Enrico Barone
Enrico Barone, uomo dalle multiformi attività, divenne economista di rango dopo avere incontrato Maffeo Pantaleoni e Vilfredo Pareto che gli aprirono la strada alla collaborazione con la maggiore rivista dell’epoca il «Giornale degli economisti». Geniale ed eclettico, avrebbe lasciato – come scrisse Luigi Einaudi – ben maggiore traccia di sé se non fosse stato distratto da mille occupazioni, da quella di ufficiale militare a quella di giornalista, compilatore di trame per film da cinematografo e altre ancora. Il suo contributo scientifico è comunque tale da collocarlo tra i maggiori economisti italiani di scuola marginalista.
In questa ricerca, per ragioni di spazio, ricostruiremo il pensiero economico di Enrico Barone (che nacque a Napoli il 22 dicembre 1859 e morì a Roma il 14 maggio 1924) quasi esclusivamente dal punto di vista analitico. Così, pur tenendo presente il resto della complessa biografia intellettuale baroniana (la formazione militare, l’insegnamento militare, l’intensa pubblicistica storico-sociologico-politica), non cercheremo, tranne in un punto per noi essenziale, di stabilirne i rapporti con il suo pensiero economico.
Segnatamente, riteniamo che l’unico aggancio davvero persuasivo tra il pensiero economico di Barone e la sua formazione militare (che passa attraverso il Collegio della Nunziatella di Napoli, l’Accademia militare e la Scuola di applicazione di Artiglieria e Genio di Torino, l’insegnamento in queste due istituzioni e, infine, lo Stato Maggiore dell’Esercito) sia costituito dal fatto che essa gli permise di acquisire un’approfondita preparazione nelle matematiche superiori e una sicura familiarità professionale con il loro impiego. Così l’ingresso baroniano negli studi economici ci pare motivato sostanzialmente dal fatto di condividere quegli strumenti matematici che Barone ritiene abbiano consentito ad Augustin Cournot, Hermann H. Gossen, William S. Jevons, Léon Walras, Francis Y. Edgeworth, Wilhelm Launhardt, Rudolf Auspitz, Alfred Marshall, Irving Fisher e Pareto di far progredire l’economia «assai più di tutti quei numerosi scritti coi quali si ha la pretesa di trattare ad orecchio quistioni che sono essenzialmente quantitative» (Di alcuni teoremi fondamentali per la teoria matematica dell’imposta, 1894, in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, 1936, p. 16 nota 1).
In generale possiamo asserire che gli studi economici di Barone sono sotto l’egida di un’epistemologia molto simile a quella di Pareto. Infatti egli ritiene che: «lo spirito matematico in una indagine quantitativa» consista nella ricerca, tra le variabili indagate, di tante relazioni tra loro indipendenti quante sono le variabili stesse, una ricerca la cui formalizzazione non è indispensabile ma è consigliabile per la precisione e la brevità espositive che consente (Studi sulla distribuzione, 1896, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., p. 153 nota 1); e che scopo della scienza sia quello di riprodurre il fenomeno studiato (su cui non ha apprezzamenti da esprimere) come deduzione logica dalle cause del fenomeno, individuate mediante il suo studio statistico-storico: a tal fine, l’unico metodo euristicamente efficace è quello delle approssimazioni successive, definito come quello che consente di fare, del fenomeno studiato, riproduzioni sempre meno incomplete a partire da cause parimenti sempre meno incomplete (p. 151 nota 1); in altri termini, la teoria di un fenomeno è la curva di interpolazione dei fatti che lo rappresentano (Economia coloniale, 1911, p. 4).
Lo studio scientifico così concepito è, però, secondo Barone (e contrariamente allo scetticismo di Pareto), passibile di un’importante implicazione pratica in quanto, «illuminando la via dell’evoluzione» del fenomeno economico, indica «il punto d’applicazione e la direzione in cui gli sforzi della volontà devono esser rivolti, perché possano raggiungere il maggior possibile risultato nel minor tempo» (p. 295).
