DE RENZI, Enrico
Nacque a Paternopoli (Avellino) il 12 sett. 1839, da Salvatore, celebre storico della medicina in Italia e docente nell'ateneo napoletano, e da Maria Teresa Prudente. Seguendo le orme paterne, si avviò agli studi di medicina, e a soli vent'anni si laureò presso l'università di Napoli, dando inizio a un'intensa attività che lo vide impegnato simultaneamente sul piano medico, scientifico e didattico e su quello civile e politico.
Gli avvenimenti del 1860 lo videro, appena laureato, operare nell'ospedale garibaldino e ricevere poi l'incarico di coadiutore del supremo magistrato di Sanità di Napoli e infine di sottocommissario medico per la Sanità marittima. Nel 1866, allo scoppio della terza guerra di indipendenza, prestò la sua opera di medico nelle file dei garibaldini. Come già nel 1865, in tempo di epidemia, aveva diretto il servizio sanitario nel lazzaretto napoletano di Nisida, così nel 1884 si prodigò nella direzione dell'assistenza alla città colpita dalla terribile epidemia di colera. Ciò gli valse, l'anno seguente, l'elezione a consigliere del Comune di Napoli. Nel maggio 1886 fu eletto deputato alla Camera come rappresentante liberale del collegio di Avellino II, dove fu confermato anche nella legislatura seguente (dicembre 1890-settembre 1892): fece parte dello schieramento ministeriale. Il 17 nov. 1898 fu nominato senatore del Regno.
La carriera clinica del D. fu rapida e fortunata. Presentatosi nel 1867 al concorso per la clinica medica presso l'ospedale Maggiore di Milano, fu classificato a parità di merito con A. Cantani; l'anno successivo otteneva la cattedra di clinica medica all'università di Genova. Rimase a Genova fino al 1881, quando vinse il concorso alla cattedra di patologia speciale medica e propedeutica a Napoli; in questo ateneo nel 1883 venne chiamato alla direzione della seconda e poi della prima clinica medica, succedendo in tali posti a S.Tommasi e al Cantani. Nel 1914 andò in pensione per limiti di età e fu nominato professore emerito.
Assertore convinto della scuola positiva e del metodo scientifico, già negli anni trascorsi all'università di Genova aveva provveduto a fondarvi i gabinetti di fisica e la clinica stessa, e aveva iniziato l'applicazione del metodo sperimentale nell'insegnamento della medicina, un approccio allora ai primordi in Italia. Sin dall'inizio la sua formazione culturale non fu solo fondata sulle nuove travolgenti scoperte in campo anatomo e istopatologico, che largamente caratterizzarono la medicina dell'ultimo scorcio dell'Ottocento, ma si estese anche ai risultati delle sperimentazioni fisiologiche, che proprio allora andavano esercitando il primo impatto sulla medicina, e si alimentò alle esperienze e opinioni sia della cultura medica tedesca, allora in gran voga, sia pure di quella anglosassone. Ciò è attestato dai tre volumi Lezioni di patologia speciale medica e clinica medica terapeutica, che riassumono le lezioni dettate dal D. tra il 1881 e il 1883, quando era professore di quella disciplina all'università di Napoli, agli inizi della sua carriera.
