ENRICO
Conte di Gorizia, secondo di questo nome, nacque nel 1266 dal conte Alberto (I) e da Eufernia, figlia del duca Corrado di Slesia-Glogau. Sebbene fosse il primo figlio maschio, inizialmente il suo potere poggiava solo su una modesta base finanziaria e territoriale, perché dovette dividere col fratello, il conte Alberto (II), l'eredità paterna.
In seguito al contratto di divisione del 25 ott. 1303, stipulato quando suo padre era ancora in vita, ad E. spettarono i possedimenti ed i diritti della sua casata a meridione del passo di monte Croce, e cioè nel Friuli, nell'Istria, nel Carso, nella Marca Vendica e nella Carniola; e inoltre la signoria di Eberstein, nella Carinzia, ed un quarto delle cospicue entrate dei dazi nel Tirolo, a titolo di eredità di famiglia. Suo fratello Alberto ottenne i possessi della casata in Val Pusteria, nel distretto di Lienz e nell'alta Carinzia. Dopo la prima grande divisione dei domini dei conti di Gorizia, compiuta nel 1271 tra i fratelli Mainardo (II) ed Alberto (I), quando all'uno era spettata la contea del Tirolo e al secondo erano toccati gli antichi diritti dei conti di Gorizia, disseminati dalla Val Pusteria sino al mare Adriatico, la spartizione del 1303 significò un nuovo, importante passo verso lo sfaldamento della potenza della casa. L'eredità di E., inoltre, non costituiva un'entità territoriale compatta, ma piuttosto una serie di titoli di diritto molto diversi tra loro, che si concentravano nella contea di Gorizia e nell'Istria, cioè nell'avvocazia sul patriarcato di Aquileia.
All'incirca dal 1285 il giovane conte cominciò ad apparire sulla scena politica del Friuli: al seguito del padre, dapprima, e poi, in misura sempre crescente, da solo. In tale contesto si impose rapidamente come condottiero coronato dal successo. Uno dei suoi primi incarichi di rilievo deve essere stato l'ufficio di podestà di Trieste, che egli ricopri nel 1291. Si raccomandava da solo per quel mandato, perché aveva già guidato in precedenza operazioni militari contro Venezia. Ciò era avvenuto nel corso della guerra che il patriarca aveva mosso nel 1298 alla Serenissima per la questione istriana, quando, fra l'altro, il giovane conte aveva contribuito a liberare Trieste dall'assedio veneziano. Anche in epoca successiva, intorno al 1310 e al 1320, E. fu al vertice della città di Trieste per alcuni anni. Nell'intervallo fra un mandato e l'altro vennero chiamate a quella carica persone di sua fiducia, sicché l'indipendenza della città nei confronti di Venezia fu notevolmente rafforzata dal suo appoggio. Pure, E. riusci lo stesso a mantenere per lo più buoni i suoi rapporti con Venezia. Nel 1313 la Serenissima gli concesse addirittura la cittadinanza.
Le mire di E. si concentrarono sul Friuli, dove riusci a rafforzare la sua influenza ai danni del patriarcato di Aquileia. In tale contesto dette buona prova di sé come suo alleato il capitano generale di Treviso, Gherardo da Camino, la cui figlia Beatrice E. sposò nel 1297. Mentre il da Camino, da Occidente, si appropriava di possessi e di diritti della Chiesa di Aquileia, da Oriente E. intaccava la posizione del patriarca, principe ecclesiastico dell'Impero. La morte del patriarca Raimondo Della Torre, avvenuta il 23 febbr. 1299, sembrò aprire nuove opportunità, perché il capitolo di Aquileia elesse come nuovo arcivescovo il duca Corrado di Glogau, zio di E., e, nello stesso torno di tempo, quest'ultimo venne nominato dal Parlamento del Friuli capitano generale (18 marzo).
Come il vicedomino, l'ufficiale attraverso cui il capitolo di Aquileia governava il paese in assenza del presule, cosi anche il capitano generale veniva eletto solo in occasione di vacanza della sede patriarcale: a lui erano affidate la custodia delle fortificazioni, la sicurezza delle vie di comunicazione, il mantenimento della pace interna e dell'ordine pubblico, l'esecuzione delle sentenze e delle ordinanze del vicedomino. In quanto capitano generale, E. rappresentava dunque la più alta carica militare dei territori di dominio patriarcale.