Ciò ricordato, i primi studi economici di Barone, pubblicati alla metà degli anni Novanta sul «Giornale degli economisti», si caratterizzano appunto per uno spigliato e spesso chiarificatore impiego della geometria e dell’analisi matematica per l’approfondimento di alcuni temi allora alla frontiera degli studi economici, quali l’equilibrio economico generale (EEG) walrasiano e la teoria del capitale e della distribuzione.
L’interesse di Barone per le questioni economiche sembra peraltro avere, in seguito, un andamento opposto a quello di Pareto: infatti mentre Barone, dopo aver iniziato a occuparsi di questioni teoriche, si concentra poi su numerose questioni applicative, com’è noto il percorso paretiano è stato opposto.
Tali diversi percorsi intellettuali si possono spiegare in primo luogo con le differenti vicende personali dei due autori. Il Pareto economista è in un primo tempo professore universitario e in seguito studioso privato, mentre il Barone economista è prima studioso privato e poi professore universitario all’Istituto superiore di Studi commerciali dell’Università di Roma; ma è anche spiegabile con il diverso interesse che i due annettevano allo studio economico: le applicazioni intese solo come semplice stimolo a uno studio sempre più astratto per Pareto, la teoria come strumento per una migliore comprensione della realtà per Barone, il quale ritiene che «la realtà non è costituita da equilibri lontani e definitivi, ma da una serie di equilibri prossimi e provvisori» (Moneta e risparmio, 1919, p. 118).
Il punto di partenza del pensiero economico di Barone consiste nella convinzione che «i fatti della società umana sono il risultato di una quantità di forze che tutte agiscono e reagiscono sulle altre» (Economia coloniale, cit., p. 6).
Il primo economista matematico con cui Barone si confronta è Fisher di cui recensisce ampiamente (A proposito delle indagini del Fisher, 1894, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., pp. 21-55) le Mathematical investigations in the theory of value and prices (1892).
Presentato l’EEG dello scambio fisheriano come la soluzione di un sistema di equazioni semplificato in tre beni e tre individui, Barone aggiunge originalmente che, per un individuo, il grado finale di utilità della moneta, definito come l’incremento dell’utilità di uno qualunque dei beni a seguito di un incremento della moneta, dipende dalla quantità disponibile di moneta, dai prezzi dei beni e dalle funzioni di utilità di questi ultimi. Barone, in particolare, dimostra che il grado finale di utilità della moneta, se sono dati i prezzi e le funzioni di utilità dei beni, è una funzione decrescente della quantità di moneta.
Egli interviene, poco dopo, nella polemica tra Edgeworth e Joseph S. Nicholson circa la misura della rendita del consumatore appena proposta da Marshall, sostenendo (Sulla consumers’ rent, 1894, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., pp. 59-76) la tesi edgeworthiana che la rendita sia calcolabile anche nell’ipotesi di costanza dell’utilità marginale della moneta. Allo scopo dimostra che, a prezzi variabili, il guadagno di utilità misurato à la Walras (cioè con la curva di utilità marginale) è uguale a quello misurato à la Marshall (cioè con la curva di domanda fondata sull’ipotesi di costanza dell’utilità marginale della moneta) purché, in questo secondo caso, le variazioni di secondo ordine si possano trascurare.
Dopo tali primi approcci di tipo esplorativo, Barone presenta (Sul trattamento di quistioni dinamiche, 1894, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., pp. 79-114) un contributo originale alla teoria dell’EEG che concepisce come uno strumento soprattutto per studi dinamici che si possono compiere applicando a una situazione di equilibrio «una causa perturbatrice», i cui effetti saranno individuabili e misurabili confrontando il nuovo EEG prodotto da tale causa con il vecchio EEG da essa turbato.
