MESTICA, Enrico
– Nacque il 17 giugno 1856 a Tolentino da Francesco, studioso di letteratura e patriota, e da Ermelinda Fabroni, camerinese.
Il M. trascorse l’adolescenza peregrinando tra Jesi, Pesaro e Camerino, sulle orme del padre. Rimasto orfano ancora bambino, fu accolto dallo zio paterno, Giovanni, insegnante di eloquenza nel ginnasio di Jesi, dove il M. compì gli studi avendo come docenti, oltre allo zio, A. Moretti, traduttore di Molière, e A. Gianandrea, noto paleografo. Laureatosi in lettere e filosofia nel 1876, seguì la tradizione di famiglia dedicandosi alla letteratura e alla docenza, insegnando a Osimo e poi a Todi, Fano e Macerata, dei cui licei fu anche preside; fu in seguito provveditore agli studi di Chieti e di Ascoli Piceno.
Dal matrimonio con Giuseppina Miconi, di Camerino, nacquero tre figli: Francesco, Guido e Silvia.
Gli interessi del M. si concentrarono sull’attività scolastica e sugli studi letterari; dopo una giovanile monografia sugli Adelphoe (I fratelli) di Terenzio, con ogni probabilità inedita, pubblicò uno studio sull’umanista Varino Favorino (Varino Favorino camerte, Ancona 1888) cui seguì un lavoro che ricevette il premio di 5000 lire dall’Accademia della Crusca, La psicologia nella Divina Commedia (Firenze 1893).
Intendendo approfondire lo studio delle dottrine filosofiche su cui si basava il poema dell’Alighieri, il M. isolò e puntualizzò le parti in cui venivano trattate alcune facoltà umane quali l’intelletto, l’immaginazione, l’attenzione, l’intelligenza, evidenziandone la specifica concezione in Dante e risalendo agli autori che lo avevano maggiormente influenzato; in particolare si concentrò su Platone e Aristotele, per quanto riguardava la sensazione visiva, e su s. Tommaso, per la distinzione tra memoria sensitiva e memoria intellettiva. Inoltre il M. si soffermò sui commentatori antichi e moderni della Commedia, con particolare riguardo al bolognese Iacopo Della Lana, tra i grandi commentatori cronologicamente più vicini a Dante, che indica come il «più compiuto e il più dotto», appunto tra gli antichi.
Pubblicò anche studi critici su A. Fiorenzuola (Scritti scelti, Torino 1890), P. Giordani (Prose, ibid. 1892) e sulla prosa critico-letteraria di G. Galilei (Scritti di critica letteraria, ibid. 1889). A uso scolastico scrisse Il compendio storico della letteratura italiana (Livorno 1898-1901, più volte ristampato fino al 1926), la Commedia di Dante Alighieri (Ascoli Piceno 1909), ancora manuali di letteratura ed edizioni di passi scelti da Omero, Dante, L. Ariosto, T. Tasso, A. Manzoni e altri. La sua opera più nota è però il Dizionario della lingua italiana (Torino 1936), pubblicato proprio nell’anno in cui il M. morì.
Di complessive 2100 pagine su due colonne, realizzato dopo un ventennio di «grave fatica» e dedicato a B. Mussolini, il Dizionario venne pubblicato dall’editore E. Lattes; la forte impronta filofascista, evidente fin dalla pagina dedicatoria, ne avrebbe determinato, nel dopoguerra, un momentaneo accantonamento. Nella Prefazione – in cui spiegava di aver adottato un metodo per cui non aveva sempre seguito «il rigoroso ordine alfabetico», raccogliendo in parte i vocaboli di comune formazione e riportandoli al termine originario (p. IX) – si sosteneva la decisa superiorità della lingua italiana, accompagnata da nette critiche nei confronti del francese, definito una lingua povera e tipica di un popolo portato per natura «all’esagerazione» (p. X); si dichiaravano, poi, la convinzione che il fascismo aveva arricchito la lingua «per nuove invenzioni e istituzioni» e l’«intendimento educativo» di comunicare ai giovani gli «alti e nobili sentimenti di Religione, di Famiglia, di Patria» che il regime intendeva propugnare «con le sue opere di redenzione e grandezza» (p. XI). Nonostante la scoperta impostazione ideologica e alcuni limiti di carattere lessicografico, il Dizionario del M. propone molteplici interessanti novità lessicali (vocaboli, locuzioni, neologismi e voci tecniche), e, soprattutto, è qualificato da una profonda attenzione verso la società e il folclore delle Marche di cui il M. fu ottimo conoscitore (inserì nell’opera termini del dialetto e riferimenti a giochi popolari, piatti tipici, utensili, giocattoli e lavorazioni artigianali). Specchio dunque della cultura marchigiana della prima metà Novecento, il Dizionario conobbe una fortuna postuma inattesa raggiungendo con la 9ª edizione (1942) le 60.000 copie. Nel dopoguerra, dopo una frettolosa revisione operata dal figlio del M., Guido, per eliminare le parti ideologicamente più compromettenti, toccò nel 1950 le 110.000 copie, conoscendo nel 1958 un’edizione ridotta, il Mestica minore; negli anni Sessanta il Dizionario arrivò a 160.000 copie, mentre nel 1972 l’editore Sandron di Firenze rieditò il Piccolo Mestica.
Lasciato l’incarico al provveditorato, il M. aveva ripreso l’insegnamento nel liceo Leopardi di Macerata, di cui fu preside dal 1912 al 1923. Si ritirò gli ultimi anni ad Apiro dove morì il 10 giugno 1936.
Fonti e Bibl.: D. Borioni, Apiro e i suoi uomini illustri, Camerino 1967, pp. 44-46; C. Chiodo, Note sulla critica dantesca nelle Marche dal 1861 al 1915, in Studi maceratesi, XV (1979), pp. 769 s.; D. Borioni, E. M., San Severino Marche 1986 (con bibliografia degli scritti letterari alle pp. 58-60); Dizionario biografico dei Marchigiani, Ancona 2002, pp. 336 s.; A. Sbaraglia, Il dizionario della lingua italiana di E. M., Archivio Vittorio Bobbato, 2004/5, in www.bobbato.it.
M. Severini