CLERICI, Enrico
Figlio primogenito delle scultore milanese Giovanni Leone e di Paola Maria Mastrodonato, nacque a Roma il 15 ottobre del 1862. Frequentò in questa città la scuola tecnica e l'istituto tecnico, dove ebbe a maestro l'insigne geologo P. Mantovani, e successivamente la facoltà di ingegneria, conseguendovi nel 1888 la laurea. Giovanissimo, fu attratto dalle ricerche nel campo della geologia ed ancora studente universitario pubblicava, a Roma, nel 1885, le sue prime osservazioni sulle formazioni quaternarie dei dintorni di Roma, a cui seguirono molte altre note pubblicate anch'esse prima del conseguimento della laurea. Particolarmente interessato alla geologia, fu spinto ad approfondire le conoscenze nel campo delle scienze della natura e, dopo aver frequentato regolarmente il relativo corso universitario, conseguì nel 1892 anche la laurea in scienze naturali.
Insegnò elettrotecnica per trent'anni, dal 1885 al 1915, nella scuola serale Galileò Ferraris per gli artieri del comune di Roma e inoltre, dal 1896 al 1899, mineralogia e geologia nell'istituto agrario sperimentale di Perugia. Conseguita la libera docenza in geologia nel 1902, tenne di fatto il corso ufficiale di geologia presso l'università di Roma dal 1928 al 1934, quale sostituto del prof. A. Martelli. Tuttavia la sua carriera si svolse principalmente nei reparti scientifici del ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, poi nel Servizio miniere dell'allora ministero delle Corporazioni, dove raggiunse il grado di ispettore generale, e successivamente, all'atto del suo collocamento a riposo nel 1930, quello di direttore generale.
Vastissima è stata la sua produzione scientifica, che conta oltre centosettanta pubblicazioni, tralasciando relazioni e contributi minori.
La personalità scientifica del C. meglio si comprende se si considera da un lato la sua rigorosa preparazione fisico-matematica, dall'altro la sua vasta cultura naturalistica, che gli consentirono di trattare con singolare competenza non solo temi geologici in senso lato, ma anche problemi paleontologici e mineralogici di alta specializzazione. Acuto ed accurato nelle osservazioni di campagna, il C. fu in laboratorio sperimentatore abilissimo e ricco di inventiva. Dotato di grande comunicativa, amava il contatto con i giovani, ai quali tanto nelle escursioni geologiche quanto in laboratorio, trasmetteva, insieme al sapere, l'entusiasmo per la ricerca scientifica e per lo studio della natura.
Una cospicua parte della sua produzione scientifica è diretta allo studio del Quaternario romano e della geologia della Campagna romana in generale; unitamente ai numerosi lavori specifici meritano di essere ricordate le sue note riassuntive Contribuzione alla conoscenza dei "Capisaldi" per la geologia dei dintorni di Roma, in Rend. d. R. Accad. d. Lincei, classe di scienze fis., mat. e nat., s. 5, X (1901), pp. 77-83; Sulla stratografia del Vulcano laziale,ibid., XIII (1904), pp. 614-618; La geologia e la paleontologia in Roma e nel Lazio, inIstituto di studi romani, Le scienze fisiche e biologiche in Roma, Roma 1932, pp. 1-33.
Nelle sue ricerche geologiche hanno pari rilievo l'aspetto stratigrafico, quello litologico e quello paleontologico, mai disgiunti da una geniale sperimentazione. Così, nello studio delle flore fossili rinvenute in uno strato torboso nello scavo della fondazione del ponte in ferro sul Tevere a Ripetta, il C. mise a punto un metodo per riprodurre direttamente, senza fotografia, le impronte di foglie di Dicotiledoni, spesso carbonizzate e frammentarie, ottenendone quelle che egli chiamò "fisiografie" e "fisiotipie".
