ENSELMINO (Anselmo, Guglielmo) da Montebelluna (da Treviso)
Nacque, probabilmente a Montebelluna (provincia di Treviso), nella seconda metà del sec. XIII.
Quasi nulla sappiamo della vita di E., noto unicamente perché alcune delle numerose testimonianze che ci hanno tramandato uno dei più pregevoli frutti dell'innografia mariana medievale, il Pianto de la Verzene Maria, gliene hanno attribuito la paternità. I manoscritti e le stampe che lo indicano come autore del Pianto non concordano però né sulla trascrizione del nome, né sulla patria: ora è detto "Anselino", ora "Enselmino", addirittura "Guglielmo" in un'edizione del XV secolo; quanto al luogo di provenienza, si oscilla tra Montebelluna e Treviso. Dalle didascalie apprendiamo che fu un frate dell'Ordine degli eremitani di s. Agostino, ed è probabile che, pur essendo in effetti nativo di Montebielluna, avesse vissuto ed operato nel convento degli agostiniani di Treviso; dall'esame della tradizione e da criteri interni all'opera (riferimenti letterari, prestiti lessicali, ecc.) risulta che il poema fu composto tra il 1325 e il 1350, e pare che l'autore si sia dedicato all'impresa in età già avanzata; per cui è da supporre che E. sia vissuto tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV.
Tutt'altro che pacifica è stata comunque l'attribuzione del Pianto ad E.: una tradizione in parte adespota, in parte contraddittoria nelle indicazioni di paternità, ha acceso tra gli studiosi un lungo dibattito che si è definitivamente concluso, alla fine del secolo scorso, grazie agli interventi decisivi in favore di E. da parte di Augusto Serena (1891 e 1893) e di Alfred Linder (1898).
I manoscritti del Pianto sono circa una trentina, il più antico dei quali, adespoto e anepigrafo, risale al 1369; di questi, sei assegnano l'opera ad E., uno al Petrarca, uno il solo ultimo capitolo (il ringraziamento alla Vergine, che ebbe anche tradizione autonoma) ad Antonio da Ferrara; un altro reca il nome di un Biagio Saraceni vicentino (il quale però fu sicuramente un semplice copista, contrariamente a ciò che pensò il Morsolin, 1890-91); gli altri tacciono l'autore. Giustamente è stato osservato (Serena, 1893) che gli esemplari che attribuiscono il Pianto ad E. non solo sono i migliori tra quelli giunti integri, ma sono anche i più vicini all'originale veneto: il nome di E., almeno nell'ambito della tradizione manoscritta, si candida perciò a pieno titolo. La tradizione a stampa è meno esplicita; attualmente si conoscono poco meno di una decina di edizioni del Pianto, e tra queste solo due rivendicano ad E. la paternità dell'opera. Tuttavia ad esse si affiancano o edizioni adespote, o attribuzioni decisamente fantasiose e del tutto insostenibili, quali quelle ad Antonio Cornazzano (Milano 1483 c.; Brescia 1490 c.: dove il Pianto de la Verzene è stato evidentemente confuso con la celebre Vita di Nostra Donna del Cornazzano), o a Leonardo Giustinian (Venezia 1505); nulla più che un plagio è invece l'Opera nuova spirituale di Marco Bandarin (Venezia 1552 o 1556), che riproduce interi passi del Pianto con sporadiche aggiunte originali. Il nome di E. compare in un'edizione del 1481 (Venezia) e in una del 1541 (Roma); delle restanti edizioni, due sono adespote (Venezia 1477, ed. princeps; Milano 1478 c.), mentre una, senza note tipografiche, reca curiosamente il nome di "Guglielmo da Treviso" (cfr. Vanzolini, 1894).
Risolto il problema dell'attribuzione, permane però il mistero sulle vicende biografiche dell'autore. Già A. Zeno notò che i documenti ufficiali e i registri degli eremitani non fanno menzione di un frate Enselmino (lettera ad Anton Francesco Marmi, 5 luglio 1704); né ebbero miglior esito le ricerche del più agguerrito studioso del Pianto, Augusto Serena (cfr. Pagine letterarie, p. 49). Scarsissimo l'apporto degli storici dell'Ordine agostiniano, che quando non tacciono danno notizie per lo più inconsistenti; J. F. Ossinger - attingendo al Mazzuchelli - cita E. (subvoce Anselminii, vel Eselmini), dicendolo "patria Tarvisinus" e "alumnus provinciae Marchiae Tarvisinae", e proseguendo poi con i consueti elogi di circostanza della cultura e dell'ingegno letterario dell'autore trattato. A interessante notare però che l'Ossinger, il quale mostra di conoscere solamente un'edizione cinquecentina del Pianto (stampata a Roma per i tipi di Valerio Dorici nel 1541, e contenente un'altra opera attribuita ad E., l'Infanzia del Salvatore), crede erroneamente che E. sia vissuto in quell'epoca e lo pone senza dubbio nel XVI secolo, prova evidente del fatto che già egli, non disponendo di alcuna fonte documentaria, basava la ricostruzione della biografia del personaggio esclusivamente su un esame piuttosto sommario delle opere. Non aggiunge molto D. A. Perini, che ripete quanto già detto dall'Ossinger, modificando però la cronologia e assegnando correttamente E. al sec. XIV. Il Perini suppone inoltre che E. abbia trascorso parte della sua vita nel convento degli eremitani di Padova, ma non reca alcuna prova a conforto della sua ipotesi se non la constatazione che nella biblioteca patavina degli agostiniani sia stato conservato in passato un esemplare miniato del Pianto (cfr. G. F. Tomasini, Bibliothecae Patavinae…, Utini 1639, p. 71), che egli ritiene possa essere l'originale. Ma anche ammesso che ciò sia vero, non è poi detto che E. debba aver trascritto, o fatto trascrivere l'opera proprio a Padova.
