SAPPIA, Enrico
SAPPIA, Enrico. – Nacque a Toetto, nella Contea di Nizza, il 17 aprile 1833, da un piccolo possidente, Giuseppe, e da Marcellina Simon.
Con la famiglia si trasferì presto a Nizza, dove compì studi classici sotto la guida di uno zio paterno, che insegnava retorica all’Università di Torino.
Giovanissimo, si entusiasmò per lo sbarco di Giuseppe Garibaldi a Nizza nel 1848 e subito lo seguì nella guerra all’Austria. Dopo la sconfitta nella prima guerra d’indipendenza riparò a Roma, che a seguito della fuga di papa Pio IX si era costituita in Repubblica. Qui entrò in contatto con Giuseppe Mazzini e nel luglio del 1849, mentre le truppe francesi stavano per fare ingresso in città, riuscì a imbarcarsi alla volta di Costantinopoli. Sembra che fosse stato incaricato dallo stesso Mazzini di una missione nell’Ungheria in rivolta di Lajos Kossuth, ma Sappia, che pure raggiunse la Serbia, fu costretto a tornare a Costantinopoli alla notizia della sconfitta degli insorti. Sul Bosforo sembra che entrasse a far parte di una cerchia terroristica, denominata Congrega dei diciassette, che si riprometteva di uccidere i principali sovrani d’Europa. Presto tornato a Nizza, avviò a Marsiglia una rete di contatti con i repubblicani francesi e italiani, convinto che da Parigi potesse presto suonare l’ora della rivincita democratica.
Nel settembre del 1850 si spostò a Torino, dove concordò una missione nelle Due Sicilie, che pare dovesse prevedere l’assassinio del re Ferdinando II. Dopo una sosta a Roma, alla fine di novembre sbarcò a Napoli, ma la polizia, messa in allarme, lo tradusse immediatamente in carcere. La detenzione non fu di breve durata, benché nulla poté essere addebitato a Sappia: questi tenne fermo sino a quando ebbe la speranza che le cose in Francia – sotto la guida del democratico Alexandre-Auguste Ledru-Rollin, del quale gli era stato sequestrato un ritratto – potessero volgere al meglio e costituire il presupposto per un’altra rivoluzione in Italia. Il colpo di Stato di Luigi Napoleone (2 dicembre 1851) dovette però spingerlo a più miti consigli, perché in carcere si disse disponibile a collaborare, facendo i nomi degli affiliati napoletani alla setta, tra i quali annoverava pure Francesco De Sanctis.
Agli inizi del 1854 fu infine scarcerato e tornò presto in patria per vestire, dal mese di giugno, la divisa del granatiere piemontese. L’uniforme gli permise di proseguire largamente indisturbato la propria azione politica, molto adoperandosi per distribuire tra i soldati la protesta di Mazzini contro la guerra di Crimea. Tuttavia, la sua carriera nelle armi conobbe una battuta d’arresto nel settembre del 1858, quando da sergente venne retrocesso a soldato semplice e presto costretto a lasciare l’esercito. Da quel momento si perdono le sue tracce, anche se sembra fosse in Sicilia e addirittura partecipasse al fatto d’Aspromonte.
Nel 1863 era comunque a Torino, dove collaborò ai lavori di una società di pubblica istruzione prima di prender parte, nel settembre del 1864, alle proteste di piazza contro il trasferimento della capitale a Firenze. Per l’occasione arringò gli operai contro la rinuncia a Roma e chiese le dimissioni del ministero Marco Minghetti che si era piegato alla prepotenza francese. Sempre mazziniano, sembra si impegnasse nelle elezioni del 1865 e anche se non è certa la sua partecipazione ai fatti di Mentana pensò bene di lasciare subito dopo l’Italia per raggiungere la Francia forte di una lettera di presentazione del Genovese.
A Parigi dette alle stampe nel 1869, sotto altro nome, un libro che si caratterizza per il tentativo d’integrare il pensiero mazziniano con le idee del socialismo rivoluzionario. Le fortune dell’opera furono di qualche conto, perché Sappia prese a collaborare ai fogli democratici, quali il Courrier français prima e La Reforme poi. Nel 1870 partecipò alla campagna dei banchetti contro Napoleone III, ma venne presto arrestato con l’accusa di far parte di una setta segreta pronta ad assassinarlo. Nel processo tenutosi a Blois, benché corresse la voce che fosse un informatore della polizia, venne condannato a 15 anni di prigione, ai quali si sottrasse grazie alla concomitante caduta di Napoleone III, che gli consentì di raggiungere Parigi e, nei disordini seguiti alla sconfitta nella guerra franco-prussiana, mettersi alla testa di un battaglione della guardia nazionale.
