SETTALA, Enrico
SETTALA (da Settala), Enrico. – Apparteneva a una famiglia capitaneale originaria di Settala (o Settara), a sud-est di Milano. Non si conosce il nome dei genitori.
Trasferitisi già nel XII secolo (almeno in parte) in città, nei pressi della chiesa di S. Giovanni in Conca a porta Romana, i Settala raggiunsero una posizione importante all’interno dell’élite comunale: tra di loro si distinse Lanfranco da Settala che fu console (1145) e poi console di giustizia (1156).
Enrico Settala è documentato per la prima volta il 22 ottobre 1197, quando testimoniò in una causa relativa alla chiesa di Calvairate: è legittimo ipotizzare che fosse nato attorno al 1175, giacché è indicato (con Ariprando Visconti) come suddiacono della chiesa milanese. Una lettera di Innocenzo III dell’aprile del 1198, tuttavia, attesta in modo inconfutabile che egli, pur essendo incardinato nel clero ordinario della cattedrale, in quanto suddiacono papale facesse parte anche del clero romano.
La collocazione di suddiaconi papali nelle chiese padane costituì un aspetto peculiare della presenza della Sede apostolica nella regione, consentendo al papa di disporre di agenti qualificati all’interno delle istituzioni ecclesiastiche locali. Già prima del 1198 Settala fu noto alla Curia romana, e Innocenzo III fin dai primi mesi del suo pontificato ne lodò le capacità e la perizia nel condurre gli affari ecclesiastici. Nel 1198 Innocenzo III cercò di fargli assegnare la carica di cancelliere della chiesa milanese, che risultava da lungo vacante: ciò causò il primo, violento scontro con l’arcivescovo Filippo da Lampugnano, che aveva già conferito la carica a un suo congiunto.
Settala continuò a operare per la Sede apostolica nella regione padana: nel 1203 Innocenzo III lo incaricò di costringere il capitolo di Novara ad accogliere al suo interno il suddiacono papale Ariprando Visconti, e nel 1207 con l’arcidiacono Guglielmo da Rizolio fu incaricato di concludere la causa tra il prete della chiesa di S. Vittore e Quaranta martiri a Milano e un chierico che aspirava a ottenervi un beneficio (Die Register Innocenz’ III., V, 1993, p. 284.
È infatti probabilmente Settala quel «prepositus de Setara» (X, 2007, p. 95), suddiacono papale e canonico di Milano, menzionato nell’occasione. Peraltro, la sua presenza nel capitolo milanese è in questi anni decisamente sporadica: durante l’episcopato di Filippo da Lampugnano Settala mantenne una posizione defilata, dedicandosi nel frattempo agli studi che, a giudicare dalla successiva carriera, dovettero essere soprattutto rivolti al diritto canonico.
Dopo la deposizione di Filippo da Lampugnano (fine 1206) l’arcivescovo Uberto da Pirovano nominò Settala cimiliarca (tesoriere) della chiesa di Milano: in tale veste il 12 gennaio 1210, nel palazzo arcivescovile di Milano, presenziò a una sentenza pronunciata dall’arcivescovo in una causa tra l’abate di La Ferté e il vescovo di Pavia. Pochi giorni dopo (23 gennaio), con l’arciprete del capitolo Guglielmo Balbo fu delegato dall’arcivescovo a risolvere una causa tra un cittadino di Milano e l’abate di Chiaravalle, ma prima che fosse pronunciata la sentenza le parti si affidarono all’arbitrato di Settala, di magister Guidotto, vicario dell’arcivescovo, e di Raniero Butraffius: l’arbitrato fu accettato dalle parti il 23 dicembre 1210.
Gli incarichi affidati a Enrico depongono a favore delle sue competenze di canonista: ciò trova ulteriore conferma nella notizia, in verità riportata solo dal catalogo degli arcivescovi contenuto nel codice detto Beroldo, che al momento della sua nomina ad arcivescovo egli era «Bononie in scolis» (F. Savio, Gli antichi vescovi..., 1913, p. 568), un’espressione che non consente di comprendere se fosse a Bologna per studiare o per insegnare.
La complessa situazione che si delineò alla morte di Uberto da Pirovano (2 aprile 1211) consentì alla Sede apostolica di intervenire onde porre sulla cattedra di Ambrogio un ecclesiastico di fiducia di Innocenzo III. Forse nell’aprile del 1211 il clero ordinario elesse Gerardo da Sesso, vescovo eletto di Novara e di Albano e allora legato apostolico in Lombardia; ma Gerardo morì nel dicembre di quello stesso anno e oltre sei mesi dopo la sua morte gli elettori dell’arcivescovo – divisi fra i sostenitori di Ariprando Visconti, vescovo di Vercelli e ordinario della chiesa milanese, dell’arciprete e dell’arcidiacono milanesi – non riuscendo a trovare un accordo chiesero, peraltro inutilmente, l’intervento di Innocenzo III. Nel giugno del 1212 il papa incaricò il vescovo di Parma, con l’arcidiacono e l’abate del monastero parmense di S. Giovanni, di esaminare le modalità solitamente seguite nell’elezione dell’arcivescovo, soprattutto il ruolo in essa svolto dal capitolo, dal clero, dagli abati e dai vescovi suffraganei.