A giudicare dal cospicuo numero di manoscritti e di stampe che lo hanno conservato, il Pianto dovette avere ampia diffusione tra il sec. XIV e il XV. Noto anche come Pietoso lamento o Lamentatio Virginis, è un poemetto in terzine diviso in 11 capitoli di 1.513 versi complessivi, che narra, per bocca della Vergine, i vari momenti della Passione del Cristo; il primo e l'ultimo capitolo sono rispettivamente un'invocazione e un ringraziamento alla Vergine. La lingua è un veneto letterario (più precisamente, il dialetto della Marca Trevigiana) intriso di latinismi e a tratti toscaneggiante. Pur essendo opera di prevalenti intenti edificatori, non manca tuttavia un fondo di elaborazione artistica che testimonia l'alto grado di cultura dell'autore, rilevabile nel frequente impiego di artifici retorici (coppie sinonimiche, ripetizioni dello stesso concetto su rime differenti, ecc.) e soprattutto nella gran mole di citazioni dai testi sacri. Quanto al contenuto, il modello più evidente è il Tractatus de planctu B. V. Mariae attribuito a s. Bernardo, oltre che le laudi liturgiche e, ovviamente, il notissimo Pianto della Madonna di Jacopone da Todi. La cifra stilistica è però di chiara imitazione dantesca, e non sono rari i riecheggiamenti di interi versi della Commedia (a questo proposito, cfr. Linder, p. CCVII); né ciò stupisce, se si pensa che proprio negli anni in cui fiori E. si era trasferito a Treviso Pietro Alighieri, il cui commento all'opera paterna, diffusosi ben presto, aveva dato origine a un vivissimo e persistente culto di Dante in tutta l'area veneta.
Il Linder ha creduto che l'altra opera contenuta nell'edizione romana del Pianto (1541), il poemetto in ottave Infanzia del Salvatore, sia senz'altro da attribuire pure ad E.; tuttavia le profonde differenze stilistiche e soprattutto linguistiche tra le due opere sembrano escludere una paternità in comune (Morsolin, 1891; Serena, 1893).
Edizioni. Tra le edizioni moderne, trascurando quella di T. Bini (in Rime e prose del buon secolo della lingua, Lucca 1852), condotta con criteri ecdotici discutibilissimi, è fondamentale per la costituzione del testo l'edizione critica data da A. Linder, Plainte de la Vierge en vieux vénitien. Texte critique, Upsala 1898, preceduta da un'ampia introduzione e da un'accurata analisi linguistica (si vedano comunque le riserve espresse da R. Renier in Giorn. stor. della letter. ital., XXXIV [1899], pp. 428 s., e la recensione di A. Serena, in Rassegna bibliogr. della letteratura ital., VI [1898], pp. 308-11). La successiva edizione di E. Calzavara (El pianto de la Verzene Maria, Milano 1950), che ristampa il testo già fissato dal Linder, ma senza apparato, si segnala unicamente per alcune felici interpretazioni critiche (cfr. pp. 69 ss.), anche se non aliene tuttavia da pregiudizi di stampo crociano sulla distinzione tra oretorica" e "poesia", ancor più fuori luogo in un'opera come questa.
Bibl.: A. Zeno, Lettere, Venezia 1752, p. 97; G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 826 (sub voce Anselmini); J. F. Ossinger, Bibliotheca Augustiniana, Ingolstadii et Augustae Vindelicorum 1776, p. 59 (sub voce Anselmini); G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, II, Milano 1833, p. 455; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secc. XIII e XIV, Bologna 1884, coll. 386 s.; Supplemento, a cura di S. Morpurgo, ibid. 1929, nn. 64, 285 s.; B. Morsolin, Frammento del "Lamentum Virginis", in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere e arti, s. 7, 1 (1889-90), pp. 933-65; Id., I presunti autori del "Lamentum Virginis", ibid., s. 7, 11 (1890-91), pp. 535-55 (siattribuisce il Pianto a Biagio Saraceni); A. Serena, Fra' E. da M. e la "Lamentatio Virginis", Treviso 1891; Id., L'autore del "Pietoso lamento", in Il Propugnatore, n. s., VI (1893), pp. 5-38 (poiin Id., Pagine letterarie, Roma 1900, pp. 21-51); V. Finzi, Il "Pianto" della Vergine giusta la lezione di due codici lucchesi, in Zeitschrift für roman. Phil., XVIII (1894), pp. 319-80 (ristampa del Pianto del cod. Lucchese 1302, qui attribuito però ad Antonio da Ferrara); G. Vanzolini, Guglielmo o E. da Treviso, in Rass. bibl. d. lett. it., II (1894), pp. 18 s.; D. A. Perini, Bibliographia Augustiniana, IV, Firenze 1938, pp. 9 s. (sub voce Tarvisio [del Fr. Anselminus); G. Volpi, Il Trecento, Milano s.d., p. 211; F. Giannessi, Fra' E. da M., "El Pianto de la V. M.", in Humanitas, VI (1951), 2, p. 220 (recens. dell'ed. Calzavara); F. Casnati-M. L. Re, Il "Pianto" di fra' E. nel laudario dei Battuti comaschi, in Ausonia, XX (1965), pp. 15-18; F. Flora, Storia della letteratura italiana, I, Milano 1966, p. 449; Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, Bari-Roma 1966, II, sub voce; Gesamtkatalog des Wiegendrucke, VIII, nn. 9312 ss.; Indice generale degli incunaboli, II, nn. 3676 ss.