Partendo dal modello walrasiano della produzione e dello scambio, ridotto per semplicità a due individui che producono due beni con due servizi produttivi, Barone ipotizza che la causa perturbatrice sia un’imposta applicata su ogni unità di uno dei due beni prodotti: l’applicazione di tale imposta modifica tutti i prezzi e tutte le quantità, a parità delle curve individuali di utilità e dei coefficienti di fabbricazione.
In un modo interessante, Barone illustra il passaggio dal vecchio al nuovo EEG nel seguente modo: ogni individuo, quando si accorge che l’eguaglianza tra entrate e uscite è venuta meno a causa della variazione dei prezzi, modifica, per ristabilire l’equilibrio di bilancio, la sua domanda di beni e la sua offerta di servizi. Una volta ristabilita l’eguaglianza tra ricavi e spese, l’individuo non modificherà più le sue domande e le sue offerte e il nuovo EEG così sarà stato raggiunto. Barone accenna che, facendo ipotesi particolari sull’aliquota impositiva, sui coefficienti di fabbricazione e sulle inclinazioni delle curve marshalliane di domanda complessiva dei beni e di offerta complessiva dei servizi produttivi, gli effetti dell’imposta sui prezzi e le quantità si possono stabilire con sufficiente precisione.
Barone presenta la propria indagine come «il procedimento marshalliano medesimo, ritoccato, completato», segnatamente considerando: il grado finale di utilità della moneta variabile; la variazione dei prezzi di tutti i beni e non solo di quello del bene cui si applica la causa perturbatrice; le curve di offerta complessiva dei servizi produttivi e non dei prodotti, in quanto queste ultime in generale non si possono definire.
Molto tempo dopo, nel più noto dei suoi scritti (Il ministro della produzione nello stato collettivista, 1908, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., pp. 231-97), Barone impiega l’EEG per stabilire come il ministro della produzione di un ipotetico Stato collettivistico affronti il problema di organizzare l’impiego dei servizi di tutti i capitali disponibili «in guisa da procurare il maggior benessere ai suoi amministrati» (p. 289).
In primo luogo, Barone dimostra che, se si ipotizzano dati le quantità di capitali possedute dagli individui, le funzioni di produzione e i gusti degli individui, vi sono tante equazioni quante sono le incognite (quantità e prezzi d’equilibrio dei beni; i loro costi di produzione; quantità consumate e prezzi dei servizi dei capitali esistenti; quantità fabbricate e costi di produzione dei capitali nuovi; risparmio). Ma, soprattutto, Barone dimostra, à la Pareto, che se si violano le condizioni caratterizzanti la libera concorrenza, cioè quelle di eguaglianza tra prezzi e costi di produzione e di minimizzazione dei costi di produzione, si riduce il benessere della collettività con l’implicazione che, se si vuole operare una redistribuzione di ricchezza, è preferibile, mantenendo le condizioni della libera concorrenza e quindi la ricchezza massima ottenibile, procedere «a togliere direttamente agli uni per dare agli altri» (p. 281).
In secondo luogo, Barone definisce il collettivismo come l’organizzazione economica che si ha quando lo Stato diventa proprietario dei capitali fondiari e mobiliari mentre quelli personali restano di proprietà dei singoli individui. Barone ipotizza che i lavoratori siano pagati con buoni con cui possano liberamente acquistare beni e servizi di capitali secondo i prezzi relativi (o rapporti di equivalenza), non necessariamente unici, intercorrenti tra questi ultimi e fissati dal ministro; la parte distribuibile dei redditi dei servizi dei capitali statali (cioè la parte dei servizi che resta al netto di quella impiegata per gli ammortamenti) sia distribuita ai lavoratori secondo un criterio di ripartizione convenuto tra ministro e lavoratori; il ministro, mediante un premio d’equilibrio, incentivi i lavoratori a risparmiare quanto necessario per finanziare gli investimenti necessari, sempre secondo il ministro, per far aumentare il benessere degli amministrati (l’uso di tale risparmio può essere venduto solo allo Stato).