Il papa Bonifacio VIII rifiutò di riconoscere l'elezione di Corrado di Glogau e promosse alla sede di Aquileia l'arcivescovo di Capua Pietro Gerra. La morte prematura di quest'ultimo, avvenuta nel 1301, portò E., in quanto capitano generale, alla testa del Friuli, sebbene persistessero i contrasti, tradizionalmente violenti, tra i centri di potere della regione. In particolare i Comuni, da un lato, e i castellani, dall'altro, rappresentavano punti di vista per lo più divergenti, per cui i nobili erano inclini a sostenere il conte, mentre Cividale, Udine, Gemona ed altri Comuni gli erano in genere contrari. Con Ottobono Razzi, il nuovo patriarca nominato da Bonifacio VIII nel 1302, E. intrattenne per il momento buoni rapporti.
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1304, E. si presentò temporaneamente come rappresentante dell'intera casa dei conti di Gorizia. Anche in seguito il suo più giovane fratello Alberto non acquistò alcuna importanza. Nel 1307 E. aggiunse alla sua eredità originaria altri possedimenti in Carinzia, nel distretto di Lenz e nella Val Pusteria, cosi che egli ebbe, sino alla morte, il controllo delle entrate in quell'ambito territoriale, e li, ad ogni modo, soggiornò di frequente.
E. mantenne inoltre stretti collegamenti con Gherardo da Camino, che mori nel 1306, e con il figlio di quest'ultimo, Rizzardo. Sotto questo segno si rinnovarono gli attacchi contro la Chiesa di Aquileia, che portarono più volte a torbidi assimilabili a guerre civili, i quali misero a durissima prova le possibilità politiche ed economiche del Friuli. Contemporaneamente E. si impegnò anche in Carniola ed in Carinzia dalla parte del re di Germania Alberto I d'Asburgo e dei di lui figli, i duchi d'Austria Federico e Leopoldo, contro il duca Enrico di Carinzia. Per la prima volta nel 1308 si ebbe un accordo tra il conte di Gorizia ed i principi territoriali di Carinzia e dei Tirolo, i quali, in quanto figli di Mainardo (II), erano i suoi parenti più prossimi.
Quando il patriarca Ottobono nel 1309 dovette lasciare per qualche tempo il territorio sottoposto alla sua giurisdizione, E. ottenne immediatamente, attraverso il Parlamento, il riconoscimento ufficiale come capitano generale del Friuli, ed anche l'arcivescovo, una volta rientrato, consenti in questa decisione. Perciò E. si volse contro il cognato e sin'allora alleato Rizzardo da Camino e contro i di lui aderenti nel Friuli. Il conte fu allora in grado di restaurare, in quanto elemento dominante di forza, per qualche tempo la pace interna nella regione, ed allargò il campo della sua azione politica quando, nel 1312, concluse con Cangrande Della Scala un'alleanza, suggellata dal matrimonio di Agnese, una figlia di E., con Alberto (II) Della Scala. Appoggiandosi su questa alleanza, dopo la fine della signoria dei Caminesi su Treviso, nel 1312, il conte di Gorizia volse la sua attenzione particolarmente sul vicino Comune. Per quanto riguardava queste ambizioni, egli poté inoltre richiamarsi al mandato dell'imperatore Enrico VII, il quale apparentemente considerava il conte di Gorizia come influente uomo di fiducia dei ghibellini nell'Italia nordorientale. In questa veste E., grazie al cospicuo appoggio finanziario di Cangrande, trionfò nel luglio del 1313 sulle truppe messe in campo dai Comuni guelfi di Padova e di Treviso. Questo successo militare dovette rinforzare la sua posizione nel Friuli, dove anche il patriarca Ottobono, in una convenzione del novembre di quel medesimo anno, fu costretto ad accettarlo come capitano generale con estesi poteri. Dopo la morte di Enrico VII E. segui il duca d'Austria Federico, come nuovo vertice dell'Impero. D'altro canto, l'Asburgo vide nel conte di Gorizia, se non altro per ragioni geografiche, un valido partner per l'intervento in Italia da lui progettato. Il fatto che appunto in questo periodo il conte di Gorizia si rivolse al re d'Aragona Giacomo Il per il matrimonio del suo unico figlio Mainardo (il quale mori qualche anno dopo, nel 1318) e che la figlia del sovrano aragonese, Elisabetta, consorte di Federico d'Asburgo, fu interessata alla faccenda, indicò molto chiaramente il prestigio internazionale di cui lo stesso E. allora godeva.
