ENRICO III imperatore, detto il Nero
Unico figlio di Corrado II di Franconia imperatore e di Gisella, vedova di Ernesto I duca di Svevia, nacque il 28 ottobre 1017. In Baviera passò la gioventù sotto la guida di autorevoli educatori, Brunone vescovo di Augusta ed Engilberto vescovo di Frisinga. Già dal 1026 designato alla successione e poi (1027) nominato duca di Baviera, più tardi (1038) anche duca di Svevia, il 14 aprile 1028 fu incoronato re di Germania in Aquisgrana. Partecipò presto ad imprese militari: nel 1032 ad una campagna in Borgogna, nel 1033 in Boemia, nel 1038 col padre in Italia. Quando il 4 giugno 1039 quest'ultimo venne a morte, E. gli successe al trono senza contrasto, e poté continuare la politica paterna di rassodamento dell'autorità regia, avendo già sotto il suo diretto governo i più importanti ducati, ai quali, nello stesso anno 1039, aggiunse pacificamente quello di Carinzia. Quando nel 1044 morì Gozelone, duca di Lorena, E. affermò su questa regione i suoi diritti, rifiutando di riconoscere la successione del figlio del defunto e combattendolo vigorosamente, anche quando questi fece causa comune con Baldovino di Fiandra, e ottenne il suo intento. Non volendo poi che sulla Polonia, turbata dall'anarchia, fondasse le proprie fortune Vratislao duca di Boemia, lo andò ad assalire in Praga stessa e lo forzò alla sottomissione (1041). Poiché nell'Ungheria l'elemento pagano reagiva contro l'incivilimento cristiano instaurato dal santo re Stefano e a re Pietro era stato violentemente sostituito tal Samuele Aba, E. prese le difese del sovrano deposto, affrontò l'usurpatore sulla Raab e, vintolo (1044), rimise sul trono Pietro, esigendo però da costui l'atto di vassallaggio. Questa sovranità tedesca minerà negli anni seguenti il trono a re Pietro e sarà combattuta con la forza delle armi anche da Andrea successore di questo (1051-1054). Grazie al suo prestigio, E. fu nel 1054 mediatore di pace fra Vratislao di Boemia e Casimiro I duca di Polonia.
Di E. è da ricordare anche la politica italiana. In quel tempo a Roma regnava l'anarchia. Tre papi, vittime o creature di fazioni cittadine, si disputavano il seggio di S. Pietro. Enrico, sceso in Italia, fece deporre nei sinodi di Sutri e di Roma (20-24 dicembre 1046) i tre papi ed eleggere un suo protetto, Sugiero vescovo di Bamberga, che prese il nome di Clemente II; questi conferì al suo protettore, il dì di Natale, la corona dell'Impero. Nel gennaio seguente, E. volle trarre profitto dai disordini del Mezzogiorno per affermare i diritti imperiali sui ducati già longobardi: così ricostituì il principato di Capua, limitò quello di Salerno, umiliò i Beneventani ribelli e riconobbe ai Normanni, oltre alla contea di Aversa, anche le recenti conquiste fatte nella Puglia (1047). Enrico scese una seconda volta in Italia nel 1055, dopo essere stato più e più volte invocato, anzi personalmente visitato da papa Leone IX, assai preoccupato delle continue conquiste dei Normanni nel Beneventano. Ma E., venendo in Italia, sembrò non aver altra cura che di umiliare il suo riottoso vassallo Goffredo di Lorena, già privato di quel ducato ed ora, col suo matrimonio con la lorenese Beatrice, vedova del marchese di Toscana Bonifacio (1054), diventato il più potente signore dell'Italia settentrionale. E appunto in Toscana, col pretesto di un concilio ivi indetto per la riforma della Chiesa, venne l'imperatore. Sennonché Goffredo riuscì a fuggire in tempo in Lorena e la consorte di lui, prossima parente di Enrico e sua amica d'infanzia, poté regolare il grave dissidio. Quanto al pericolo del Mezzogiormo, E. deluse la generale aspettazione, perché si limitò a mandare là suoi fiduciarî, a trattare in apparenza una generale alleanza contro i Normanni, in realtà ad ottenere da quei signorotti e dagli stessi conti normanni l'omaggio all'autorità dell'Impero. Nell'autunno del 1055 fece ritorno in Germania, sapendo che là si ordiva una grave rivolta ad opera di Corrado duca di Baviera, di Guelfo duca di Carinzia e di Ghebardo vescovo di Ratisbona; e il suo pronto accorrere troncò ogni velleità ai congiurati. Invano papa Vittore II, nell'estate seguente, andò a sollecitarlo alla lotta contro i Normanni, ché poco dopo, l'imperatore veniva a morte a Botfeld nel Harz (5 ottobre 1056). Fu sepolto nella cattedrale di Spira.
Come i predecessori, anche Enrico III esercitò larga ingerenza nel governo della Chiesa: nominò vescovi e al bisogno li depose, subordinò questi provvedimenti a ragioni d'ordine temporale e di politico interesse; di fronte alla S. Sede, assunse un contegno di dominatore, senza parerlo. Si è detto che, nel dicembre 1046, fece deporre tre papi fra loro in contesa ed eleggere, in Clemente II, un suo protetto. Pure per sua volontà furono eletti successivamente Damaso II (1047), Leone IX (1049), Vittore II (1055), tutti sudditi della corona tedesca. La Chiesa romana fu così ai suoi ordini. È vero che, per far tollerare questa sua strapotenza, abilmente assecondò per mezzo di numerosi concilî le tendenze riformatrici; ma, in pratica, non assicurò il rispetto ai canoni della Chiesa e il malanno della simonia e dell'indisciplina continuò. Per buona sorte con Leone IX l'iniziativa della riforma è assunta da Roma, dove è già venuto, insieme con lo stesso Leone, Ildebrando da Soana; solo la Germania, sulla quale Enrico III vigila gelosamente, sfugge alla vigorosa azione dei concilî della riforma e all'influenza papale.
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