PANZACCHI, Enrico
– Nacque a Ozzano dell’Emilia (Bologna) il 16 dicembre 1840, secondogenito di Patrizio, fattore e amministratore delle vaste tenute di casa Malvezzi de’ Medici, e Maria Labanti.
Due anni dopo la famiglia si stabilì a Bologna ove, presso il seminario, il giovane Panzacchi si formò sotto la guida di Francesco Battaglini, futuro cardinale. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza, la abbandonò ben presto per quella di lettere a Pisa, ove ebbe come professori Pasquale Villari e Alessandro d’Ancona, laureandosi in filologia nel 1865. Intrapresa la carriera di insegnante, nel 1866 fu nominato professore di storia al liceo Azuni di Sassari – un vivace resoconto di questa breve esperienza è nel racconto La mia unica traversata –, l’anno successivo passò a insegnare filosofia al liceo Salvator Rosa di Potenza, per essere poi trasferito con lo stesso incarico pochi mesi più tardi al Galvani di Bologna. Lì nel 1872 sposò Emilia Massarani Prosperini, da cui ebbe il figlio Giuseppe; nello stesso anno ottenne la cattedra di storia e critica d’arte all’Accademia di belle arti, che occupò fino al 1895, quando venne nominato professore ordinario di estetica e storia dell’arte moderna all’Università. All’insegnamento, cui non sempre poté dedicarsi con la necessaria diligenza, affiancò dal 1891 al 1896 l’incarico di direttore della Pinacoteca. In occasione dell’VIII centenario dell’Alma Mater (1888) fu insignito della laurea honoris causa in filologia, grazie all’interessamento, tra gli altri, dell’amico Giosue Carducci.
«Uomo d’ordine» e monarchico convinto (Baldacci, 1958, p. 1045), non lesinò l’impegno politico nelle file dei liberali moderati, che si riconoscevano allora nel partito degli Azzurri: dal 1868 fu eletto più volte consigliere comunale a Bologna, e dal 1868 al 1872 fu assessore all’Istruzione, battendosi per la laicità della scuola, una miglior retribuzione della classe docente e un aumento delle borse di studio, in linea con quanto propugnava in quegli anni la Massoneria, alla quale fu spesso assai vicino anche se mai formalmente affiliato.
Eletto per la prima volta deputato nelle elezioni del 1882, coronò la carriera politica con la nomina a presidente dell’Associazione liberale monarchica (1898) e col sottosegretariato all’Istruzione durante il governo Saracco (1900-1901); tra i suoi provvedimenti si ricordano la controversa circolare con la quale impose ai professori di lettere nei licei d’insegnare anche storia dell’arte e una meritoria interrogazione parlamentare sulla necessità di restaurare gli affreschi del Correggio nella cupola di S. Giovanni a Parma.
Di ingegno versatile e di spiccata sensibilità, rivolse i suoi interessi alla letteratura, alla musica e alle arti figurative, distinguendosi come poeta, oratore, saggista, narratore, critico musicale, giornalista, fino a guadagnarsi l’ambigua fama di «buongustaio d’arte» (Croce, 1906, p. 10) e di «sperimentatore dilettante» (Baldacci, 1958, p. 1046), fama che finì per mettere in ombra quella ben altrimenti lusinghiera di autorevole esponente, con Carducci e Stecchetti, del cosiddetto ‘triumvirato bolognese’.
Di così vasta ed eclettica produzione la parte più caduca sembra essere rappresentata dalle novelle, che pure riscossero vasto consenso al momento della loro pubblicazione, come dimostra l’inclusione in antologie scolastiche quali la pascoliana Fior da fiore, o Primavera di Giuseppe Lipparini; tali novelle, uscite dapprima col titolo Infedeltà (Roma 1884), quindi, con modifiche e aggiunte, in Racconti incredibili e credibili (Roma 1885) e I miei racconti (Milano 1889; Bologna 1894; Milano 1900), trattano temi autobiografici e musicali, evidenziando un gusto per il patetico e il sentimentale di marca tipicamente tardo-romantica, che solo a tratti risente di qualche influsso verista (alcuni critici hanno accostato Povero Guermanetto! alla verghiana Rosso Malpelo). Dal più lungo di tali racconti, Infedeltà, lo scrittore trasse una pièce teatrale, cui non arrise grande successo.
Più significativa la produzione poetica, rappresentata dalle sillogi Piccolo romanziere (Milano 1872) e Funeralia (Bologna 1873), poi confluite in Lyrica: romanze e canzoni (ibid. 1877); Vecchio ideale (Ravenna 1879), Nuove liriche (Milano 1888), Rime novelle (Bologna 1898) e Cor sincerum (Milano 1902). Panzacchi risentì dell’ingombrante modello carducciano, pur rifiutando sempre la metrica barbara; seppe peraltro ritagliarsi uno spazio proprio, anticipando per più aspetti la poesia dannunziana o addirittura quella gozzaniana, dalle quali tuttavia lo separano il costante moralismo e la diffidenza verso ogni poetica parnassiana o simbolista. A caratterizzare le sue liriche, che non dispiacquero a Carducci (recensore nel 1872 del Piccolo romanziere) e apertamente lodate da Pascoli nella commemorazione del poeta poi rielaborata quale Prefazione dell’edizione completa delle Poesie (Bologna 1908), sono la ricchezza dei metri e dei temi (civili, mitologici, storici, intimi, mortuari, e infine paesaggistici: Flora vi ha riconosciuto l’ispirazione più sincera e profonda dell’artista) e la spiccata sensibilità musicale, che ha portato molte sue liriche a essere musicate da celebri compositori del tempo come Francesco Paolo Tosti.