Così, per esempio, nel capitolo sulla dispnea (I, 1, pp. 30 ss.), oltre alla corretta ma allora inconsueta distinzione della dispnea dall'iperpnea, c'è un'aggiornata informazione sulle recenti conoscenze sulla fisiologia del controllo nervoso, centrale e riflesso, della respirazione, e un'acuta discussione delle tesi opposte di L. Traube e di I. Rosenthal e dei riflessi di K. E. K. Hering e J. Breuer; e a dimostrare la natura sperimentale dell'approccio ai problemi medici, ecco il resoconto delle sperimentazioni personali con lo pneumografo di E. J. Marey e con l'apparecchio fatto costruire dallo stesso De Renzi. Quando viene discussa la natura del primo tono cardiaco (ibid., pp. 118 s.), non solo l'informazione sulle diverse tesi a confronto (tesi dibattute ancor oggi) è precisa e completa, ma il partito preso dall'autore a favore di una componente "muscolare" oltre a quella valvolare ricorda la moderna posizione favorevole a una componente emodinamica legata alla contrazione ventricolare isometrica. Il solido approccio fisiopatologico del giovane D. è documentato assai bene nel capitolo dedicato all'ipertrofia del cuore (I, 2, pp. 284ss.), dove la componente funzionale, l'aumento "automatico" della forza di contrazione cardiaca di fronte a un aumentato ostacolo all'eiezione o a un aumentato riempimento, è giustamente vista come la causa anziché la conseguenza della modificazione morfologica, l'ipertrofia; e l'autore trae spunto da queste riflessioni per argomentare, in linea con il nuovo approccio scientifico della medicina, che "dobbiamo allontanare qualunque spiegazione teleologica della vecchia Medicina". Inoltre, la trattazione della ipertrofia ventricolare sinistra porta il D. a discutere, in termini aggiornati e acuti, i problemi dell'origine dell'ipertrofia stessa nella glomerulonefrite o morbo di R. Bright, problemi che dal Bright a W. W. Gull e a H. G. Sutton avevano vivamente interessato la medicina britannica e che, in meno di un ventennio, grazie al perfezionamento dello sfignionianometro da parte di un altro grande italiano, S. Riva-Rocci, avrebbero portato ad aprire in modo esplicito il capitolo dell'ipertensione arteriosa.
L'influsso della medicina britannica sulla formazione del D. è pure attestato dalla lezione sull'angina pectoris (ibid., pp. 305 ss.), dove è ai patologi inglesi che viene attribuita l'osservazione, allora per lo più misconosciuta, dell'associazione degli accessi stenocardici con l'ateromasia delle arterie coronariche, associazione sulla quale più volte acutamente egli ritorna. Lungimirante appare pure, alla luce delle odierne conoscenze, il partito che il D. prende a favore dell'importanza dei nervi simpatici cardiaci nel mediare il dolore precordiale; e non è privo di interesse il fatto che, pur in una lista che comprende tutti i numerosi e inefficaci presidi terapeutici offerti dai tempi, sia sottolineata la particolare importanza nel trattamento di tale forma morbosa del nitrito d'amile e della cessazione del fumo del tabacco ("se l'infermo è un fumatore, gli proibiremo l'uso del tabacco").
Se le lezioni di patologia speciale medica e clinica medica propedeutica ne testimoniano nel modo migliore la cultura e le capacità didattiche su cui insistono le lodi dei contemporanei, i contributi scientifici personali del D. e dei suoi allievi riguardano soprattutto gli studi sulla tubercolosi polmonare, a cui il D. dedicò numerose ricerche e varie pubblicazioni.
Bisogna cominciare col dire che la grande scoperta di quegli anni, l'isolamento e il riconoscimento del micobatterio turbercolare da parte di R. Koch nel 1882, fu pienamente accolta dal D., che immediatamente riprodusse e confermò nella sua clinica le indagini del Koch e volle inserire una "addizione sul bacillo tubercolare" al suo trattato Lezioni di patologia speciale medica e clinica medica propedeutica (I, 1, Napoli 1884, pp. 222 e ss.), dove le osservazioni del Koch sono definite "una delle più importanti scoverte, fatte dalla Medicina in questi ultimi tempi". Sulle implicazioni conoscitive e cliniche della scoperta del "bacillo" tubercolare e sulle sue prime ricerche sperimentali sulla tubercolosi, il D. si diffonde nelle lezioni del terzo volume (parte 4, pp. 397 ss.) dell'opera, ma è soprattutto il lavoro pubblicato a Napoli nel 1889, La tisichezza polmonare, che riassume coerentemente il suo pensiero e i numerosi contributi sperimentali e clinici della sua scuola e la cui importanza nell'ambito della scienza del tempo è attestata dal fatto che ebbe una traduzione tedesca.
