zona compresa tra Narbonne e Béziers (le due città furono in origine centri gallo-romani), sulla via che conduce dall'Italia alla Spagna. È il centro che meglio illustra la vita di questi oppida che, a mezza strada fra la montagna e il mare, costituivano, dal Rodano ai Pirenei, gli insediamenti indigeni nel periodo preromano e che testimonia lo stato di civiltà prima dell'intervento di Roma. L'esistenza di simili oppida si è prolungata fino al principio dell'èra cristiana, la quale ne provocò l'abbandono in favore delle città della pianura, il cui sviluppo è stato favorito dalla pax Romana.
Da quanto ci mostra E. che, come la maggior parte di essi, non ha lasciato alcun ricordo di sé nella tradizione letteraria antica, vediamo che questi oppida hanno conosciuto tre fasi successive di occupazione, la cui cronologia si fonda essenzialmente sui ritrovamenti di ceramica greca. La prima fase rientra nella fine della prima Età del Ferro, che vede installarsi sulla collina di E. un abitato costruito in ordine sparso senza la protezione di mura. Esso è costituito di capanne di argilla battuta, le cui aree sono tagliate nella roccia vergine, e da innumerevoli silos scavati nel suolo. Si tratta dell'agglomerato di una popolazione indigena, attardata nelle forme di una civiltà avita di tipo agricolo, che è apparentata, dalla fine del Neolitico, sia a quella dei Liguri oltre il Rodano, sia a quella degli Iberi al di là dei Pirenei. L'assenza di resti hallstattiani mostra che il suo sviluppo nella Gallia meridionale non è stato affatto influenzato dalle migrazioni cui si deve la celtizzazione del resto del paese.
Gli apporti del commercio e della civiltà ellenici, trasmessi da Marsiglia e testimoniati da ritrovamenti di ceramica ionica, attica e focese d'Occidente, costituiranno un fattore decisivo di progresso. La seconda fase d'occupazione ne è la prova, con l'edificazione, alla fine del sec. V, di un nuovo agglomerato che prende il posto delle capanne e dei silos. Si tratta di una città vera e propria, con case di pietra disposte lungo stradette che si tagliano ad angolo retto e formano una pianta "a scacchiera". L'uso dei silos è abolito, e un dolium affondato nel suolo delle abitazioni serve d'ora in poi come riserva per le provviste. Di estensione minore di quella del villaggio primitivo, questa città si chiude in una possente cinta di mura in apparato ciclopico e lascia libera verso O una vasta area che serve da necropoli. L'effetto degli influssi focesi si ritrova sicuramente in questa adozione di una formula d'abitato fortificato su pianta ippodamea. Nella necropoli è praticato solo il rito dell'incinerazione. Mentre il materiale metallico, d'ora in poi abbondante, attesta apporti provenienti dalle regioni celtizzate della Gallia sud-occidentale e della Catalogna, il vasellame importato dal mondo ellenico continua a figurare al primo posto nella suppellettile ceramica, con le coppe e i crateri nei quali si riconoscono gli ultimi prodotti attici a figure rosse, e i crateri, le piccole coppe e i piatti originari della Campania.
La terza e ultima fase di occupazione ha inizio nella seconda metà dei III sec. a. C. con l'arrivo dei Galli sulle sponde del Mediterraneo. Si assiste allora a E. a un rifacimento completo e ad un allargamento notevole dell'abitato. Benché la regione sia passata sotto il dominio e la denominazione dei Galli non sembra che la sua civiltà abbia subito una vera trasformazione. Il terzo abitato si sviluppa in direzione S, dove straripa largamente sul versante della collina, e in direzione di O; qui un nuovo quartiere della città occupa il posto della necropoli. Conserva le disposizioni generali del secondo abitato, con orientazione immutata per quanto riguarda le strade e le case. Queste ultime, fedeli al tipo antico, continuano ad avere una stanza unica, e conservano stranamente il dispositivo tradizionale della colonna interna che sostiene la copertura del tetto: solamente, il palo di legno è stato sostituito da una colonna di calcare grossolanamente tagliata secondo il modello ionico; ma la formula d'abitazione rimane simile alla precedente. Perfino gli apporti dell'architettura romana, che si fanno sentire a cominciare dalla fine del II sec. a. C., non muteranno nulla: condurranno a una nuova preoccupazione urbanistica che si tradurrà nella costruzione di grandi cisterne e fognature e a una ricerca di comodità nelle abitazioni il cui suolo sarà, d'ora in poi, pavimentato e i cui muri saranno rivestiti di stucchi dipinti. Ma non ci si troverà mai in presenza della dimora ad atrio, di tipo gallo-romano. L'abitato, che mantiene sotto il dominio gallico e poi sotto quello romano il suo carattere essenzialmente indigeno, continua a ricevere in larga misura i prodotti e gli influssi dell'esterno: ceramica campana, vasellame dei centri greco-iberici della costa catalana, armi, oggetti di ornamento, vasi della Celtica e, infine, giare da vino italiche e ceramica aretina.
Bibl.: J. Jannoray, Les fouilles d'Ensérune, in La Nouvelle Klio, n. 5-6, 1950, p. 208 ss.