CASTELNUOVO, Enrico
Nacque a Firenze l'8 febbr. 1839, da famiglia ebraica. Aveva appena un anno e mezzo, quando suo padre abbandonò la famiglia per andare a vivere in Egitto; la madre allora si stabilì a Venezia, dove le ristrettezze economiche furono in parte alleviate dall'aiuto dei parenti; a Venezia il C. rimase poi per tutta la vita. Non sembra che abbia ricevuto da bambino una vera educazione religiosa; comunque da adulto si mantenne sempre fedele ad un atteggiamento di positivista laico.
Frequentò le Scuole reali (istituto tecnico), senza grande passione poiché si sentiva attratto soprattutto dagli studi umanistici. Nel 1854, lasciata la scuola per necessità economiche, ottenne un modesto impiego da uno zio materno, titolare della Casa commerciale Della Vida: il lavoro non corrispondeva alle sue inclinazioni letterarie, ma vi si dedicò con scrupolo, migliorando via via la sua posizione. Intanto studiava il francese, l'inglese e il tedesco, che gli permisero poi di allargare notevolmente la conoscenza di scrittori stranieri, come Dickens e Zola. Agli anni giovanili risalgono anche i primi tentativi letterari: si ricorda un poemetto in ottave, presto interrotto e rimasto inedito: Gli Orazi ed i Curiazi.
Seguì con favore le lotte che portarono all'unità italiana; più tardi rimpiangerà di non aver potuto abbandonare il lavoro per parteciparvi direttamente. Sposatosi con la cugina Emma Levi, nel 1865 ne ebbe un figlio, Guido, che diventerà un noto matematico; l'altra sua figlia, Bice, coltivò invece la pittura; essendo morta la moglie appena quattro anni dopo il matrimonio, curò personalmente la loro educazione. Alcuni personaggi dei racconti e dei romanzi si ispireranno liberamente a questi ricordi familiari. Quando nel 1869 la Casa commerciale Della Vida fu liquidata (egli ne fu il procuratore), divenne collaboratore e poi direttore del quotidiano veneziano La Stampa, organo dei cosiddetti "azzurri", un gruppo politico della Destra moderata al quale si era avvicinato dopo la liberazione del Veneto. Nel clima di accese polemiche tra conservatori e democratici cui il C. partecipò col suo giornale, fu spinto anche ad un duello, uscendone ferito abbastanza gravemente ad una mano. Nel 1872, cessata la pubblicazione della Stampa, fu chiamato all'insegnamento di istituzioni commerciali presso la Scuola superiore di commercio di Venezia, allora diretta dall'economista F. Ferrara; vi rimase poi come insegnante, e dal 1905 come direttore, fino al 1914, quando si dimise per raggiunti limiti di età. In questo lungo periodo condusse una vita tranquilla, quasi priva di avvenimenti esterni, dedito interamente all'insegnamento, che svolse sempre con scrupolo e dignità, e all'attività letteraria, anchessa coltivata con l'assiduità professionale che la produzione di consumo richiedeva.
Quasi tutte le sue opere infatti furono pubblicate in appendice a note riviste e giornali, come La Nuova Antologia (in cui nel 1870 aveva pubblicato il suo primo racconto), La Perseveranza, L'Illustrazione italiana.
Nell'abbondante produzione del C. si possono distinguere due filoni: da una parte i racconti che predominano nei primi anni della sua attività letteraria e poi l'accompagnano come esercizio minore; dalla altra i romanzi, dove si fa via via più evidente l'intento di dipingere un vasto affresco della società contemporanea.
Nei racconti (Racconti e bozzetti, Firenze 1872; Nuovi racconti, Torino 1876; Alla finestra. Milano 1885; Natalia e altri racconti, ibid. 1899; Sulla laguna, Catania 1899; Ultime novelle, Milano 1906, ecc.), la materia è offerta per lo più dall'osservazione della vita di provincia, soprattutto veneziana, che il C. ritrae con curiosità ed affettuosa ironia., secondo il gusto di un certo realismo minore ottocentesco; già in essi affiora però anche un atteggiamento che poi si ritrova spesso nei romanzit la simpatia verso personaggi patetici che vivono in silenzio i loro piccoli drammi borgliesi, in un'esistenza esteriormente grigia e soffocata dalle ipocrisie sociali. Anche nei numerosi romanzi (Il Prof. Romualdo, Milano 1878; Dal primo piano alla soffitta, ibid. 1880; Nella lotta, ibid. 1880; Troppo amata, ibid. 1891; L'On. Paolo Leonforte, ibid. 1894; Il fallo di una donna onesta, ibid. 1897; Iconiugi Varedo, ibid. 1899; I Moncalvo, ibid. 1909 ecc.) il C. oscilla tra una vena bozzettistica ed il tentativo di studiare i drammi interiori di personaggi più complessi, quasi dilatando la materia dei racconti. I suoi interessi si definiscono meglio in alcuni romanzi (soprattutto Nella lotta, L'On. Paolo Leonforte, I coniugi Varedo, I Moncalvo)che portano sulla scena il mondo politico ed affaristico degli ultimi decenni del secolo; da questi romanzi risulta anche abbastanza chiara la posizione ideologica dello scrittore.
