GUERCIO, Enrico
Nacque forse a Genova, verosimilmente nel primo decennio del sec. XII; non conosciamo i nomi dei genitori. Fu membro di una delle più prestigiose famiglie di origine vicecomitale, ampiamente rappresentata nei ranghi del ceto dirigente del Comune di Genova.
Fu uno dei protagonisti della prima fase della vita politica della nuova entità comunale e dei passi iniziali della sua affermazione in qualità di potenza mediterranea. La prima attestazione documentaria riferita alla sua persona ce lo presenta infatti nel dicembre 1131 fra i testimoni di un atto di fondamentale importanza per i futuri sviluppi della presenza genovese nel Mediterraneo occidentale.
Egli prese parte alla solenne promulgazione, effettuata a Oristano nella chiesa di S. Maria, dell'atto con il quale il giudice Comita d'Arborea donava alla cattedrale genovese di S. Lorenzo la proprietà della chiesa di S. Pietro "de Claro" con le sue pertinenze fondiarie, i servi e gli armenti, nonché di metà delle vene argentifere dei monti dell'Arborea e di quattro curtes e di metà delle vene argentifere del Giudicato di Torres, che Comita sperava di occupare proprio grazie all'appoggio politico-militare genovese.
Il capovolgimento della tradizionale politica arborense di alleanza con Pisa venne sancito nello stesso mese in un altro accordo, stipulato questa volta nella villa di Cabras, con il quale il giudice poneva se stesso, il figlio Barisone e tutto il suo Regno sotto la protezione del Comune di Genova, rappresentato dal console Ottone Gontardo. Seppure nel testo di questo secondo accordo non vengano ricordati i nomi dei testi genovesi che presenziarono a questo formale atto di dedizione, è assai probabile che essi fossero gli stessi che già avevano presenziato alle cerimonie in Oristano e che pertanto il G. si trovasse ancora una volta fra loro.
Se le più antiche notizie in nostro possesso relativamente al G. sono dunque connesse con il primo tentativo di radicamento di una presenza politica dei Genovesi in Sardegna, anche le successive menzioni della sua persona si legano strettamente all'ascesa di Genova tra le potenze marittime del Mediterraneo occidentale. In coincidenza con la sua prima elezione alla carica di console, nel 1137, gli Annali di Caffaro ricordano infatti una campagna navale genovese nelle acque spagnole contro le marinerie islamiche, e in particolare quella del Regno di Almeria, che ancora contrastavano, anche con azioni di pirateria, la penetrazione commerciale dei "Franchi" in quello che per lungo tempo era stato uno spazio economico essenzialmente in mano alle potenze musulmane.
Nel caso di Almeria la situazione era aggravata in modo particolare, dal punto di vista genovese, dagli accordi che nello stesso 1137 l'emiro Mohammed-ibn-Meimûn aveva stipulato con i Pisani, garantendo loro concessioni commerciali che rischiavano di compromettere gli sforzi intrapresi da Genova per affermare il proprio predominio economico nell'area. Sebbene lo scontro diretto con la flotta di Almeria, a lungo cercato, non si fosse verificato, la squadra genovese rientrò con una ricca preda, catturata ai danni di navi e città costiere nemiche.
Anche la seconda esperienza del G. come membro del Collegio dei consoli del Comune, nel 1148, vide la partecipazione genovese agli eventi politico-militari che interessavano le coste mediterranee della penisola iberica.
In quell'anno, infatti, dopo aver svernato a Barcellona, l'armata genovese, che l'anno precedente aveva dato un fondamentale appoggio alle forze di Alfonso VII di Castiglia nella conquista della stessa Almeria, partecipò con le forze catalane alla conquista di Tortosa, dando così un notevole slancio al progresso della reconquista lungo la costa orientale della Spagna.
Tuttavia, se anche i successi militari della lunga campagna spagnola avevano contribuito a consolidare il prestigio politico e il ruolo di potenza militare di Genova nel Mediterraneo occidentale, le fortissime spese imposte da un così imponente sforzo militare e dal mantenimento per più di un anno dell'armata oltremare portarono il bilancio del Comune vicino al tracollo. Il pur cospicuo bottino non era infatti sufficiente a coprire gli ingenti investimenti degli armatori genovesi, e le concessioni commerciali assai limitate rilasciate dai sovrani iberici - preoccupati di tutelare le loro nuove conquiste da possibili ingerenze esterne - non potevano garantire un adeguato ritorno economico con l'attività commerciale.
Ne conseguì un lungo periodo di stagnazione economica che si ripercosse anche sulla vita politica del Comune, entrata in una fase di sostanziale stasi che si prolungò per più anni, come rilevato dagli stessi Annali.
Le prime avvisaglie di ripresa si verificarono nel 1153, in coincidenza con un nuovo mandato consolare del G., quando i reggitori del Comune diedero prova di rinnovato dinamismo politico, testimoniato dalla stipulazione di accordi con Lucca e Pontremoli per rafforzare la posizione genovese nei confronti di Pisa. Si potrebbe però identificare un sintomo del perdurare di latenti difficoltà nella gestione di una politica oltremarina a largo raggio nella decisione, in quello stesso anno, di investire la famiglia degli Embriaco dei diritti goduti dal Comune in Gebayl (Biblo), Antiochia e San Giovanni d'Acri in seguito alle concessioni dei principi crociati, in pratica delegando (in cambio di un tributo annuo) la cura degli interessi genovesi in "Outremer" alla prestigiosa famiglia vicecomitale.
