CALDERARI, Enrico
Le prime notizie biografiche di questo architetto, attivo a Roma sotto il pontificato di Gregorio XVI e in parte di quello di Pio IX, risalgono al 20 genn. 1825 quando G. Valadier, presentando alcuni disegni di reperti archeologici, scrive che "sono stati eseguiti diligentemente dall'accurato giovane" C. (Arch. di Stato di Roma, Camerlengato, II, titolo IV, busta 156, fasc. 208). "Ispettore per la polizia dei monumenti pubblici di antichità e disegnatore dei nuovi scavi" dal 1828, operando nel clima artistico della Restaurazione, riflette nella formale correttezza delle sue opere la situazione sostanzialmente stagnante e provinciale che fece seguito alle aperture europee del periodo napoleonico.
Fra il 1833 e il 1835 il C. lavorò alla casa Stivani, oggi scomparsa, al n. 427 della via del Corso (G. B. Cipriani, Itinerario figurato degli edifizi più rimarchevoli di Roma, Roma 1835 p. 60; Id., Descrizione itineraria di Roma, Roma 1838, p. 98). Negli stessi anni risulta attivo per conto di alcune istituzioni culturali: nel 1836 ridisegna i inosaici delle terine di Caracalla dagli originali del Camerlengato su incarico dell'Istituto archeologico, diretto dal ministro di Prussia (Arch. di Stato di Roma, Camerlengato, II, tit. IV, b. 242, fasc. 2504), e nel 1840 restaura la colonna di Enrico IV, oggi presso S. Maria Maggiore (ibid., b. 280, fasc. 3115). Nel 1841 erige la casa di P. Diamanti sulla via del Corso (Gasparoni, 1842).
Il principe Massimo, "sopraintendente generale alle poste di Sua Santità", nella sua Relazione del viaggio fatto da N. S. P. P. Gregorio XVI alle provincie di Marittima e Campania nel maggio MDCCCXLIII (Roma 1843, p.21), indica "l'architetto romano" C. quale autore dell'arco trionfale eretto sulla via Casilina dalla cittadinanza di Segni in occasione del passaggio del pontefice il 10 maggio 1843. L'attribuzione del Massimo è però smentita da A. Atti (1856, p. 291): "il bell'arco trionfale disegnato e diretto dal Sig. D. Giampietro Cremona Curato di S. Stefano". Possono però permanere dei dubbi in quanto sembra strano che il principe Massimo, autore del volume celebrativo del viaggio, fornisca una notizia inesatta, anche perché egli non nomina mai alcun altro autore per l'innumerevole serie di archi trionfali eretti in tutti i centri del Lazio meridionale attraversati dal corteo papale. G. Moroni, presente nel seguito pontificio in veste di "primo aiutante di camera di Sua Santità", riporta prima la notizia del Massimo (LXIII, p. 236) e poi la smentita dell'Atti (LXXXIX, p. 53).
Nel 1844 il C. termina la sua terza opera sulla via del Corso: la casa del negoziante L. Antonini, nella quale, a detta del Gasparoni, "l'architetto ha saputo cavar fuori una facciata graziosa e procacciante d'assai, a tacere della libertà delle stanze dentro", pur nella "angustissima area verticale…"; le decorazioni in stucco furono eseguite da A. Urtis (Nuova fabbrica in via del Corso, in Il Saggiatore, I [1844], t. II, pp. 214-216).
Con il clima di attivismo che interviene a Roma nei primissimi tempi del pontificato di Pio IX, si presenta al C. l'occasione di attendere a due incarichi ufficiali di notevole prestigio: come uno degli "architetti provvisori del Comune di Roma" (Arch. di Stato di Roma, Camerlengato, II, titolo IV, b. 184, fasc. 840) riceve l'incarico di redigere il progetto di un primo blocco di abitazioni per famiglie indigenti da erigersi in Trastevere, e di trasformare in sede degli uffici dell'amministrazione capitolina il palazzo senatorio riadattandone parte dell'interno.
Il Consiglio comunale nella seduta del 21 febbr. 1848 delibera l'erogazione di 200.000 scudi per l'edificazione di un primo lotto di case per famiglie poco abbienti nel rione di Trastevere sull'area allora occupata dell'orto del convento di S. Crisogono, luogo oggi scomparso per gli sventramenti effettuati con l'apertura di viale Trastevere. Il progetto elaborato dal C. fra il febbraio e l'aprile del 1848 non fu realizzato che in minima parte (F. Gasparoni, Cicaleccio per fuggire la mattana, in Le Fabbriche de' nostri tempi…, Roma, 6 luglio 1850, p. 62).