Barone rileva che la sola differenza tra libera concorrenza e collettivismo è appunto la disponibilità, nel collettivismo, di quella parte dei redditi dei capitali che, in libera concorrenza, è consumata dai loro proprietari (p. 412). Tali redditi possono essere distribuiti in modi egalitari o meno ma, variando il vincolo di bilancio dei cittadini, tali che le quantità economiche di equilibrio di libera concorrenza siano diverse che nel collettivismo (pp. 407-09).
Infine, Barone sottolinea che, anche nel collettivismo, i coefficienti di produzione minimizzanti i costi di produzione si possono individuare non matematicamente ma solo sperimentalmente (p. 410).
Tra i diversi approfondimenti puntuali che Barone, nella sue successive pubblicazioni, propone della sua teoria economica del collettivismo, i più interessanti ci sembrano quelli riconducibili all’esigenza che lo Stato controlli la produzione non solo dei capitali mobiliari e immobiliari ma anche degli esseri umani (Le opere economiche, cit., 2° vol., Principi di economia politica, 1936, p. 118); svolga, per uniformare nel tempo la disponibilità dei prodotti (segnatamente agricoli), una funzione simile a quella della speculazione privata sulle merci (p. 408); impedisca, per evitare le crisi ma imponendo (secondo Barone) alla società un costo ancora maggiore, qualunque cambiamento dei metodi di produzione e dei gusti (p. 646).
Da ultimo è interessante ricordare che Pantaleoni fa notare che i prezzi politici tipici del collettivismo (a differenza di quelli economici, tipici della libera concorrenza) variano al variare del compratore o del venditore. Pertanto, se i prezzi politici sono congegnati in modo che siano inversamente proporzionali ai redditi degli agenti economici (come è il caso delle imposte, anche proporzionali), costoro hanno le stesse remunerazioni reali, con la conseguenza che il lavoro è completamente disincentivato, determinando una produzione nulla di tutti i beni che indurrà gli agenti economici a tornare, almeno parzialmente, a un sistema di prezzi economici nonostante dia luogo a redditi reali difformi, segnatamente crescenti al crescere del lavoro prestato dai singoli agenti.
Su richiesta di Pantaleoni, Barone (Nota sui “Prezzi politici ed economici”, 1911, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., pp. 301-06) conferma la correttezza logica della tesi pantaleoniana aggiungendo che, anche se venissero mantenuti prezzi economici per i servizi produttivi, gli agenti economici più facoltosi, dinanzi all’instaurazione di maggiori prezzi politici per i prodotti, solo in un primo tempo cercherebbero di aumentare la loro offerta di servizi, per contenere la riduzione dei consumi imposta loro, finendo per subire l’incentivo ad azzerare l’offerta dei loro servizi produttivi.
Del brillante esordio di Barone quale studioso matematico dei temi alla frontiera della teoria economica di fine Ottocento fanno parte anche alcune indagini di teoria del capitale e della distribuzione.
Recensendo Über Wert, Kapital und Rente (1893) di Knut Wicksell (Sopra un libro del Wicksell, 1895, in Id., Le opere economiche, cit., 1° vol., pp. 117-43), Barone rappresenta la teoria wickselliana come segue: p=f(t), dove p è il prodotto medio annuo di ogni lavoratore e t la durata del processo produttivo, ipotizzando che f′(t)>0 e, da un certo t in poi, f′(t)<0; K=Alt/ε, dove K è il capitale necessario per remunerare, con un salario individuale l, gli A lavoratori impiegati in un processo produttivo della durata di t, e 0<ε<1; p=l(1+zt/ε), dove z è il tasso d’interesse annuo, da cui si ricava che dp/dt=lz/ε, condizione per la massimizzazione di z. Si ha quindi un sistema di quattro equazioni in sei incognite (p, t, K, A, l, z): fissate due incognite, la soluzione del sistema dà il valore di equilibrio delle restanti quattro. Illustrando l’interazione delle variabili Barone segnala, in particolare, che se aumenta (diminuisce) K, aumenta (diminuisce) t, il che fa aumentare (diminuire) l e diminuire (aumentare) z; analogamente, se aumenta (diminuisce) A, diminuisce (aumenta) t, il che fa diminuire (aumentare) l e aumentare (diminuire) z.