In seguito E. cercò con successo di staccare progressivamente il Comune di Treviso dalla stretta alleanza guelfa con Padova e, grazie a ciò, anche alla sfera di espansione di Cangrande Della Scala. Il suo matrimonio con Beatrice da Camino, la figlia del "buon Gherardo", può avergli fruttato simpatie anche presso gli antichi partigiani del partito caminese in Treviso. Il cambiamento delle alleanze, già profilatosi, venne compiuto quando nel 1318 quel Comune, messo ancora una volta duramente alle strette da Cangrande, si dichiarò pronto a riconoscere la signoria del re dei Romani Federico d'Asburgo Austria, il quale promise alla città la tuitio dell'Impero. Come rappresentante del nuovo signore sarebbe stato incaricato un suo vicario. Federico nominò a questa carica, nell'aprile del 1319, E., al quale aveva inoltre affidato il medesimo ufficio Pure a Conegliano. Con l'assunzione di esso finiva praticamente l'alleanza tra E. e Cangrande Della Scala; però il conte di Gorizia seppe con ogni evidenza conquistarsi ampiamente la fiducia della popolazione a lui sottoposta, grazie ad una condotta estremamente avveduta in Treviso; e questo ampliamento della sua potenza, d'altro canto, affrettò un accomodamento tra lui ed il nuovo patriarca, Pagano Della Torre, che gli assicurò una posizione di predominio anche nel Friuli.
Nella coerente valutazione delle possibilità di E., il quale si presentava come alternativa unica, anche i Padovani, sull'esempio di Treviso, si rivolsero a lui nel novembre del 1319. Giacomo da Carrara, ufficialmente signore della città, ed il Consiglio grande decisero di riconoscere allo stesso modo Federico d'Austria come capo dell'Impero ed E. come vicario imperiale da quello insediato. Assai rilevante dovette essere nella vicenda l'opera del conte di Gorizia, anche se il re Federico nominò inaspettatamente suo vicario in Padova non lui, ma Ulrico von Walsee. Ciononostante E. esercitò anche in quella città un durevole influsso, e si trasformò nel risoluto antagonista di Cangrande in occasione dello sforzo compiuto da quest'ultimo per espandersi ulteriormente nei territori di Padova e di Treviso. Nell'agosto del 1320 il conte fu perfino in grado di infliggere allo Scaligero una disfatta militare presso Bassanello.
Ostentatamente, in quel periodo di tempo E. soggiornò di preferenza a Treviso. Disponeva di una parte almeno delle cospicue entrate dei Comune e del distretto che dipendeva da esso, come - ad esempio - della importante dogana di Mestre. Appunto nel proprio interesse favori il traffico commerciale veneziano attraverso il territorio da lui controllato, che abbracciava un'area essenziale dei collegamenti tra Venezia e il Nord.
Anche la disfatta e l'eliminazione del signore nominale di Treviso e di Padova, il re di Germania Federico d'Asburgo, nella battaglia di Mühldorf per opera di Ludovico il Bavaro, suo antagonista nella lotta per la corona imperiale (1322), non recarono in alcun modo danno alla posizione ormai consolidata del conte di Gorizia come vicario imperiale in Treviso e in Conegliano e, genericamente, nel Nordest dell'Italia. Inoltre E. era imparentato anche con il vittorioso Bavaro, avendo sposato, dopo la morte della prima moglie Beatrice da Camino, avvenuta nel 1321, Beatrice di Wittelsbach, figlia di Stefano duca della Bassa Baviera. Frutto di questa unione fu Giovanni Enrico, nato nel febbraio del 1323, il quale, con l'inaspettata morte di E. avvenuta il 24 aprile di quello stesso anno, fu l'unico legittimo erede di suo padre.
Il corpo del defunto E. fu provvisoriamente inumato in Treviso e, quindi, traslato nel tradizionale luogo di sepoltura dei conti di Gorizia, il monastero benedettino di Rosazzo nel Friuli.
