GONZALES, Enrico
Nacque a Milano, il 10 marzo 1882, da Eugenio e da Caterina Rava in una famiglia benestante. Laureato in giurisprudenza all'Università di Pavia, nel 1906 s'iscrisse all'albo degli avvocati di Milano, divenendo uno dei più noti e brillanti penalisti della città (difese, tra gli altri, B. Mussolini in processi per reati di stampa). In età matura aderì al Partito socialista italiano collocandosi tra i seguaci dell'indirizzo riformista espresso da F. Turati, del quale fu discepolo e amico personale.
Nel carteggio tra Turati e Anna Kuliscioff si parla spesso del G., anche come latore di numerosi messaggi tra il primo, trattenuto a Roma dall'attività politica, e la seconda residente a Milano.
Dopo la prima guerra mondiale, alla quale partecipò combattendo in prima linea, il G. fu eletto al Consiglio provinciale di Milano e ne divenne presidente nel 1921. Nelle elezioni politiche, svoltesi il 15 maggio dello stesso anno, entrò alla Camera risultando eletto nella circoscrizione Milano-Pavia. Il 4 ott. 1922 partecipò a Roma al congresso costitutivo del Partito socialista unitario (PSU) e il 10 dicembre dello stesso anno venne eletto al Consiglio comunale di Milano.
Nel nuovo Consiglio dominato dai fascisti il G. condusse una decisa e costante opposizione alla maggioranza. L'8 nov. 1923 un suo sferzante intervento sulla proposta di mutare la denominazione del corso di Porta Romana per un tratto in corso Roma e per il tratto restante in corso XXVIII ottobre (dopo che lo stesso Mussolini aveva ritenuto inopportuno intitolare al suo nome l'intera strada), provocò grida e invettive dai banchi della maggioranza e tra il pubblico; al termine della seduta il G. subì, insieme con la moglie, un tentativo d'aggressione, sventato dalla forza pubblica.
Di fronte alla persistente illegalità il G. - come quasi tutti i maggiori esponenti del PSU con l'eccezione del segretario del partito G. Matteotti - riteneva che le opposizioni non dovessero partecipare alle imminenti elezioni politiche; in seguito, l'opzione astensionista fu abbandonata e il G., candidato nella circoscrizione della Lombardia, venne riconfermato deputato nelle elezioni del 6 apr. 1924.
Nel corso della campagna elettorale era stato nuovamente bersaglio della violenza fascista: il 27 gennaio, a Genova, mentre si apprestava a entrare in una palestra, dove avrebbe dovuto tenere un comizio, venne aggredito da un gruppo di squadristi armati di bastone.
Il G. richiamò l'episodio, intervenendo alla Camera il 5 giugno, per denunciare la condotta violenta dei fascisti, rivolta non solo a colpire materialmente gli avversari, ma anche a umiliarli; la sua denuncia si aggiungeva a quella fatta nella stessa sede da Matteotti. Dopo che questi venne rapito, il 12 giugno toccò al G. prendere la parola, a nome delle opposizioni, per chiederne conto a Mussolini.
In quella convulsa e drammatica fase politica il G. fu tra gli esponenti più in vista del comitato delle opposizioni, prendendo parte a numerose assemblee promosse in tutta Italia dagli "aventiniani". Il 18 agosto, dopo il ritrovamento del cadavere di Matteotti, il G. e Turati furono i soli ammessi a effettuarne il riconoscimento presso il cimitero di Riano; e il 10 giugno 1925, nell'anniversario della scomparsa, il G. tenne un discorso commemorativo nel corso di una riunione, svoltasi presso la redazione del quotidiano Il Mondo e presieduta da Giovanni Amendola. "Tutti dicono che fu straordinario e Treves" - riferì la Kuliscioff a Turati - "trova che fu uno dei discorsi più belli, sentito ed elevato che abbia udito" (Carteggio, VI, p. 686).
Conclusa l'esperienza dell'Aventino, nel corso del 1926 il G. fu partecipe del tentativo di far nascere, intorno al Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), una nuova aggregazione delle forze socialiste e repubblicane; ma nel novembre venne dichiarato decaduto dal mandato parlamentare e il mese successivo fu spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura, per complicità nell'espatrio di Turati in Francia. Proprio allora il G. stava cercando di stabilire un modus vivendi con il fascismo, come traspare da una sua lettera, del 4 dic. 1926, indirizzata a "S. E. il Capo del Governo, Ministro dell'Interno" per chiedere il "visto per conferma" del passaporto.
Nella missiva, dopo aver dichiarato di doversi recare ad Atene, Costantinopoli e in Egitto per motivi professionali e di non volere approfittare del suo soggiorno all'estero per svolgere azione politica contro il governo italiano, il G. così si esprimeva: "Se avessi mai pensato che fosse utile al mio Paese e ai miei ideali un'opera di propaganda all'estero mi sarei fatto un dovere di uscire senza impegni morali. Avrei potuto usare il mio passaporto, valido fino al 9 novembre: non l'ho fatto perché non ho voluto uscire d'Italia nei giorni immediatamente successivi all'attentato di Bologna deprecato per sentimento e per la fede stessa che ho sempre apertamente professata: non col delitto politico si abbrevia o si tronca lo svolgimento di un periodo di storia. Queste dichiarazioni sono garantite dalla mia parola d'onore"; il G. concludeva rivolgendo il suo "alto ossequio" a Mussolini (Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale).