Le sue ricerche paleontologiche riguardano numerosi resti di Fanerogame, di Molluschi marini, di acqua dolce e salmastra e di Mammiferi. In uno studio fondamentale sulle classiche formazioni quaternarie di Acqua Traversa, della Sedia del Diavolo e di Monte Verde, oggi di estremo interesse perché riguarda giacimenti ormai purtroppo distrutti a causa dell'attuale intenso sviluppo edilizio, illustrò con grande dettaglio la Corbicula fluminalis, un pelecipodo scomparso dall'Italia in concomitanza con l'avvento di periodi glaciali (Sulla Corbicula fluminalis dei dintorni di Roma e sui fossili che l'accompagnano, in Boll. d. Soc. geol. ital., VII [1889], pp. 105-128). Da ricordare sono anche le sue note critiche Sulla Cyprina islandica e Cyprina aequalis,ibid., XIII (1894), p. 166, e Una Vola planariae Sim. di Monte Mario,ibid., XLIV (1925), pp. 94-96.
Il C. descrisse e illustrò numerose specie di Diatomee e di formazioni marine, salmastre e fluvio-lacustri intercalate od associate a tufi vulcanici; gli si debbono molte cartine dei giacimenti diatomiferi, che confluirono più tardi nella Carta dei giacimenti diatomiferi dei dintorni di Roma, da lui pubblicata nel Bollettino della Società geologica italiana, LIV (1935), pp. 223 ss. Unitamente alle Diatomee egli studiò le spicole di Potamospongiae, spugne di acqua dolce o salmastra, ed i rivestimenti silicei delle Tecoamebine. Ad un gruppo di questi microrganismi G. Frenguelli, in onore del C., diede il nome di Clericia.
Non si limitava peraltro alla pura segnalazione e descrizione dei fossili; questi ultimi erano sempre da lui considerati in relazione all'ambiente deposizionale e talvolta gli offrivano lo spunto per un'indagine originale sui processi chimico-fisici che determinano il fenomeno della fossilizzazione. È da ricordare a questo proposito il suo studio sui legni silicizzati, che ebbe un seguito nelle sue esperienze sulla "pietrificazione artificiale dei tessuti vegetali", da lui realizzata con un procedimento analogo a quello utilizzato nella fabbricazione delle reticelle Auer. Impregnando infatti i tessuti vegetali con soluzioni di nitrato di torio egli otteneva, per successiva calcinazione, una sostituzione molecolare con ossido di torio negli elementi vegetali così che, con l'eliminazione successiva della parte organica, il deposito inorganico ne modellava esattamente la struttura fino alle dimensioni microscopiche (Sopra un caso di pietrificazione artificiale dei tessuti vegetali, in Rend. d. R. Accad. d. Lincei, classe di scienze fis., mat. e nat., s. 5, V [1896], pp. 401-404).
Numerosi sono i suoi studi di geoidrologia e le ricerche sulle formazioni vulcaniche laziali, riguardanti specificamente gli apparati vulcanici dei Vulsini, dei Sabatini e del Vulcano Laziale ed i loro prodotti, con particolare riguardo alle formazioni tufacce.
La sua vasta cultura gli consentì di affrontare anche, con singolare competenza e originalità, argomenti propri della mineralogia. Per tacere di altri contributi minori, a lui si deve il ritrovamento della ialite nelle lave e della fluorite microialitiforme nelle piroclastiti dei Colli Albani, della pelagosite nell'Iglesiente e la segnalazione, che oggi riveste il carattere di una vera scoperta, di quei depositi sedimentari fluoritico-baritico-calcitici del Lazio, che recentemente si sono rivelati di non trascurabile importanza economica. Questi ultimi si trovano descritti in una sua nota dal titolo assai modesto, Nuova giacitura di minerali presso Roma, pubblicata in Rend. d. R. Accad. d. Lincei, classe di scienze fis., mat. e nat., s. 5, XXIX (1920), pp. 318-321.
