MORICOTTI, Enrico
MORICOTTI, Enrico.– Originario di Pisa, è ricordato nelle fonti medievali esclusivamente come Henricus pisanus o de Pisa; la sua attribuzione alla famiglia dell’aristocrazia pisana dei Moricotti sembra doversi all’erudizione di età moderna.
Scarsissime sono le notizie sulla sua vita prima della nomina cardinalizia; secondo Gaufrido (monaco e successivamente abate di Clairvaux, morto intorno al 1190), Enrico entrò nella congregazione cistercense e risiedette a Clairvaux, dove ebbe rapporti diretti con s. Bernardo. Nel 1148 partecipò al concilio di Reims quale suddiacono papale. Ancora Gaufrido riferisce che successivamente Enrico divenne abate del monastero dei Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, situato nel suburbio romano, concesso da pochi anni alla congregazione dal pontefice Innocenzo II (1140). Se effettivamente Enrico ricoprì questa carica, dovette guidare tale cenobio per breve tempo poiché già nel 1151 Eugenio III lo creò cardinale prete del titolo dei S. Nereo e Achilleo. Da allora e per un arco cronologico di poco più di tre lustri si possiede un nutrito dossier di testimonianze sulla sua attività di legato papale, composto di molti riferimenti alla sua attività contenuti in testi di varia natura e di un’interessante corrispondenza con papi, sovrani e dignitari ecclesiastici, ma anche con uomini di cultura e regine, come Eleonora d’Aquitania.
Nei primi mesi del 1155 il neoeletto pontefice Adriano IV lo inviò quale suo legato presso la corte del re di Sicilia Guglielmo, che allora risiedeva a Salerno, evidentemente nel tentativo di arrivare a una pacificazione con il sovrano.
Stando al testo del Chronicon di Romualdo salernitano, tuttavia, il re non volle neppure ricevere Enrico, rinviandolo immediatamente a Roma, poiché nelle lettere papali recapitate dal legato Guglielmo veniva definito semplicemente come signore di Sicilia e non come sovrano («eo quod in litteris apostolicis, quas regi portabat, papa ipsum non regem, sed Wilhelmum dominum Sicilie nominabat»).
Nell’ambito dei complessi e contrastati rapporti tra il pontefice Adriano IV e l’imperatore Federico I, Enrico dovette essere uno degli esponenti del collegio cardinalizio meno intransigenti nei confronti del sovrano svevo, pur essendo egli apertamente schierato con il papa. Per tal motivo nel 1158 il pontefice lo inviò in Germania in qualità di legato papale, insieme al cardinale Giacinto Boboni (il futuro papa Celestino III).
Le doti dei due cardinali sono messe in evidenza da uno dei biografi di Federico I, Rahewino, il quale li definisce «viri prudentes in secularibus et ad curialia negotia pertractanda prioribus missis multo aptiores (…) spectabilitas gratiosa, generis nobilitas, ingenium sapientia validum, animi inperterriti (…) Nullius sibi delicti, nullius libidinis gratiam faciebant; laudis avidi, pecuniae liberales erant; gloriam ingentem, divitias honestas volebant» (Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I imperatoris, 1920, p. 190).
I due legati nell’ultima parte del loro viaggio per la Baviera, valicando le Alpi, furono assaliti, derubati dei loro beni e presi prigionieri da due conti del Tirolo. Poterono riottenere la libertà solamente quando da Roma fu inviato come ostaggio il fratello del cardinale Giacinto. Ripreso il viaggio dopo alcune settimane, i due cardinali incontrarono l’imperatore presso Augusta. L’esito della missione fu apparentemente positivo, poiché il Barbarossa mostrò un atteggiamento alquanto conciliante nei colloqui avuti con i due legati; tuttavia i risultati raggiunti si palesarono presto effimeri, visto che dopo poco tempo la situazione precipitò nuovamente, riportando a uno stato di forte contrapposizione tra papa e imperatore.
Ad Augusta Enrico ebbe modo di conoscere e stringere legami con il notissimo teologo bavarese Gerhoh di Reichersberg, canonico agostiniano, che gli affidò il suo commentario al Salmo 64 da sottoporre al pontefice. Fu proprio Enrico a sollecitare allo stesso teologo di redigere il De laude fidei, che in seguito Gerhoh dedicò allo stesso cardinale.
Anche quando nei mesi seguenti i rapporti tra papa e imperatore si fecero nuovamente tesi, Enrico tentò di mantenere una posizione di equilibrio e di apertura verso i sostenitori di Federico I. Lo testimonia bene anche una sua lettera scritta nel 1159 al vescovo di Bamberga Eberardo, che era in stretto rapporto con l’imperatore, nel tentativo di trovare una soluzione al conflitto. Stando alla risposta inviata a Enrico, il presule bavarese riteneva opportuno che il papa inviasse nuovamente suoi legati all’imperatore per tentare una ricomposizione. Così fu; Adriano IV inviò quattro cardinali, tra i quali Enrico e il cardinale Ottaviano, principale esponente del partito filoimperiale nel seno del collegio cardinalizio. L’incontro avvenne nel mese di aprile in Emilia, ma non sortì gli effetti sperati; Enrico, comunque, si trattenne a lungo presso il campo del Barbarossa.