Se gli entusiasmi per «l’oratore principe del trentennio 1874-1904» (Foratti, 1940, p. 12), testimoniati dall’esaltazione tardo-ottocentesca dei discorsi in morte di Marco Minghetti o di Vittorio Emanuele II, sono andati progressivamente raffreddandosi, la considerazione per l’attività giornalistica e critica di Panzacchi non sembra aver subito ridimensionamenti: pur privo di un saldo bagaglio filosofico, estraneo alle solide ricerche erudite e filologiche care alla scuola storica, fu un accattivante divulgatore, capace di trattare con competenza e buon gusto i più svariati argomenti. Fondò diversi giornali e riviste (L’indipendente; la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole; Lettere e arti) e altri ne diresse (Capitan Fracassa, Nabab, Italia, Il monitore), collaborando assiduamente a periodici come Il Fanfulla della domenica, la Cronaca bizantina, la Nuova Antologia, la Rivista d’Italia e più sporadicamente a quotidiani come Il Resto del carlino e il Corriere della sera, o a giornali umoristici come Il matto, Il diavoletto, Lo staffile, e periodici musicali come la Gazzetta musicale di Milano.
La vasta produzione saggistica, caratterizzata da toni amabilmente divulgativi, equilibrio nei giudizi e ardente patriottismo, confluì in diversi volumi, tra i quali Teste quadre (Bologna 1881), Al rezzo (Roma 1882), Critica spicciola: a mezza macchia (Roma 1886), Nel campo dell’arte (Bologna 1897) e Morti e viventi (Catania 1898). Vi spiccano, accanto ai contributi dedicati alla letteratura e alle arti figurative, gli interventi di carattere musicale poi raccolti nei volumi Riccardo Wagner: ricordi e studi (Bologna 1883) e Nel mondo della musica (Firenze 1895), che ben ne testimoniano l’ardente wagnerismo (fu alla ‘prima’ italiana del Lohengrin a Bologna nel 1871 e si recò in pellegrinaggio a Bayreuth nel 1876 con Arrigo Boito e il critico Filippo Filippi per l’inaugurazione del Festspielhaus, distinguendosi poi come animatore della Società wagneriana) e la passione per l’opera lirica (fu tra i ferventi sostenitori di Stefano Gobatti e della sua «tragedia lirica» I Goti, cui dedicò un saggio nel Monitore del 1874, e difese strenuamente il Mefistofele di Arrigo Boito in occasione della rappresentazione bolognese del 1875). Scarsa fortuna ottennero invece i libretti dei melodrammi: Ettore Fieramosca (Bologna 1875, musica di Cesare Dall’Olio), Wallenstein (Bologna 1877, Gustavo Ruiz) e Janko (Bologna 1897, Gustavo Tofano).
Morì a Bologna il 5 ottobre 1904, e fu sepolto alla Certosa.
Col suo «edonismo prudente» ed «elegante eclettismo» (Sormani, 1975, p. 557), Panzacchi, alla stregua di Enrico Nencioni o Giuseppe Chiarini, è figura emblematica di quei letterati del secondo Ottocento che, all’ombra di Carducci, seppero coniugare insegnamento, poesia e passione politica; i suoi meriti, enfatizzati dai contemporanei, poi troppo severamente ridimensionati salvo qualche recente tentativo di recupero (Giannantonio, Mariotti, Bolondi), risiedono nella sensibilità e ricettività di lettore e nel gusto tutto moderno del saggio e della divulgazione, per i quali è ricordato anche nel Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani (il protagonista del romanzo prepara una tesi su di lui, pur preferendogli Carducci).
Fonti e Bibl.: B. Croce, E. P., in La critica, IV (1906), 1, pp. 7-12; C. Schmidl, Diz. universale dei musicisti, III, Milano 1938, p. 589; E. Lamma, E. P.: ricordi e memorie, Bologna 1905; G. Roncaglia, E. P. e la musica, Modena 1907; G. Pascoli, Prefazione a E. Panzacchi, Poesie, Bologna 1908, pp. III-XI; F. Flora, Storia della letteratura italiana, XIV, Milano 1940, pp. 170-77; A. Foratti, Le prose di E. P., in L'Archiginnasio, XXXV (1940), n. 1-3, pp. 1-13; Enc. dello spettacolo, VII, Roma 1954, coll. 1585 s.; L. Baldacci, Poeti minori dell’Ottocento, Milano-Napoli 1958, pp. 1045-55; Antologia della critica wagneriana in Italia, a cura di A. Ziino, Messina 1970, pp. 37-42, 189-98 e passim; U. Jung, Die Rezeption der Kunst Richard Wagners in Italien, Regensburg 1974, ad ind.; E. Sormani, Estetismo borghese e disponibilità di E. P., in La letteratura italiana: storia e testi (Laterza), VIII, 2, Roma-Bari 1975, pp. 556-62; Wagner in Italia, a cura di G. Rostirolla, Torino 1982, ad ind.; Diz. encicl. universale della musica e dei musicisti. Le biografie, V, Torino 1989, pp. 566 s.; E. Panzacchi, Racconti, a cura di V. Giannantonio, Chieti 1993; A. Fiori, Musica in mostra. Esposizione internazionale di musica (Bologna 1888), Bologna 2004, ad ind.; E. Panzacchi, Lyrica, a cura di C. Mariotti, Roma 2008; C. Bolondi, E. P.: analisi e aspetti culturali in racconti, saggi critici e periodici, Bologna 2012; B. Lazotti, P. scrittore e musicografo, in Sonata a tre 1867-1871. Verdi, Wagner e Bologna, 1813-2013, a cura di P. Mioli, Lucca 2013, pp. 445-74.