Il Comune di Milano stava però attraversando un momento particolarmente delicato, giacché si era apertamente schierato con Ottone IV, l’imperatore deposto e scomunicato da Innocenzo III fin dall’autunno del 1209, e aveva addirittura bandito dalla città il clero maggiore, che si era invece allineato alla posizione del papa e appoggiava la candidatura all’impero di Federico II. Ariprando Visconti, legato apostolico in Lombardia aveva perciò colpito Milano con l’interdetto e Innocenzo III, oltre a confermare tale grave sanzione, minacciò misure ancor più pesanti, volte a isolare politicamente Milano fino a toglierle la dignità metropolitica, sottraendole il controllo delle sedi suffraganee (come già era avvenuto con Cremona), e a privarla addirittura della sede episcopale.
Il 26 settembre 1213 l’improvvisa morte di Ariprando Visconti, il più accreditato candidato alla sede milanese, rese evidente la necessità di giungere a una designazione, e il capitolo sollecitò al pontefice la scelta dell’arcivescovo, rinunciando così a una prerogativa gelosamente custodita. E Innocenzo III – che aveva bisogno di controllare la metropoli ambrosiana anche in vista della preparazione e dello svolgimento della crociata, che di lì a poco il Concilio Lateranense IV avrebbe solennemente bandito – il 4 novembre 1213 comunicò ai milanesi di aver designato come arcivescovo Settala; costui, essendo semplicemente suddiacono, dovette essere consacrato diacono e prete.
L’episcopato di Settala fin dai suoi inizi fu segnato dalla travagliata situazione politica e religiosa in cui versava Milano, sia perché la città rimase al fianco di Ottone IV anche dopo la sconfitta da questi subita a Bouvines (27 luglio 1214) sia perché, di conseguenza, la diocesi rimase gravata dalle pesanti censure ecclesiastiche con un sostanziale blocco delle attività sacramentali. Lo stesso presule non poté ricevere né la consacrazione episcopale né il pallio per poter esercitare l’autorità metropolitica fino a quando non si ristabilì la piena armonia tra il Comune e la Chiesa romana. Anche i rapporti con il Comune, ai vertici del quale stavano esponenti del populus, furono difficili, perché Settala si schierò sempre con il clero maggiore e la pars militum.
Nel novembre del 1215 in veste di arcivescovo eletto, Settala partecipò al Concilio Lateranense IV (in occasione del quale una rappresentanza del Comune ambrosiano tentò invano di ottenere l’assoluzione di Ottone IV). Dopo l’ulteriore, infruttuoso tentativo di due legati innocenziani di sottomettere Milano alle direttive papali (estate 1216), il nuovo papa Onorio III fin dagli inizi del pontificato cercò di indurre il Comune ambrosiano a osservare la tregua promossa dal Concilio per consentire la più larga partecipazione alla crociata e nel febbraio del 1217 chiese che nella diocesi fosse raccolta la vigesima per la crociata.
La svolta, nel lungo contrasto, si ebbe nel 1218, quando Milano, essendo podestà Amizone Sacco, cessò di appoggiare incondizionatamente Ottone IV (che peraltro in quell’anno morì) e si avvicinò alla posizione del Papato, favorevole a Federico II. Il segnale di pace fu l’invito rivolto a Settala (febbraio 1218) di recarsi a Roma per la consacrazione (prevista insieme a quella del vescovo eletto di Bergamo Giovanni Tornielli, anch’egli suddiacono papale); per ordine del papa, il clero urbano e diocesano ne sostenne le spese del viaggio presso la Sede apostolica. La consacrazione fu peraltro rinviata per lo scoppio delle ostilità tra Milano e Piacenza da un lato, contro Cremona e Parma dall’altro, un fatto che causò l’ennesima scomunica delle autorità comunali. Settala fu infine consacrato a Rieti per mano del papa (agosto 1219) solo dopo la tregua tra Milano e Cremona (dicembre 1218), mediata dal cardinale legato Ugo d’Ostia, inviato nell’Italia centro-settentrionale per preparare la crociata.
Questi avvenimenti illustrano in modo convincente lo stretto legame esistente tra le questioni politiche e quelle ecclesiastiche: le scelte del Comune di Milano influivano direttamente sulle sorti della Chiesa; d’altra parte anche il ceto dirigente cittadino riteneva l’accordo con l’arcivescovo fondamentale per garantire al Comune il controllo delle città comprese entro la provincia ecclesiastica milanese.
I dissidi tra arcivescovo e Comune di Milano tuttavia non si appianarono. Settala, come numerosi altri vescovi lombardi, fu sensibile all’appello alla crociata e per un intero anno (1220) – sostituito in diocesi dal vicario Ugo da Settala, suo consanguineo e suo successore nella carica di cimiliarca – fu in Egitto presso gli eserciti crociati durante l’assedio di Damietta (nel delta del Nilo).
