CARUSI, Enrico
Nacque a Pollutri (Chieti) il 1º febbraio del 1878 da Filippo e da Gaetanina Giuliani. Avviato alla carriera ecclesiastica, compì gli studi secondari prima presso il seminario vescovile di Chieti, poi presso il collegio Nazareno di Roma. Quindi, iscrittosi alla facoltà di lettere di questa città, seguì i corsi di E. Monaci e di G. Monticolo, di cui amò sempre considerarsi allievo, laureandosi nel 1901. Dopo un anno di insegnamento presso il seminario chietino, tornò a Roma e nel 1904 entrò alla Biblioteca Apostolica Vaticana, allora diretta da F. Ehrle, come incaricato della catalogazione del fondo dei manoscritti Vat. lat.;divenuto impiegato interno con diritto a retribuzione nell'ottobre del 1906, fu infine nominato "scrittore aggiunto" nel novembre dell'anno seguente e "scrittore effettivo" l'8 luglio del 1909.
In quegli anni, sotto la direzione di F. Ehrle, la Biblioteca Vaticana si era trasformata in grande ed attrezzatissimo centro di studi filologici, storici, paleografici, e vedeva raccolti insieme alcuni dei migliori eruditi dell'Europa cattolica, dallo stesso Ehrle a G. Mercati, da M. Vattasso a P. Liebaert, da P. Franchi de' Cavalieri ad A. Pelzer, a E. Tisserant e a molti altri. Compiti principali degli scrittori erano quelli di preparare, secondo norme minuziose, i cataloghi a stampa dei manoscritti e di pubblicare ed illustrare i codici e i documenti di maggiore importanza posseduti dalla Biblioteca (o dall'Archivio) in una collana di nuova istituzione intitolata "Studi e Testi".
La particolare preparazione del C., avviato allo studio delle fonti da G. Monticolo e a quello della paleografia da E. Monaci, e le doti di cordiale simpatia del suo carattere ne favorirono l'inserimento nell'ambiente, ove si segnalò ben presto come uno dei più zelanti editori ed illustratori di testi. Dopo aver pubblicato nei Rerum Italicarum Scriptores (XXIII, 3, 1) il Diario romano di I. Gherardi da Volterra (Città di Castello 1904), con un poderoso apparato erudito di note e di indici, ma con criteri filologici non immuni da critiche nell'individuazione dell'archetipo e nello stabilimento dello stemma codicum, diede alle stampe anche i Dispacci e lettere dello stesso Gherardi (Roma 1909), con una vasta introduzione e un ricchissimo apparato critico di note e di indici. Con l'indifferenza all'argomento da trattare e con il gusto dell'inedito, tipici dell'erudito puro, il C. passò quindi a preparare l'edizione di un consistente gruppo di lettere di G. Marini acquistate dalla Biblioteca Vaticana nel 1892, che condusse avanti per decenni, con la paziente costanza che era sua propria (Lettere inedite di G. Marini, I, Roma 1916; II, Città del Vaticano 1938; III, ibid. 1940). Nel frattempo procedeva anche alla descrizione dei manoscritti Vat. lat.affidati alle sue cure, di cui, insieme con M. Vattasso, pubblicò un primo volume di catalogo (Codices Vaticani latini. Codices 9852-10300…, Romae 1914) e un secondo sei anni appresso (Codices Vaticani latini. Codices 10301-10700…, Romae 1920); le schede per un volume successivo, da lui preparate prima del 1926, furono utilizzate dopo la sua morte da J. Ruysschaert: (Codices Vaticani latini. Codices 11414-11709…., Città del Vaticano 1959, p. XXV).
Un nuovo campo di attività e di studio fu offerto al C. nel 1919 dalla cooptazione nella neocostituita Commissione vinciana, di cui divenne in seguito anche segretario; all'inizio insieme con altri paleografi e diplomatisti di scuola romana, quali P. Fedele e G. Buzzi, quindi praticamente da solo, anche se con la collaborazione di A. Favaro, M. Pelaez, R. Marcolongo, il C. fu e rimase il protagonista principale della importante serie di edizioni in facsimile, con trascrizione, di codici leonardeschi promossi dalla Commissione e pubblicate fra il 1923 ed il 1941; e probabilmente a lui si deve l'abbandono della meccanica trascrizione diplomatica, adottata per l'edizione del codice Arundel, a favore di una "trascrizione critica" forse troppo semplificata, adoperata dal 1930 in poi per gli altri manoscritti. Gli studi sui codici vinciani indussero il C. a trattare, in sedi separate, aspetti minori e diversi dell'attività di Leonardo (di cui diede conto anche nella voce relativa dell'Enciclopedia italiana, XX, Roma 1933, pp. 859-72, 895-97) e soprattutto, in numerosi articoli, la tradizione e la storia dei suoi manoscritti.