La ripresa divenne però evidente già negli anni immediatamente successivi, contrassegnati da numerosi episodi che marcano la definitiva affermazione di Genova nel ruolo di grande potenza politica e militare nel Mediterraneo, cosicché quando, nel 1160, il G. venne nuovamente chiamato a far parte del Collegio dei consoli del Comune, la situazione appariva nettamente mutata e improntata a un notevole dinamismo su tutti i fronti.
I consoli di quell'anno provvidero infatti innanzitutto ad avviare un vero e proprio programma di edilizia militare, che interessò sia la città di Genova, con la ricostruzione e il rafforzamento - per mezzo dell'edificazione di nuove e più robuste torri - delle mura che la cingevano dalla parte del mare, sia altre località della regione di interesse strategico, come la fondamentale posizione di Portovenere. Venne inoltre riscattato l'importante castello di Voltaggio, in Oltregiogo, che proprio a causa delle difficoltà economiche conseguenti alle spedizioni spagnole aveva dovuto essere ceduto in pegno ai privati prestatori che avevano contribuito a riassestare il bilancio del Comune. Uguale energia fu dispiegata nell'ambito della politica estera attraverso l'invio di ambascerie a vari sovrani.
La missione diplomatica di maggior rilievo fu sicuramente quella affidata proprio al G., incaricato di recarsi a Costantinopoli per definire la concessione ai Genovesi di un loro quartiere nella capitale o nelle sue vicinanze.
Tale concessione era stata esplicitamente prevista nel testo del trattato stipulato con l'imperatore Manuele I Comneno nel 1155, ma non era ancora stata messa in pratica, forse anche in conseguenza degli accordi commerciali siglati nel 1156 dai Genovesi con re Guglielmo I di Sicilia, in quel momento in guerra con l'imperatore bizantino, che in parte contraddicevano gli impegni assunti dal Comune nei confronti del governo imperiale.
Già nel 1157 Amico de Murta era stato inviato ambasciatore a Costantinopoli per esigere la consegna dell'embolo e degli scali promessi, ma la questione doveva essere rimasta ancora in sospeso. Fu quindi assai probabilmente la capacità diplomatica del G. a consentire la felice soluzione della controversia e a sbloccare infine la concessione dell'embolo di S. Croce, posto forse fuori dalle mura della città, in una posizione che però tuttora non è stata accertata con sicurezza, nel quale già due anni dopo troviamo insediati, secondo l'esplicita affermazione degli Annali, un gran numero di mercanti liguri. È assai probabile che in questa occasione il G. abbia stretto con la corte imperiale quei legami personali che troviamo successivamente ben attestati per altri membri della famiglia (primo fra tutti il fratello del G., Balduino), che si configurano come un vero e proprio rapporto di vassallaggio, e abbia anche assicurato un ruolo primario alla famiglia nell'ambito della colonia genovese a Costantinopoli, tanto da far ipotizzare una trasmissione pressoché ereditaria della carica di vicecomes, quasi al di fuori del controllo effettivo delle autorità della madrepatria, tra i membri della casata dei Guercio.
Questa importante missione diplomatica è tuttavia l'ultima importante mansione politica che ci risulta essere stata affidata al G., il quale sembra essersi ritirato dalla vita pubblica dopo il suo rientro da Costantinopoli. È presumibile però che un suo diretto interessamento sia stato all'origine della scelta dei reggitori del Comune di inviare proprio suo figlio Balduino (che riprendeva il nome dello zio) in Sardegna nel 1164, insieme con altri notabili, per accompagnare a Genova il giudice Barisone d'Arborea al quale, per interessata intercessione genovese, l'imperatore Federico I aveva concesso il titolo di re di Sardegna.
I legami di parentela esistenti fra il G. e i marchesi Malaspina, attestati esplicitamente da un più tardo atto notarile, portano a pensare che Balduino fosse stato inviato in Sardegna ad affiancare il marchese Obizzo, messo dell'imperatore, come confermerebbe il fatto che egli ricevette dal rappresentante di Barisone a Genova, il vescovo Ugo di S. Giusta, un donativo di 145 lire destinato a ingraziare al dinasta sardo proprio il Malaspina. L'arrivo di Barisone a Genova venne però funestato dai tumulti scoppiati fra le fazioni degli Avvocato (filoimperiali e favorevoli al giudice) e dei "de Castro" (esponenti di una linea politica di autonomia dall'Impero e legati al marchese Obizzo Malaspina), durante i quali Balduino venne mortalmente ferito da una freccia.
Un lungo silenzio cala sulla figura del G. dopo questo episodio drammatico, tuttavia la coincidenza di vari elementi rende possibile identificare proprio con lui, anziché con il suo omonimo vissuto nella prima metà del secolo XIII, il personaggio che compare in alcuni rogiti notarili stilati a Genova fra il 1190 e il 1192 e che, oltre ad avere interessi commerciali a Costantinopoli, ma anche in Africa settentrionale, è esplicitamente chiamato dal marchese Alberto Malaspina in qualità di consanguineo a confermare la cessione dei diritti feudali ancora goduti dal marchese su alcune rendite della città di Genova in favore di Ottone Nolasco.
Se si accetta tale ipotesi, dobbiamo ritenere come data più tarda di esistenza in vita del G. l'aprile 1192, occasione nella quale viene menzionato anche un altro suo figlio, Rubaldo.
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