Enrico da Cremona (E. Casalorci)
Decretalista, vescovo di Reggio dal 1302, morto nel 1312; fu autore del De Potestate Papae; gli si attribuisce anche un frammento di libello anonimo dettato a commento della bolla Clericis laicos. La sua opera s'inserisce nella polemica tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, ed è indirizzata a sostenere le tesi del pontefice contro l'errore di quanti non lo ritengono investito di giurisdizione universale negli affari temporali.
Gli argomenti addotti sono al solito scritturali e storici. Nella Bibbia il potere era dei sacerdoti e dei re eletti da sacerdoti; Cristo stesso era re e sacerdote, e a Pietro trasmise quindi integralmente il suo potere; perciò il papa è signore di tutte le cose. D'altra parte se, come tutti ammettono, il papa domina sulle anime, e l'anima domina sul corpo, ne consegue che il papa è signore universale. Chi poi asserisce che il sacerdotium e l'imperium - l'obiezione è dei giuristi e lui da giurista li conosce bene - derivano entrambi da Dio, non pone mente che essi discendono sì da Dio ma uniti e non divisi. Meno regge a suo parere l'argomento che l'imperium abbia preceduto il sacerdotium, perché a Pietro fu trasmesso il sacerdozio levitico.
Confuta anche l'argomento dei due ‛ luminaria ' (p. 466): " Dicunt etiam opponentes: fecit Deus duo luminaria magna, solem et lunam; sicut ergo sunt duo et divisa, ita sunt duae iurisdictiones... Sed luna non lucet, nisi quantum sol respicit eam, ergo nec imperator habet potestatem, nisi quantam dat ei Papa ". Ma l'argomento principe a favore della plenitudo potestatis papale è offerto dall'essere la comunità di fideles una ecclesia e un corpus, cioè una persona giuridica, e sarebbe mostruoso che un corpus avesse due capi (la stessa espressione con la stessa implicazione ricorre nel libello a commento della bolla Clericis laicos, onde anche le ragioni di attribuzione allo stesso autore).
Il procedimento dimostrativo è vario, ma il risultato, nella sostanza, è quello cui pervengono Tolomeo da Lucca, Egidio (Colonna) Romano, Giacomo da Viterbo, e in seguito Agostino Trionfo.
L'opera di E. costituiva dunque quel patrimonio comune di dottrina in sostegno della curia, e doveva esser divenuta ‛ cultura generale ' dell'epoca; per cui, anche se è solo probabile che D. abbia conosciuto l'opera del decretalista (cfr. A. D'Ancona, Il De Monarchia, ecc., in Scritti danteschi, Firenze 1912-13, 333 n. 1), è chiaro che contro di essa imposta la sua opera politica. Ma il Vossler (La D.C. studiata nella sua genesi e illustrata, trad. ital., II 2, Bari 19272, 180; cfr. anche G. Gentile, Studi su D., Firenze 1965, 105) è del parere che " oggi difficilmente potrebbe più mettersi in dubbio " che D. abbia conosciuto l'opera di Enrico.
Bibl. - R. Scholz, Die Publizistik zur Zeit Philipps des Schönen und Bonifaz VIII, Stoccarda 1903, 152-172; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, 128-129; R.W. e A.J. Carlyle, Il pensiero politico medievale, a c. di L. Firpo, III, Bari 1967, 421-425.