Al ritorno dall’Oriente le frizioni con il Comune riemersero violente. Nel luglio del 1221 Settala scomunicò il podestà e gli abitanti di Monza (che forse avevano tentato con l’appoggio delle magistrature milanesi di sottrarsi alla giurisdizione temporale) e, avendo risposto negativamente alla richiesta del podestà di Milano Amizone Sacco di revocare il provvedimento, fu bandito da Milano. Dopo un infruttuoso tentativo di mediazione, il cardinale legato Ugo d’Ostia, allora presente nella regione, scomunicò nuovamente il podestà e i membri della Motta e della Credenza, le due società che rappresentavano il populus di Milano.
Settala trascorse il nuovo esilio nei numerosi castelli, in particolare in quelli sul lago Maggiore (Angera, Brebbia). Intanto si acuirono anche i contrasti tra la fazione nobiliare e il populus: i nobili furono esiliati e si giunse al conflitto armato, evitato solo per un accordo intervenuto sul campo di battaglia il 13 agosto 1222: Settala poté rientrare a Milano con gli altri esponenti del partito nobiliare. Il rientro fu precario, giacché nel febbraio del 1224 egli dovette ancora lasciare la città (nonostante l’appoggio del papa che minacciò la scomunica alle autorità milanesi se non avessero rispettato i diritti dell’arcivescovo) e vi rientrò l’anno successivo, dopo un ulteriore accordo voluto dal papa, che convocò in Curia ambedue le parti.
La pacificazione con il comune di Milano consentì a Settala di occuparsi della disciplina ecclesiastica all’interno della vasta provincia milanese: nel novembre del 1226, infatti, in ottemperanza alla cost. 6 del IV Concilio Lateranense, egli convocò a Milano un sinodo provinciale, le cui deliberazioni non sono note, a eccezione dell’incarico conferito ai vescovi di Brescia e di Ivrea di difendere i diritti della Chiesa di Acqui nei confronti di Alessandria (Pavoni, 1977, pp. 145-147). L’elezione di Gregorio IX (Ugo d’Ostia) nel marzo del 1227 e la successiva scomunica di Federico II (che non aveva mantenuto l’impegno di intraprendere la crociata) modificò i rapporti tra la Sede apostolica e Milano e le città sue alleate in funzione antimperiale. Il papa prese ad appoggiare la Lega lombarda (ricostituitasi già nel 1226); pertanto Settala, fedele interprete della politica romana, presenziò con il legato papale (il domenicano bergamasco Guala de Roniis) al rinnovo dei patti intercittadini, ospitato (2 dicembre 1229) nel palazzo arcivescovile di Milano.
Tutti i motivi qui accennati consentono di mettere in luce il fondamentale rapporto di Enrico con la Sede apostolica, sia con i papi sia tramite i legati papali (come Ugo d’Ostia (1218-21) e poi il milanese Goffredo Castiglioni, cardinale prete di S. Marco (1228-29). Costoro, oltre a fornire direttive in merito a questioni politiche, sollecitarono anche le scelte dell’arcivescovo circa la vita regolare nella città e nella diocesi.
La concessione ai frati predicatori della basilica di S. Eustorgio, venne effettuata il 24 ottobre 1220, alla presenza del capitolo e del cimiliarca Ugo, vicario arcivescovile, e con il consenso esplicito dell’arcivescovo, allora in Egitto al seguito dei crociati. Settala beneficiò ripetutamente anche le pauperes sorores Mediolani commorantes ordinis de Spolito (le future damianite), sostenute dal cardinale d’Ostia che ne era il provisor et rector; su esplicita richiesta di quest’ultimo donò infatti loro la chiesa di S. Apollinare (novembre 1224). L’anno successivo Settala, con l’accordo del capitolo, concesse alle «sorores pauperes incluse Mediolani commorantes» (Alberzoni, 1991, pp. 178 s.) l’esenzione dalla giurisdizione vescovile come segno della sua devozione.
Anche le relazioni con il nascente Ordine dei frati minori si legano alla volontà dell’arcivescovo di rispondere a richieste di Ugo d’Ostia e, soprattutto, di Goffredo Castiglioni, che nel maggio del 1228 a Lodi, non solo promulgò decreti di riforma della vita ecclesiastica nella provincia di Milano, ma avviò la fortunata collaborazione tra il Comune e i frati predicatori e minori in funzione antiereticale.
Settala morì nel castello di Brebbia il 16 settembre 1230. Il suo corpo fu dapprima portato a S. Vittore all’Olmo, un ospizio posto all’esterno e non lontano dalla città, dove i frati minori erano attestati almeno dal 1224. Da lì la sua salma seguì la comunità minoritica, prima a S. Nabore (presso S. Ambrogio) e poi nella chiesa di S. Francesco grande, presso la quale i frati minori fin dal 1233 stabilirono il loro convento, soppiantando la basilica naboriana. L’arca dove il corpo dell’arcivescovo fu collocato era ancora visibile nel XVIII secolo, ma con la soppressione del convento e della chiesa di S. Francesco se ne perse traccia.
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