Figlio (n. forse a Valenciennes tra il 1274 e il 1276 - m. Buonconvento 1313) di Enrico III, conte di Lussemburgo, e di Beatrice di Avesnes e di Beaumont. Scese in Italia (1311) per restaurare il potere imperiale e porre fine alle rivalità tra guelfi e ghibellini ed essere incoronato imperatore (1312), ma incontrò l'ostilità di papa Clemente V, Filippo IV di Francia e Roberto d'Angiò, re di Napoli, marciando contro il quale morì.
Nel 1288, caduto il padre nella battaglia di Worringen, E. gli successe nella contea sotto la reggenza della madre. Divenuto maggiorenne e arbitro della politica del suo dominio, E., nelle lotte tra Filippo il Bello di Francia e Edoardo I d'Inghilterra, prese le parti del re di Francia, che dopo la morte di Alberto I d'Asburgo appoggiò validamente la sua elezione a re di Germania (27 novembre 1308). Incoronato ad Aquisgrana il 6 gennaio 1309, ottenne il consenso del pontefice Clemente V, residente ad Avignone, alla sua successiva discesa in Italia dalla quale il papa si attendeva la cessazione delle lotte tra guelfi e ghibellini, premessa di una nuova crociata. Prima di muovere verso l'Italia, E. aumentò considerevolmente la sua potenza in Germania e nell'Europa centrale, procurando il conferimento della corona di Boemia al proprio figlio Giovanni (1310). Passate quindi le Alpi nell'ottobre dello stesso anno, cinse a Milano la corona ferrea il 6 gennaio 1311. La sua venuta, che dapprima in realtà parve costituire un fatto di pacificazione, determinò ben presto l'acuirsi delle lotte tra guelfi e ghibellini. Fallito così il tentativo di elevarsi ad arbitro tra le parti in contesa e di restaurare il potere imperiale nella penisola, E. fu coinvolto nel gioco dei partiti italiani, divenne il capo dei ghibellini e si trovò pertanto in aperto contrasto con i guelfi, e in particolare con Roberto d'Angiò, con il papa e con il re di Francia. Poté pertanto cingere a Roma la corona imperiale il 29 giugno 1312 solamente grazie a un'azione violenta del popolo romano. Costretto dal papa, pena la scomunica, al rispetto di una tregua di dodici mesi con Roberto d'Angiò, guerreggiò intanto, ma senza successo, contro i guelfi di Toscana, ma nell'estate del 1313, dopo che da Pisa aveva emesso una sentenza di condanna per delitto di lesa maestà contro Roberto d'Angiò, con la quale lo aveva privato, come vassallo dell'Impero, di tutti i suoi beni fra cui il regno di Napoli e la Sicilia, rotti gl'indugi, nonostante una nuova minaccia di scomunica da parte del papa, s'incamminò con l'esercito verso i confini del regno di Napoli già attaccato da re Federico d'Aragona, suo alleato. Ma giunto a Buonconvento, nei pressi di Siena, morì all'improvviso, a torto si disse di veleno. La sua spedizione che era stata accolta con entusiasmo da alcuni (Dante in particolare) nella speranza di una restaurazione imperiale che ridesse pace e unità al mondo fallì in ragione dei diversi interessi delle forze in campo che difficilmente potevano riconoscersi in un tale progetto universalistico.