MISEROCCHI, Enrico
MISEROCCHI, Enrico. – Nacque a Milano l’11 luglio 1909 da Amleto, giornalista, e da Carla Pogliani.
Dopo gli studi classici, nel 1929 si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia della sua città. Già da studente dimostrò un deciso interesse verso la neurologia e si laureò a pieni voti nel 1934, con una tesi di tipo clinico-sperimentale, condotta presso l’istituto di fisiologia e la clinica delle malattie nervose e mentali sotto la guida di C. Besta. Il suo lavoro meritò il premio dalla fondazione Piero Puricelli per il miglior tema di argomento neurologico. Il M. operò per qualche tempo nell’istituto milanese, dando le prime prove di lavoro scientifico con ricerche di elettrofisiologia muscolare (Ricerche di elettrofisiologia muscolare. L’attività elettrica della singola unità motoria nella contrazione volontaria nell’uomo, in Arch. di scienze biologiche, 1935, n. 21, pp. 281-310, in collab. con G. Bergami), aprendosi poi alle prime esperienze di elettromiografia applicate alla clinica (Ricerche elettromiografiche nel parkinsonismo, in Rivista di neurologia, VIII [1935], pp. 1-24).
Nel 1934 era stato chiamato al servizio militare di leva. Frequentò la scuola di Sanità militare di Firenze e, nominato ufficiale medico, per le esigenze della guerra coloniale venne trattenuto in servizio fino al 1936. Congedato, il M. poté rientrare a Milano e riprese il percorso di specializzazione nell’Università, divenendo assistente volontario presso la clinica delle malattie nervose. Nell’aprile del 1937, con una borsa di studio Wasserman, intraprese un viaggio di perfezionamento negli Stati Uniti, soggiornando per oltre sei mesi come medico visitatore nella clinica Mayo a Rochester, uno dei centri più qualificati per la clinica neurologica; nei successivi sei mesi frequentò il reparto di neurochirurgia della University of Michigan Ann Arbor e rimase presso quello dell’Università di Chicago fino al dicembre del 1938.
L’esperienza americana, accanto a maestri quali P. Bailey e H. Cushing, indirizzò decisamente il M. verso il campo della chirurgia applicata al sistema nervoso. Confortato da quanto aveva appreso, osservando e praticando Oltreoceano una neurochirurgia piuttosto avanzata per metodi e organizzazione, al ritorno in Italia provò a mettere a frutto le competenze acquisite cercando spazi di operatività negli ospedali milanesi, come si evince chiaramente nella breve serie di articoli apparsi al suo rimpatrio nella rivista L’Avvenire sanitario.
Nel servizio intitolato America e neurochirurgia americana (ibid., nn. 4-5-6, rispett. 10-20-28 febbr. 1939), per esempio, egli metteva in evidenza l’importanza di raggiungere anche in Italia una buona collaborazione tra medicina e chirurgia, tra scuole, cliniche e ospedali, infine tra mezzi e dottrine, nell’intento di coniugare in una sintesi efficace la scienza neurologica con la tecnica chirurgica.
Nella primavera del 1939 il M. si recò a Berlino per un periodo di perfezionamento presso la clinica neurochirurgica diretta da W. Tönnis, dove ebbe l’opportunità di applicarsi in particolare alla istopatologia dei tumori cerebrali. All’inizio del secondo conflitto mondiale fece ritorno in Italia e fu impiegato in qualità di neurochirurgo presso la divisione chirurgica dell’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano.
Poté rivestire tale incarico solo per pochi mesi, dall’ottobre 1939 all’aprile 1940, giacché venne richiamato alle armi. Con il grado di tenente medico si trovò a operare in un primo ospedale da campo sul fronte francese e in un secondo sul fronte greco. In Albania si occupò dei feriti del sistema nervoso in un presidio di primo soccorso. In quel periodo cadde ammalato, dovette essere ricoverato in ospedale e per alcuni mesi, dal settembre 1941 all’aprile 1942, fruì di una licenza di convalescenza durante la quale non cessò tuttavia del tutto l’impegno clinico. Restò nella Sanità militare fino al settembre 1947, dopo cinque anni di attività nel reparto neurochirurgico del Centro mutilati di Milano, dove ebbe certamente modo di continuare la sua formazione accanto anche a G.M. Fasiani, riconosciuto maestro della disciplina. I casi di origine traumatica militare che, in quel periodo, si offrirono alla sua osservazione clinica e chirurgica, costituirono il materiale di partenza per alcune riflessioni sulla rigenerazione del nervo peroneo e più in generale sul differente andamento delle neurorrafie precoci e tardive.