In quelle vesti fu in prima fila nel gennaio del 1871 all’assalto al municipio della capitale, episodio che dette avvio alla Comune e nel quale, secondo molte testimonianze, avrebbe trovato la morte. In realtà gli riuscì di fuggire, attraversare le linee prussiane e raggiungere Londra, dove denunciò la repressione del febbraio 1871 a Nizza, quando le truppe regolari tirarono sulla folla che reclamava il ritorno della città all’Italia. Il soggiorno londinese non durò tuttavia molto, perché nel 1874 tornò in Italia e raggiunse Napoli: qui, grazie all’aiuto dei circoli massonici, ottenne la possibilità di insegnare e di restituirsi al mero diletto degli studi.
Dal 1875 visse in Puglia: sotto pseudonimo dette alle stampe numerosi scritti dedicati alla Terra di Bari, tra i quali spicca una storia di Bitonto, cittadina dove risiedette per alcuni anni, nella quale declina il passato storico della comunità sotto il segno di un’identità aborigena mai alterata dalla presenza greca. Il patriottismo dell’opera, che riprende il tema del primato italico caro all’erudizione nazionale del tempo, gli avrebbe aperto la via di un rinnovato impegno culturale, che si tradusse nella stampa di un periodico – La Lima – uscito nel 1880 a Bari. Presto fallito l’esperimento editoriale, si trasferì a Teramo, dove per conto della Riforma di Roma seguì le udienze di un processo balzato agli onori della cronaca nazionale. Stabilitosi in Abruzzo, vi rimase sino al 1890, proseguendo nell’insegnamento e pubblicando numerosi lavori di carattere storico e artistico. Passò poi a Caserta, dove fino al 1895 fu docente di italiano e storia in un seminario.
Nel 1896 si sentì sicuro di poter tornare a Nizza, dove tentò inutilmente la carriera dello scrittore in lingua italiana pubblicando a Torino due romanzi, che non ebbero alcun successo. Il fallimento lo obbligò a prendere atto che la sua città natale era ormai francese e che solo in quella lingua avrebbe avuto possibilità di espressione. Nel 1898 fondò il periodico Nice historique, che si pubblica ancor oggi, dove, in ossequio a un discorso nazionale costretto a farsi locale, si prefiggeva il compito di illustrare il passato storico dell’antica contea. Accanto a questa iniziativa ebbe però cura di aggiungere l’istituzione di una Acadèmia nissarda, sempre con il compito di preservare le tradizioni e la lingua locali. E nella difesa della peculiarità nizzarda a fronte dell’invadenza francese, Sappia avrebbe speso gli ultimi suoi anni.
Morì a Nizza il 29 settembre 1906.
Opere. E. Simoni [E. Sappia], Mazzini, Histoire des conspirations mazziniennes, Paris 1869; E. Sappia di Toetto, Nizza contemporanea, London 1871; E.T. De Simone [E. Sappia], Storia della città di Bitonto, Napoli 1877; Nel giorno trigesimo della morte di Giuseppe Garibaldi. Commemorazione del prof. E. S. De Simone il 2 luglio 1882 detta in Chieti nella sala della Società operaia, Chieti 1882; P. Renacaspi [E. Sappia], Non era desso! Racconto storico del secolo XVI, Torino 1896; Id., Amor di figlio, Torino 1898; E. Sappia De Simone, Gli scritti abruzzesi, a cura di E.S. Serpentini, Mosciano Sant’Angelo 2016.
Fonti e Bibl.: M.A. Canini, Briciole di storia, Torino 1882, pp. 69-78; E. Cione, Quando la storia sembra romanzo, in Id., Il paradiso dei diavoli. Napoli dal 400 all’800, Milano 1949, pp. 211-296; M. Mauviel, L’incroyable odyssée d’Henri Sappia. Conspirateur niçois et agent secret sous le Second Empire, Draguignan 2007; Id. - E.S. Serpentini, E. S. Cospiratore e agente segreto di Mazzini, Mosciano Sant’Angelo 2009.