Tali assicurazioni dovettero convincere le autorità fasciste che, dopo un primo rifiuto, consentirono al G. di espatriare allorché la Società Ansaldo si rese garante dello scopo professionale del suo viaggio.
L'8 marzo 1927, da Costantinopoli, il G. indirizzò una significativa lettera all'amico Turati, dalla quale traspariva il suo tormentato stato d'animo. "Non parlo di politica" - scriveva il G. - "perché ho troppa amarezza nel cuore e perché è meglio credere che la politica non […] esiste". Quindi riferì di "qualche noia" che gli amici più vicini a Turati avevano avuto: "una brevissima sosta a San Vittore e poi diffida, ammonizioni e pedinamenti: roba che tutti abbiamo sopportato con francescana rassegnazione e qualcuno di noi anche con allegria". Il G. illustrava, poi, a Turati le ragioni che lo avevano indotto a non assumere la difesa di persone a cui pure teneva: "perché il mio nome non raccomanderebbe gli imputati; la mia persona […] susciterebbe eccessi di entusiasmo nella folla; e poi come diffidato non mi è lecito uscire da Milano senza permesso di questura e relative scorte d'onore". Infine il G. confidò all'amico di aver ricevuto sollecitazioni a collaborare con il regime: "Abbiamo anche avuto (Nino Levi, Caldara, io e qualche altro) degli inviti di sirene ma siamo riusciti a disimpegnarci con grazia" (Schiavi, p. 46).
Il confronto tra quanto il G. scrisse a Mussolini e a Turati induce a ritenere che nei riguardi del fascismo egli avesse deciso di adottare, ed evidentemente adottò, un atteggiamento distaccato, né conflittuale né collaborativo.
A conferma di ciò restano i numerosi rapporti inviati tra il 1934 e il 1943 dal prefetto di Milano alla direzione generale di Pubblica Sicurezza secondo i quali il G. "non dava luogo a rilievi con i suoi atteggiamenti politici".
Dopo la Liberazione il G. tornò a svolgere attività politica tra i socialisti riformisti della rivista Critica sociale e fu designato membro della Consulta nazionale. Nel 1946 espresse severe critiche al decreto di amnistia Togliatti e, il 18 apr. 1948, venne eletto al Senato, nella lista di Unità socialista, riportando 23.676 voti preferenziali nel collegio di Milano.
Nel corso della prima legislatura repubblicana fece parte della Commissione giustizia e autorizzazioni a procedere.
Nel 1953 fu ricandidato, ma non risultò eletto e non si ripresentò nelle successive consultazioni. All'inizio degli anni Sessanta fu poi commissario della Cassa di risparmio delle province lombarde.
Il G. morì a Milano il 1° luglio 1965.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2482; necrologi in Corriere della sera, 2 luglio 1965 e in Critica sociale, LVII (1965), 13, p. 318; F. Turati - A. Kuliscioff, Carteggio, a cura di F. Pedone, Torino 1977, IV-VI, ad indices; G. Matteotti, Scritti sul fascismo, a cura di S. Caretti, Pisa 1983, ad indicem; R. Bauer, Quello che ho fatto. Trent'anni di lotte e ricordi, Milano-Bari 1987, ad indicem; A. Schiavi, Esilio e morte di F. Turati (1926-1932), Roma 1953, ad indicem; S. Turone, Cronache del socialismo milanese (1914-1924 e 1945-1949), Milano 1963, ad indicem; L. Salvatorelli - G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1964, ad indicem; C. Giovannini, L'Italia da Vittorio Veneto all'Aventino, Bologna 1972, ad indicem; F. Catalano, L'Italia dalla dittatura alla democrazia, 1919-1948, II, Milano 1972, ad indicem; A. Landuyt, Le sinistre e l'Aventino, Milano 1973, ad indicem; F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Milano 1984, ad indicem; G. Ferro, Milano capitale dell'antifascismo, Milano 1985, ad indicem; G. Matteotti, 1885-1985. Riformismo e antifascismo, a cura di C. Modena, Roma 1985, pp. 177-180; G. Averardi, I socialisti democratici. Da palazzo Barberini alla scissione del 4 luglio 1969, Roma 1986, ad indicem; Archivio Turati, a cura di A. Dentoni Litta, Roma 1992, ad indicem; Enc. biografica e bibliogr. "Italiana", A. Malatesta, Ministri deputati senatori…, II, s.v.; Panorama biografico degli italiani d'oggi, a cura di G. Vaccaro, Roma 1956, s.v.; Chi è? 1961, s.v.; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, II, s.v.; Il movimento operaio italiano. Diz. biografico (1853-1943), II, s.v.; G. Ferro, Protagonisti del movimento socialista in Italia, s.l. 1992, sub voce.