Si vedano, in particolare: La rigenerazione del nervo peroneo, in Boll. della Società italiana di biologia sperimentale, XXII (1946), pp. 187-189 (in collab. con U. Sacchi); Il problema della terapia chirurgica nelle lesioni dei nervi periferici, in Chirurgia, 1946, 1, 1, pp. 407-416 (in collab. con U. Sacchi). Erano gli anni di un deciso interesse verso le suggestioni della cosiddetta psicochirurgia, che vedeva i neurochirurghi al fianco degli psichiatri nei tentativi terapeutici di diverse patologie mentali. Il M. si avvicinò a tale settore contribuendo allo studio delle lesioni del lobo frontale, di ambedue i lati, laddove permanevano incertezze profonde sul significato di «sindrome frontale», variando sensibilmente di caso in caso il quadro sintomatologico riferito alla sfera psichica: Le lesioni del lobo frontale, in Arch. di psicologia, neurologia e psichiatria, IX (1948), pp. 458 s. (in collab. con U. Sacchi).
Ottenuto il congedo, nel 1947 il M. riprese la sua attività presso l’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori a Milano, nel quale assunse la direzione del servizio di neurochirurgia, tenendola fino all’età del pensionamento. Negli anni 1951-52 operò, inoltre, nella clinica delle malattie nervose di Pavia.
Il diffondersi della specialità, che andava differenziandosi dalla chirurgia generale proprio in quegli anni, lo portò a operare quale consulente neurochirurgico, negli anni Cinquanta, nell’ospedale di Legnano, in quello di Magenta e in quello di Merate. Nel 1948 fu nominato giudice onorario presso il tribunale dei minori di Milano, dove prestò per qualche anno la sua opera. In quell’ufficio, con altri giudici togati e onorari diede vita, nel maggio del 1951, alla Unione italiana giudici per minorenni, che si prefiggeva lo studio dei problemi legislativi, delle prassi e del funzionamento del settore.
La qualità riconosciuta di ottimo operatore lo portò ad apparire come uno dei più apprezzati neurochirurghi del suo tempo nell’ambito della prestigiosa scuola milanese, riconosciuta come la più qualificata in Italia. In campo scientifico approfondì la ricerca in diversi ambiti della sua disciplina.
Prese in esame le problematiche dell’epilessia (Epilessia ed elettroencefalografia, in Minerva medica, XXXIX [1948], p. 540, in collab. con T. Gualtierotti), dell’ernia del disco (Luci ed ombre sull’ernia del disco, in Atti della Soc. italiana di neurochirurgia, … Roma … 1952 …, Milano 1953, pp. 148-151) e della nevralgia del trigemino in relazione alla pratica di una ganglio-radiculo-lisi (La chirurgia del nervo trigemino, in Minerva neurochirurgica, I [1957], pp. 57-63); inoltre a Milano studiò il campo della patologia tumorale collaborando con P. Bucalossi.
Nel 1957 ottenne la libera docenza in neurochirurgia, ma la principale difficoltà nell’inserirsi stabilmente in ruoli universitari fu rappresentata dal fatto che egli incarnava una specialità ancora priva di un suo ambito specifico, contesa com’era tra cattedre e cliniche di diverso genere. Sempre nel 1957 fu tra i fondatori della Società italiana di neurochirurgia (SINCh) insieme con altri colleghi, tra i quali Fasiani, A. Chiasserini, P.E. Maspes, M. Milletti, G. Morello, M. Quarti Trevano, Sacchi e F. Visalli.
Uno dei suoi lavori maggiori in quegli anni fu La radioisotopo infissione dell’ipofisi nel carcinoma mammario in fase avanzata. Tecnica e risultati (in La Radiologia medica, XLVI [1960], pp. 486-496, in collab. con Bucalossi - V.C. Catania - A. Romanini). Si era osservato che gli ormoni rilasciati dalle ovaie, dalle ghiandole surrenali e dall’ipofisi favorivano la proliferazione delle cellule derivanti da alcuni tipi di tumore, specialmente dal carcinoma mammario e dalle sue localizzazioni metastatiche. L’iniezione localizzata di semi di Ittrio-90, necrotizzando la relativa ghiandola, sembrava poter spegnere eventuali focolai di crescita incontrollata. L’operazione, non priva di rischi, veniva effettuata in anestesia locale, con l’aiuto di strumenti sicuramente meno precisi di quelli attualmente in uso.
Il M. appartenne a varie società scientifiche e ottenne riconoscimenti di merito, pur essendo rimasto al di fuori dei ruoli universitari. Segno d’impegno civile e politico e di una decisa posizione ideologica fu la sua adesione attiva alla Associazione mazziniana italiana (AMI), nella quale ricoprì la carica di presidente.
Il M. morì a Milano il 9 genn. 1996.
Aveva sposato Laura Milla, con la quale ebbe tre figli: Antonio, Giuseppe e Giovanni, che seguì le orme paterne nella professione della neurochirurgia.
Fonti e Bibl.: Le notizie sono state fornite principalmente dal figlio del M., Giovanni, autore anche del necrologio apparso nel Journal of neurosurgical sciences, XL (1996), 1, pp. 76 s.; V.A. Sironi, Il ruolo della «scuola milanese» nello sviluppo della neurochirurgia italiana ed europea, in Atti del XXXVIII Congresso della Soc. italiana di neurochirurgia, Alghero …1989, Torino 1990, pp. 711-718; P. Placucci, Dal male oscuro alla malattia curabile. Storia dell’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano, Roma-Bari 1995, pp. 97 s.