Oltre quelli offertigli dalla Biblioteca Vaticana e dalla Commissione vinciana, dal C. stesso definiti "i due centri della mia attività di studioso" (Pelaez, p. 173), altri campi di interesse e di studio furono per il C. quelli derivatigli dal suo attaccamento alla regione natia e dai rapporti, sempre stretti, mantenuti con l'Istituto storico italiano, che nel 1919 gli affidò ufficialmente l'edizione del Chartularium Tremitense, da lui poi non compiuta.
Nel 1931 il C. organizzò e presiedette, a Roma, un importante convegno storico dedicato all'Abruzzo e al Molise, di cui pubblicò successivamente gli atti. Negli anni bellici condusse a termine, anche se non riuscì a pubblicare, l'edizione dei più antichi documenti di S. Maria in Campo Marzio, edita dopo la sua morte (Cartario di S. Maria in Campo Marzio, Roma 1948).
Il C. morì nella Città del Vaticano il 14 dic. 1945. La sua ricca biblioteca privata è stata donata dagli eredi al Seminario vescovile di Chieti.
Nell'attività scientifica del C. coesistettero filoni diversi, ma il primo, e originario, fu quello diplomatistico e paleografico, derivatogli direttamente dalla scuola di E. Monaci, cui sono da attribuire, significativamente, sia il primo, sia l'ultimo dei suoi lavori, quello cioè sull'uso dell'indizione nei documenti romani altomedievali, che è del 1901 (L'indizione nella datazione delle carte romane dei secoli VIII-IX, in Scritti vari di filologia in onore di E. Monaci, Roma 1901, pp. 509-512), e quello costituito dall'edizione delle carte di S. Maria in Campo Marzio, già ricordata; molto importante, da questo punto di vista, fu la collaborazione istituita dal C. col grande filologo e paleografo inglese W. M. Lindsay, che portò alla pubblicazione della sua opera dal punto di vista paleografico più valida ed utile: i Monumentipaleografici veronesi (I, Roma 1929; II, ibid. 1934).
Meno significativa, invece, quella dedicata, in collaborazione con V. De Bartholomaeis, ai Monumenti paleografici degli Abruzzi (I, 1, Roma 1924;l'opera rimase interrotta), preceduta dall'ampio e in parte discutibile saggio dedicato al ms. Vat. Reg. lat.1997(Notizie su codici della Biblioteca capitolare di Chieti e sulla collezione canonica teatina…, in Bull. della R. Deputaz. abruzzese di storia patria, s. 3, IV [1913], pp.7-75)e assai contestabili quelle puramente diplomatistiche, inficiate a volte da sorprendenti errori di datazione. Gli altri filoni della multiforme attività scientifica del C., da quello storico locale a quello di codicologo e di descrittore di manoscritti, a quello vinciano, sono tutti in qualche modo riconducibili a quello primario di cui si è detto e da cui derivava all'erudito ed entusiasta ricercatore di inediti l'interesse per qualsiasi tipo di fonte manoscritta.
Bibl.: S. Timpanaro, Imanoscritti di Leonardo pubblicati dalla Commissione reale, in Nuova Antologia, 1º genn. 1943, pp. 45-52; M. Pelaez-A. Campana, Necrol., in Archivio della Soc. rom. di storia patria, LXX (1947), pp. 171-84 (con l'elenco delle opere); L. Donati, Necrologia, in Accad. e Bibl. d'Italia, XVIII(1950), p. 172; A. M. R., Necrol., in Raccolta Vinciana, XVIII(1954), p. 497; A. Petrucci, Codice diplom. del monastero benedettino di S. Maria di Tremiti, I, Roma 1960, pp. CCXX s.; M. H. Laurent, L'abbé Paul Liebaert…, in Collectanea Vaticana in honorem A. M. card. Albareda…, II, Città del Vaticano 1962, p. 12; V.De Donato, Contributi del paleografo e del diplomatista allo studio delle fonti dell'Abruzzo medioevale, in Abruzzo, VI(1968), pp. 105, 108; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI…, Città del Vaticano 1973, pp. 232, 247, 263, 268 s.