La "Gran fabbrica di S. Crisogono" "era destinata a monumento da tramandarsi alla posterità in memoria della sovrana inunificenza del Sommo Pontefice Pio IX nell'aver riorganizzato il Consiglio e Senato di Roma …" (Pompili Olivieri, p. 71) e, se realizzata, avrebbe rappresentato il primo grosso intervento di edilizia popolare interamente sovvenzionato dalla amministrazione comunale della città di Roma.
Il complesso, nel progetto redatto dal C., doveva consistere in tre ali perimetrali edificate di un lotto rettangolare a tre lati liberi: al centro di ognuno dei prospetti un arcone praticabile da veicoli permetteva l'accesso alla corte interna, che avrebbe ospitato un lavatoio coperto e svolto la funzione di "piazza di mercato", ponendosi come nucleo di servizi calcolati per essere fruiti a parziale livello di rione. L'edificio, che si elevava per tre piani ed era circondato di botteghe, era previsto per centottanta famiglie ma non venne più continuato dopo l'interruzione del 1849: nei primi anni del sesto decennio l'iniziativa, passata dal comune al pubblico erario attraverso l'intervento diretto di papa Mastai, che acquistò l'area "di suo privato", permise che fosse condotta a termine una operazione parziale, che consistette nell'edificazione di un solo lato del lotto lungo l'attuale via S. Crisogono su progetto del Pistrucci, e che nel 1857 era già quasi terminato (tuttora esistente anche se rimaneggiato).
Sempre in qualità di architetto comunale il C. nell'anno 1849 fu impegnato nella trasformazione della parte interna del palazzo senatorio in Campidoglio per ospitarvi i nuovi uffici municipali, "ai quali si ha nobile accesso, nuovamente aperto e decorato, in prossimità del Tabulario, e vi si ascende per mezzo di scale agiatissime e architettate con ardire non comune" (P. Odescalchi, Rapporto fattoal Consiglio…, Roma 1851, p. 13); i nuovi uffici capitolini furono ultimati nel 1850 poco dopo la morte del Calderari.
Il Gasparoni, nel luglio 1850, stendendo il necrologio dell'architetto lo dice "uomo di coscienza puro e veramente dabbene. In arte vide le soglie del tempio della Bellezza, e se il Genio tutelare del luogo non ve lo fece entrare, oh quanti de' suoi emuli e detrattori non lo videro e non lo vedranno mai" e alludendo a traversie ed inimicizie del C. conclude dicendo che "l'infelice C. moriva bilioso per immeritato oltraggio". La data della morte, il 9 dic. 1849, è contenuta nella domanda di pensione della vedova, Caterina Falcetti (Arch. di Stato di Roma, Camerlengato, II, tit. IV, b. 184, fasc. 840).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Cameriengato, II, tit. IV, b. 156, fasc. 208; b. 207, fasc. 1294; b. 242, fasc. 2504; b. 280, fasc. 3115; b. 298, fasc. 3503; F. Gasparoni, Siciancia di quattro fabbriche che son su per la via del Corso…, in L'Architetto girovago (Roma), gennaio 1842, pp. 67 s.; Id., Cose diverse, in Le Fabbriche de' nostri tempi (Roma), 19 maggio 1850, p. 46;Id., Annot. sopra sei nomi di sei archit. defunti, ibid., 24 luglio 1850, p. 68; Id., Noterella sulla casetta Vantaggi a Pasquino, ibid., 24 dic. 1850, p. 128; Id., Riempimento, ibid., 10luglio 1851, p. 184; A. Atti, Segni…, in L'Album, XXIII(1856), pp. 291, 312; L. Pompili Olivieri, Fasti capitolini…, Roma 1862, pp. 9, 66-72; Le scienze e le arti sotto il pontif. di Pio IX, II, Roma 1863, pp. non num.; B. Gasparoni, Un articolo vecchio con appiccagnolonuovo, in Arti e lettere, I(1863), p. 185; A. Nibby, Itinerario di Roma…, a cura di A. Valentini, Roma 1856, p. 60; L. Huetter, Trastevere, in Roma nei suoi rioni, Roma 1936, p. 359; L. Callari, Ipalazzi di Roma, Roma 1944, p. 250; A. Bartoli, Le antichità e le belle arti, in Gregorio XVI…, Roma 1948, pp. 66, 77; G. Moroni, Diz. di erud. stor-eccles., LXIII, p. 236, s. v. Segni; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p.382.