PEA, Enrico
Scrittore, nato a Seravezza (Lucca) il 29 ottobre 1881. Da giovane fu marinaio e meccanico. Emigrato in Egitto, vi dimorò a lungo commerciando. Ora vive a Viareggio. Ha collaborato a molti giornali e periodici, fra i quali La Voce, L'Italia letteraria, Pègaso, Pan. Attualmente scrive soprattutto nella Gazzetta del Popolo e nella Nuova Antologia.
I primi lavori del P. sono di poesia e di teatro. Una poesia (Montignoso, Ancona 1912; Lo spaventacchio, Firenze 1914) descrittiva e narrativa, che ricordi dannunziani, evidenti nella sensuale ricerca di risalto verbale e di vocaboli rari, sia pure del vernacolo versiliese, e ricordi pascoliani, palesi nell'attenzione alle cose e al paesaggio agresti e sopra tutto nell'andamento ritmico e strofico di poemetto, supera a momenti in un fare tra mordente e incantato. Un teatro (Giuda, Napoli 1918; Prime piogge d'ottobre, ivi 1919; Rosa di Sion, ivi 1919), dove, sotto un cadenzato e simbolico eloquio che richiama insieme il Maeterlinck e il Claudel, già appaiono talune delle principali caratteristiche del P. narratore: un malizioso amore per l'intrigo, per l'avventura, per le figure di umile condizione ma eccezionali per le passioni, gli ambienti, i casi fra cui vivono; una sensuale tenerezza per la donna e per il peccato, a specchio di un biblico senso del male, di un'ansia di espiazione, di catarsi. Ma è solo nel racconto Moscardino (Milano 1922) che codeste qualità si mostrano a loro agio, in una narrativa che, memore, quanto a impostazione, del bozzettismo toscano dell'Ottocento, in verità si serve della trama come di un mezzo per introdurre e vagheggiare quelle figure, e queste tende a rappresentare piuttosto dall'esterno, plasticamente, che non dall'interno, per analisi psicologica; e piuttosto nelle successive stazioni della loro via crucis, in atteggiamenti riassuntivi e simbolici, che non nel loro lento divenire. Di qui però anche in contrasto fra la magica essenzialità di codeste figurazioni e la gracilità discorsiva delle parti connettive; fra certi spunti realistici, o procedimenti da racconto tradizionale, e una sentenziosità da parabola: fra conati costruttivi e gusto frammentistico (v. frammentismo, App.). Ma nei racconti successivi del P. (Il Volto santo, Firenze 1924; Il servitore del Diavolo, Milano 1931; Il forestiero, Firenze 1937; La Maremmana, ivi 1938), specie nei più recenti, codesto iato è andato in parte attenuandosi col raffittirsi della trama attorno alle figure; così come la sua prosa, risentita e insieme melodica, è andata sempre più cercando il suo rilievo, anziché in arcaismi o idiotismi, nell'intima espressività della parola e della sintassi.
Bibl.: G. Boine, Plausi e botte, Firenze 1918; A. Gargiulo, in N. Antol., 1° ottobre 1932, 1° agosto 1938; S. D'Amico. Il teatro ital., Milano-Roma 1932; P. Pancrazi, Scritt. ital. d. Novecento, Bari 1934; id., in Corr. della sera, 5 luglio 1938.