Trasferitosi a Pisa su mandato del pontefice, esaminò la questione vertente tra il vescovo di Pistoia e quello di Firenze circa la giurisdizione sul monastero di S. Martino di Prato e l’8 agosto 1159 si pronunciò a favore del presule pistoiese. Alla morte di Adriano IV (1° settembre 1159), partecipò all’elezione del cardinale Rolando Bandinelli, che prese il nome di Alessandro III, schierandosi con la maggior parte dei membri del collegio cardinalizio; contemporaneamente un’esigua minoranza di cardinali procedette all’elezione del candidato filoimperiale Ottaviano, che prese il nome di Vittore IV. Il lungo e tormentato periodo che seguì allo scisma vide anche Enrico protagonista di un’intensa attività diplomatica internazionale volta al riconoscimento della legittimità di Alessandro III.
Presumibilmente in considerazione della sua esperienza e della sua conoscenza della Francia, risalente agli anni in cui era stato monaco a Clairvaux, oltre che delle sue doti di diplomatico, Alessandro III gli assegnò, congiuntamente a Ottone cardinale del titolo di S. Nicola in Carcere, l’incarico di attirare alla sua causa i sovrani di Francia e Inghilterra. Per tal motivo, nel dicembre 1159 Enrico si mise in viaggio alla volta della Francia. Sostò a Genova per qualche tempo sperando invano di avere un incontro con l’imperatore, per poi riprendere il viaggio per la Francia. Qui, inaspettatamente, ai due legati papali fu rifiutata l’ospitalità da parte dell’abate di Cluny, mentre furono molto ben accolti da Enrico vescovo di Beauvais, fratello del re di Francia Luigi VII. La missione, comunque, non fu facile; un terzo legato, il cardinale Guglielmo di Pavia, fu inviato in Francia per sostenere con la sua nota abilità l’azione di Enrico e Ottaviano. Per ottenere il sostegno del re d’Inghilterra Enrico II, i tre legati si impegnarono tra l’altro a far concedere la dispensa papale per il progettato matrimonio tra il figlio dello stesso sovrano inglese e la figlia del re di Francia, entrambi ancora minorenni. Successivamente i tre ottennero anche l’appoggio del re di Francia Luigi VII. L’intensa attività di Enrico e degli altri due legati è testimoniata anche da una lettera scritta in quello stesso anno ai Milanesi per sostenere la causa di Alessandro III.
Gli atti del concilio di Pavia voluto da Federico I nel febbraio 1160 per condannare Alessandro III e i suoi sostenitori, riportati da Rahewino, riferiscono tra l’altro che Enrico insieme a vari altri cardinali si rifiutò di partecipare a tale assemblea e che lo stesso Enrico scrisse all’imperatore negando la legittimità dell’eventuale giudizio espresso in tale consesso. Una breve relazione del concilio inviata all’arcivescovo di Salisburgo riferisce pure della scomunica comminata da Vittore IV a Enrico, accusato, non solo di essere uno strenuo sostenitore di Alessandro III, ma anche di essere stato il mandante dell’omicidio di un cardinale fautore dello stesso antipapa filoimperiale (circostanza che tuttavia non trova conferma in altre testimonianze).
Il 13 novembre di quello stesso 1160 i tre legati papali parteciparono alla cerimonia delle terze nozze del re di Francia con Adele di Champagne. Poco dopo Enrico passò nei territori francesi sottoposti al dominio inglese, dove si trattenne per alcuni mesi, nel tentativo di risolvere una serie di questioni relative all’ordinamento ecclesiastico in Normandia, pur non perdendo di vista la più complessa situazione politica, che ruotava intorno al contrasto tra Alessandro III e Federico I e a quello tra la corona francese e quella inglese. Nel 1161 partecipò al concilio di Tolosa nel quale, alla presenza anche dei sovrani francese e inglese, nonché dei rappresentanti dell’imperatore, si discusse ancora della legittimità di Alessandro III e di Vittore IV.
Successivamente si stabilì nuovamente a Beauvais, dove sembra che giocò un ruolo importante nella nomina del vescovo di quella città ad arcivescovo di Reims. Sempre in territorio francese, a Domfront (Oise) battezzò la figlia del re d’Inghilterra e della regina Eleonora. Molte testimonianze mostrano che la sua influenza si dimostrò determinante per convincere Thomas Becket, cancelliere del re d’Inghilterra Enrico II, ad accettare la dignità di arcivescovo di Canterbury secondo il disegno e la volontà del sovrano inglese (1162).
Dopo un ulteriore viaggio nei territori francesi sottoposti alla corona inglese, nel maggio del 1162 si ricongiunse con il papa a Montpellier e lo seguì con la curia in quasi tutti i suoi spostamenti in terra di Francia, a Sens, Parigi, Chartres, Tours, Dol, a parte qualche breve parentesi, come quando si portò a Reims, dove per altro cadde malato (marzo 1164). Dovette far ritorno a Roma insieme al pontefice alla fine del mese di settembre del 1166, nonostante l’arcivescovo di Reims avesse formalmente richiesto ad Alessandro III di lasciare Enrico in Francia.
Il papa aveva opposto il suo rifiuto a tale richiesta asserendo che non poteva fare a meno dell’ausilio e della collaborazione di un così valido esponente della curia («vir discretus et prudens et nobis devotissimus pro magnis Ecclesiae negotiis que instant necessarius nobis admodum et opportunus existat, nec absentiam possimus ullatenus sustinere», Alexandri III pontificis romani epistolae et privilegia, coll. 368 s.).
L’ultima lettera pontificia sottoscritta da Enrico è datata 4 maggio 1167; da allora in poi non si hanno più notizie su di lui come vivente.
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