È proprio attraverso gli studi di carattere mineralogico che il C. raggiunse la massima notorietà in Italia ed all'estero. In una serie di note pubblicate fra il 1907 ed il 1925 egli infatti si dedicò con successo allo studio di liquidi e di miscele di fusione atti alla separazione dei minerali. Il problema consisteva nel trovare liquidi o miscele di fusione che presentassero, rispetto a quelli già in uso, il vantaggio di un peso specifico il più elevato possibile, congiuntamente però ai requisiti di un colore chiaro, di una bassa viscosità, di buona maneggevolezza, di agevole diluibilità e rigenerabilità. Il C. rivolgeva la sua attenzione ai sali solubili di metalli monovalenti e bivalenti a più elevato peso atomico. In particolare, dopo aver sperimentato con soluzioni sature di bromomercurato di bario, e poi di formiato, acetato, propionato, lattato, ossalato, malonato, malcato, fumarato, succinato, malato e formiato-glicolato di tallio, otteneva, con una soluzione satura, a varie temperature, di formiato e malonato di tallio, in parti uguali, un liquido con la densità di 4,067 a 12ºC, di 4,20 a20ºC e di oltre 5 a 100ºC. Questa soluzione, nota in tutto il mondo con il nome di "liquido di Clerici" o di "soluzione di Clerici", aveva una densità superiore a quella di tutti i liquidi sino allora proposti per la separazione meccanica dei minerali e resta tuttora insuperata (Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali, in Rend. d. R. Accad. d. Lincei, classe di scienze fis., mat. e nat., s. 5, XVI [1907], pp. 187-195).
Proseguendo le ricerche in questo campo ed estendendole alle miscele di fusione, oltre alle miscele fuse di formiato e malonato di tallio, il C. proponeva l'uso di miscele fuse di formiato e fluoruro di tallio, la cui densità poteva raggiungere a 100ºCil valore di 5,40, superando anche in questo caso i valori massimi conosciuti. Egli poteva così sviluppare un procedimento sistematico di analisi isopimometrica delle rocce (in NuoviAnn. d. minist. d. Agric., I [1921], pp. 329-347), introducendo altresì l'uso di originali apparecchiature per la separazione dei minerali mediante l'impiego di liquidi a peso specifico predeterminato. Per questi suoi studi gli fu attribuito a Roma nel 1929 un diploma di onore dal Congresso internazionale di limnologia.
Non meno interessanti, anche se poco conosciuti, sono i suoi contributi alla determinazione, per mezzo del microscopio, degli indici di rifrazione dei liquidi e dei solidi. A conclusione di queste ricerche egli compendiava, nel 1923, nel termine di "analisi fotoclisiscopica" tutte le operazioni sistematiche per la valutazione indiretta degli indici di rifrazione intese al riconoscimento dei minerali (ibid., III [1923], pp. 103 s.).
In connessione con i suoi studi mineralogici sono da ricordare le ricerche sulle polveri sciroccali, nelle quali egli svolse un'opera pionieristica, precorrendo di molti anni i moderni studi sul trasporto eolico nell'atmosfera, e le osservazioni, conseguenti da queste ricerche, sul meccanismo di formazione dei tufi pisolitici.
Il C. fu socio benemerito della Società geologica italiana, di cui fu anche segretario per ben ventitré anni; grand'ufficiale mauriziano, membro della Pontificia Accademia Tiberina, socio corrispondente dell'Accademia pontificia delle scienze dei Nuovi Lincei, membro del Comitato nazionale geodetico e geofisico, del Comitato geologico del C.N.R. e rappresentante italiano nella Conferenza internazionale di Berna per la protezione della proprietà intellettuale.
Morì a Roma il 26 ag. 1938.
Bibl.: Necrol., in Nuovi Annali dell'agricoltura, XVIII (1938), pp. 261 ss.; in Boll. d. Soc. geol. it., LVI (1938), pp. CXXI-CXLIV (con elenco completo degli scritti del C.); in La Chimica, XIV (1938), pp. 285 s.; G. Frenguelli, Sopra alcunimicrorganismi a guscio siliceo, in Boll. d. Soc. geol. ital., XLIV (1925), pp. 1-7.