Di particolare rilievo sono gli esperimenti, tra i primi nella medicina d'allora, di inoculazione della cavia e del coniglio, in ispecie per quanto riguarda la natura della scrofola e la patogenesi della meningite tubercolare. Nel campo della terapia, la trattazione del D., che pur ne era considerato uno dei maggiori esperti in Italia (tanto che a lui fu assegnato il compito di trattarne al primo congresso della Società italiana di medicina interna, nel 1888 a Roma), mostra quali fossero gli ardui problemi di allora e quanto scarse le possibili soluzioni. Purtuttavia, la scoperta dell'agente patogeno e gli studi sulla propagazione del germe con l'espettorato, studi cui attivamente partecipò il D., ponevano in maniera chiara e concreta il problema della profilassi, su cui egli già largamente insisteva nel volume del 1889 e su cui tornava con particolare insistenza in una lezione del 1905 (Lezioni di clinica medica, Napoli 1905, pp. 221 ss.). Se l'introduzione al trattato su La tisichezza polmonare era un breve saggio di epidemiologia ante litteram (con l'agghiacciante sequenza di cifre: dai 10,44 morti per tisi su 1.000 abitanti a Brno nel 1873 ai 2,75 su 1.000 a Napoli nel 1875, con il calcolo che a Filadelfia come a Parigi, a Londra come a Napoli circa un quarto delle morti avveniva ogni anno per tubercolosi polmonare), la lezione del 1905 terminava con una perorazione affinché la tubercolosi venisse considerata questione sociale, e la sua cura un dovere della società; e all'esempio della Germania e dell'Inghilterra, dove si andavano diffondendo benemerite leghe contro la tubercolosi, veniva aggiunto il proficuo esempio dalla Svizzera. "Quando si dové celebrare il centenario della liberazione della Svizzera, invece di erigere dei monumenti, come invece pur troppo sogliono fare qui da noi, pensarono di fare una grande opera umanitaria ed han fatto un sanatorio che è il migliore d'Europa": il sanatorio della Montagna incantata di T. Mann, quello di Davos.
L'attenzione prestata dal D. ai problemi dell'igiene è altresì documentata dai numerosi studi che egli dedicò alla nutrizione e alle malattie metaboliche, a cominciare dalla relazione ch'egli svolse in collaborazione con il suo allievo E. Reale al sesto congresso della Società italiana di medicina interna sotto il titolo Ilrallentamento della nutrizione. Come ha commentato L. Villa, "era quello il momento della precisazione del concetto di indice calorico degli alimenti, del concetto di isodinamia di M. Rubner, del fabbisogno organico fisiologico e del bilancio alimentare. Già erano chiare le idee sul differente valore biologico dei distinti alimenti e sui minimi proteici indispensabili, veniva elaborato in quel tempo quel dottrinale della nutrizione che costituisce in parte ancor oggi fondamento stabile del tanto più complesso edificio del metabolismo organico. A vero che concetti nebulosi quali la "diminuita energia cellulare" confortavano la teoria del "rallentamento della nutrizione" e che nella cura del diabete ci si proponeva sopra ogni altro il compito di sopprimere l'apporto degli idrati di carbonio".
Quest'ultima pratica fu vivamente combattuta dal D., che nella sua tarda opera Le malattie del ricambio (Napoli 1914) ricorda: "Quando venni a Napoli trovai più che altrove insistente ed assoluto il metodo curativo preconizzato dal Cantani, a base di carne" (p. 301), e aggiunge: "L'esperienza clinica di moltissimi anni pero mi ha dimostrato che una altra indicazione importante nella cura del diabetico, oltre alla diminuzione degli idrati di carbonio, è la diminuzione dell'albumina, e che la razione giornaliera del diabetico, in generale, deve essere inferiore a quella di un uomo normale della stessa età e dello stesso peso". Suggerendo una "dieta corrispondente ad un valore energetico di 1.800 calorie, senza per altro che la quantità di albumina superasse i 100 grammi al giorno", combatte un altro uso terapeutico allora di moda, il digiuno protratto acutamente, affermando: "nell'applicazione di questa pratica non si è tenuto abbastanza conto dell'influenza del digiuno sull'acidosi. In tal modo si ricorreva a un rimedio, che riusciva peggiore del male" (p. 296).