Si assunsero nominalmente la tutela del piccolo Giovanni Enrico dapprima il conte di Gorizia Alberto (II), suo zio; quindi Enrico, duca di Carinzia e conte del Tirolo, pure strettamente imparentato con i conti di Gorizia, il quale mori nel 1335; e infine Ottone d'Austria, il giovane fratello del deposto re Federico. Nello stesso tempo l'energica madre di Giovanni Enrico, Beatrice di Wittelsbach, si sforzava invano di salvaguardare gli interessi del figlio. Di fronte alla politica espansionistica di Cangrande Della Scala, il quale nel 1329 fece 41 suo solenne ingresso in Treviso, questi sforzi erano tuttavia condannati al fallimento su punti decisivi. Con la morte del conte Giovanni Enrico, già nel 1338, senza credi, si estinse questo ramo della casa dei conti di Gorizia. L'eredità passò al rappresentante del ramo della famiglia che aveva sin'allora governato in Val Pusteria e nell'alta valle della Drava. Ad ogni modo, nel lungo periodo Venezia può venir considerata come la potenza che portò a compimento la politica che E. aveva perseguito con grande energia e successo, agli inizi del sec. XIV, nel Friuli e nella Marca Trevigiana.
E. e suo zio Mainardo (II), conte del Tirolo e duca di Carinzia (m. 1295), furono gli unici esponenti di rilievo della casa dei conti di Gorizia. Caratteristiche comuni ad entrambi appaiono la lungimirante politica di alleanze e la capacità di sfruttare senza scrupoli ogni occasione opportuna. Le qualità dimostrate da Mainardo nell'amministrazione e nell'impiego mirato del denaro come arma politica non si riscontrano in pari misura nel nipote; ma il nipote, da parte sua, superò per capacità militari non solo la maggior parte dei suoi contemporanei, ma anche il suo stesso zio. La posizione che E. si creò a Treviso, nel Friuli, a Trieste, in Istria fino alla Carniola non raggiunse la forza di una signoria territoriale compatta: troppe erano le differenze tra i vari territori, e troppo breve fu il tempo che E. ebbe a sua disposizione. Tuttavia egli seppe attuare nei confronti di Treviso una politica simile a quella adottata con successo in Italia, nello stesso periodo, dai signori nei confronti di altri Comuni; e nello stesso modo riusci a limitare l'esercizio del potere temporale da parte dei patriarchi di Aquileia. Questo modo di procedere ricorda di nuovo la linea politica di Mainardo (II), che aveva creato la contea del Tirolo soprattutto ai danni delle Chiese di Trento e di Bressanone. La sistematica accumulazione di diritti e di rendite di ogni tipo in tutte le sue zone di influenza s'inquadra nel progetto di sviluppo di una signoria territoriale che aveva poco riguardo per l'autorità imperiale, dato che si richiamava al sovrano, nel migliore dei casi, solo per legittimare il proprio esercizio del potere. E. può essere considerato come il tipico rappresentante di questa politica nel punto di incontro delle relazioni e degli sviluppi italiani e tedeschi, in cui egli era coinvolto per nascita e per la situazione geografica della sua sfera di potere.
Fonti e Bibl.: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum. Inde ab a. MCCCXIII usque ad a. MCCCXXXIV, V, a cura di J. Schwalm, in Mon. Germ. Hist., Legum sectio IV, Hannoverae-Lipsiae 1909-1913, ad Indicem; Parlamento friulano, I, a cura di P. S. Leicht, Bologna 1917, nn. 33-73 pp. 34-61; Monumenta historica Ducatus Carinthiae, VII, a cura di H. Wiessner, Klagenfurt 1961, nn. 394, 438, 481 e ad Indicem; VIII, ibid. 1963, ad Indicem; H. Spangenberg, Cangrande I. Della Scala, Berlin 1892-95, ad Indicem; G. B. Picotti, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312. Appunti storici, Livorno 1905, passim; G. Tabacco, La politica italiana di Federico il Bello re dei Romani, in Arch. stor. ital., CVIII (1950), pp. 32-77; G. Venuti, La politica italiana di E. II conte di Gorizia, in Studi goriziani, XVI (1954), pp. 95-133; P. Paschini, Storia del Friuli, II, Udine 1954, pp. 33 ss.; M. Pizzinini, Die Grafen von Görz und die Terraferma-Politik der Republik Venedig in Istrien in der 2. Hälfte des 13. Jahrhunderts, in Veröffentlichungen des Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, LIV (1974), pp. 183-211, particolarmente pp. 203 ss.; J. Riedmann, Die Beziehungen der Grafen und Landesfürsten von Tirol zu Italien bis zum Jahre 1335, Wien 1977, ad Indicem.