Formatosi in un periodo in cui la cultura posivistica prendeva il sopravvento su quella romantica, il C. aderì ai principi delle nuove dottrine, ma conservò, senza avvertire la contraddizione, anche certi atteggiamenti tipicamente romantici; sinceramente fedele ad un ideale di Stato laico e liberale, lo identificava con la saggia amministrazione della Destra storica; legato al richiamo del momento eroico del Risorgimento, accomunava nell'ammirazione Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi, ridotti a nomi puramente emblematici; fiducioso in un ordinato progresso civile che non sconvolgesse i valori tradizionali, guardava con amarezza la "terza Italia" che gli appariva dominata dai compromessi e dalla corruzione del trasformismo, e soprattutto dalla nuova aristocrazia finanziaria ed affaristica che emarginava via via la classe dirigente risorgimentale ed i ceti di cui era stata l'espressione.
Così la polemica antiparlamentare ed antielettorale, tema comune del resto a molti scrittori del suo tempo, esprimendo la delusione di fronte alla "prosa" dopo la "poesia" risorgimentale, interpretava anche i sentimenti di quei ceti medi che vedevano il potere politico ormai dominato da nuove forze economiche con cui non si sentivano ancora integrati. D'altra parte la stessa posizione del C., letterato che aveva anche conosciuto dall'interno il mondo finanziario, gli permetteva di descrivere con notevole precisione di particolari e talvolta di cogliere nella sua forza viva questo nuovo mondo. Da questa posizione storica deriva anche il moralismo del C., sempre volto a difendere i valori della integrità intellettuale e morale, della dignità modesta, della sincerità degli affetti, come valori di un mondo tradizionale che si andava disgregando. Perciò i suoi romanzi a sfondo politico risultano incentrati su un duplice contrasto: da una parte gli ideali risorgimentali contro l'affarismo della nuova classe dirigente; dall'altra l'ideale di una vita guidata da valori morali autentici contro la falsità dei rapporti sociali e le spregiudicate manovre che la conquista del potere impone.
Tale schema è particolarmente evidente in L'On. Paolo Leonforte, con la contrapposizione parallela dell'on. Leonforte, banchiere affarista che tutto freddamente subordina alla conquista del potere politico visto come un mezzo per consolidare il potere economico, sia all'on. Corimbo, uomo del Risorgimento, onesto e disinteressato ma incapace ormai di dominare la situazione, sia alla moglie Norina, romantica e delicata vittima delle ambizioni del marito. Ma ritorna anche ne Iconiugi Varedo, dove gli affetti familiari sono sacrificati all'ambizione politica; e, in un quadro appena diverso, ne I Moncalvo: storia della famiglia di un ricco banchiere ebreo che cerca con ogni mezzo di entrare a far parte dell'aristocrazia, clericale e reazionaria, cui si contrappone la figura del fratello Giacomo, austero scienziato positivista.
Poiché le contrapposizioni ideali si traducono schematicamente in contrapposizioni di personaggi, il loro comportamento risulta quasi sempre prevedibile e scontato; così il moralismo cade facilmente in un'oratoria dei sentimenti che appare ancor più fastidiosa per il suo linguaggio generico e corrivo; mentre il bonario umorismo dei personaggi minori non va al di là del gusto della macchietta. Questi ed altri limiti artistici non sono mai superati dal C.; anzi nei romanzi diventano anche più vistosi per l'amplificazione delle situazioni; tuttavia proprio nelle pagine di alcuni romanzi vanno ricercati interessanti documenti del costume e degli atteggiamenti ideologici della società italiana della fine dell'Ottocento, di cui il C. registrava, col senso di osservazione di un giornalista, molti mutamenti significativi.
Nel 1898 fu nominato socio corrispondente dell'Istituto veneto, dove tenne soprattutto relazioni su pubblicazioni straniere di carattere letterario e politico. Fu tra i promotori del Circolo filologico, costituito a Venezia nel 1901 per la diffusione delle lingue straniere. Negli ultimi anni della vita si accostò, pur con la moderazione che sempre lo distinse, al programma irredentista.
Il C. morì a Venezia il 22 giugno 1915. Fu sepolto nel cimitero israelitico. Nel 1922 gli fu dedicata, presso la Scuola superiore di commercio dove aveva insegnato, un busto scolpito da P. Canonica.
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