Il volume Le malattie del ricambio, largamente dedicato al diabete, ma non al diabete soltanto, riassume il pensiero maturo del D. in questo campo. Oltre alla consueta precisa informazione anche sugli studi più recenti, c'è la rinnovata testimonianza della personale partecipazione alle ricerche d'avanguardia (come, per esempio, a p. 185, la menzione degli esperimenti del D. in collaborazione con l'allievo Reale sul diabete sperimentale prodotto negli animali con l'estirpazione del pancreas, esperimenti che sono del 1890, cioè appena un anno dopo quelli classici di J. von Mering e O. Minkowski); v'è l'acuta percezione dei problemi maturi ma non ancora risolti (come la difesa dell'opinione che è una secrezione interna, non quella esterna, del pancreas che è soppressa nel diabete: ma quale è questo secreto, e perché estratti di tessuto pancreatico si erano dimostrati, anche nelle sue mani, così poco efficaci nella cura del diabete?); v'è infine una attenzione allora inusuale ai problemi biochimici (più della metà delle pagine del grosso volume sono dedicate all'esposizione aggiornata di problemi biochimici). Tra le curiosità del volume, un elenco trilingue - italiano, latino e dialetto napoletano - dei vegetali e delle frutta meglio tollerati dai diabetici.
In conclusione, il D. fu indubbiamente uomo di spicco del proprio tempo, meglio ancora, potremmo dire, dei propri tempi: e non tanto perché ebbe una lunga vita operosa (la sua opera spazia in un arco di circa cinquanta anni), quanto perché, se condivise parecchi degli errori dei tempi in cui visse, la sua devozione al metodo sperimentale, la sua cultura e il suo spirito aperto, lo portarono di continuo, e prontamente, ad accettare quanto di iniportante e spesso di radicalmente nuovo andava producendo la ricerca italiana, e soprattutto straniera, di quel mezzo secolo così innovativo. A queste novità il D. fu attivo partecipe e di esse, dalla sua cattedra napoletana, si fece interprete e divulgatore autorevole, così contribuendo al fervore di quella cultura che, per usare il termine felice del Croce, fu detta della "nuova Italia". Congiungendo il D. alla personalità di clinico la figura di uomo pubblico, deputato prima, senatore poi, la sua attenzione ai problemi della profilassi e dell'igiene (si ricordi anche la celebre Esposizione d'igiene, che si tenne a Napoli nell'anno 1900 e che il D. promosse e presiedette) non ebbe solo l'influenza culturale di cui si è detto, ma fu di non poca importanza nel favorire lo sviluppo della sanità a Napoli e nell'Italia meridionale nel periodo tra i due secoli.
Il D. morì a Napoli l'8 dic. 1921.
Opere: Lezioni di patologia speciale medica e clinica medica propedeutica, 3 voll., Napoli 1884-1887; La cura della tubercolosi polmonare (con A. Riva), Atti del Primo Congresso italiano di medicina interna (Roma 1888), Roma 1888; La tisichezza polmonare. Studio clinico: patogenesi sintomatologia e cura, Napoli 1889; Il rallentamento della nutrizione (con E. Reale), sesto congresso italiano di medicina interna, Roma 1895; Lezioni di clinica medica (redatte dal dr. M. Bucco), Napoli 1905; Le malattie del ricambio (Obesità, diabete, gotta, artritismo) (lezioni raccolte da Giuseppe Polito), Napoli 1914.
Fonti e Bibl.: Necr., in Riforma medica, XXXVII (1921), pp. 1210 s.; Atti parlamentari, Senato del Regno, Legislatura XXVI, sessione 1°, 42°resoconto sommario, 9 dic. 1921, pp. 1-2; Id., Camera dei deputati, Discussioni, Legislatura XXVI, 1a, sessione, 9 dic. 1921, pp. 2277 s.; L'Esposizione d'igiene in Napoli, in Il Napoli, 18 febbr. 1900, p. 1; L. Villa, Discorso di apertura del presidente. Lavori dei congressi di medicina interna. 61° congresso, Napoli, 17-19 ott. 1960, Comunicazioni, Roma 1961, pp. 9-19; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 383; I. Fischer, Biographisches Lex. der hervorragenden Arzte [1880-1930], II, p. 1286.