Gli studi sull’EEG e sulla teoria del capitale consentono a Barone di affrontare la teoria della distribuzione che considera «l’argomento per eccellenza della scienza economica» (Studi sulla distribuzione, cit., p. 147).
Il suo contributo al tema è una breve ma succosa recensione critica, rimasta a lungo inedita (Sopra un recente libro del Wicksteed, 1895, in W. Jaffé, New light on an old quarrel, «Cahiers Vilfredo Pareto», 1964, 3, pp. 68-73), di An essay on the coordination of the laws of distribution (1894) di Philip Wicksteed.
Come noto, la tesi wicksteediana è che, in concorrenza perfetta, ogni fattore di produzione è remunerato proporzionalmente alla propria produttività marginale e che, in questo modo, tutto il prodotto viene distribuito. Barone ritiene che tale tesi possa essere dimostrata più sinteticamente e chiaramente che in Wicksteed (e non facendo ricorso alla troppo restrittiva funzione di produzione omogenea di primo grado): ipotizzando che il prezzo del bene prodotto e i prezzi dei fattori di produzione siano tutti prezzi di equilibrio, espressi in numerario; constatando che, in concorrenza perfetta, il valore del bene prodotto non potrà che essere pari alla somma delle remunerazioni dei fattori di produzione (un eventuale residuo sarebbe, infatti, una remunerazione percepita senza aver contribuito alla produzione il che sarebbe possibile, secondo Barone, solo in regime di monopolio); tenendo presente che per ogni fattore vi dev’essere eguaglianza tra remunerazione e valore della produttività marginale. Barone aggiunge che la sua dimostrazione la si può dedurre dalle condizioni walrasiane del profitto nullo e dei coefficienti di produzione minimizzanti i costi di produzione.
L’impostazione che ispira Barone nelle sue successive, ampie applicazioni dell’EEG allo studio della realtà economica è che se «la considerazione degli equilibri definitivi è utile sotto tanti aspetti […] la vita economica è costituita essenzialmente da una successione di fenomeni intermedi» (Principi di economia politica, 1908, in Id., Le opere economiche, cit., 2° vol., p. 238). Tale è il riferimento teorico sottostante, e concettualmente unificante, le sue indagini (su cui riferiremo disponendole in ordine di crescente analiticità) sull’economia coloniale, l’economia di guerra, l’economia monetaria, i sindacati d’imprese, la scienza delle finanze, l’economia dei trasporti, in buona parte connesse ai corsi monografici da lui tenuti durante il periodo dell’insegnamento universitario.
Ai fini dello studio dell’economia coloniale la teoria della produttività marginale suggerisce che, in colonia, crescendo il prezzo della terra a mano a mano che la colonizzazione si intensifica, la produttività della terra, se si vuole massimizzare il profitto individuale oppure il benessere collettivo, deve pure aumentare, il che implica la riduzione delle dimensioni delle imprese agricole coloniali (Economia coloniale, cit., pp. 11-14).
Inoltre, dalla teoria dei costi comparati si trae che, se la ragione di scambio internazionale cambia nel senso di far aumentare il rapporto tra i prezzi agricoli e quelli industriali, le esportazioni agricole aumentano e quelle industriali diminuiscono con la conseguenza che i Paesi agricoli non sono incentivati a trasformarsi in Paesi industriali e sono quindi incentivati a impiegare nell’espansione coloniale il loro risparmio e il loro lavoro eccedenti (pp. 14-26).
Sullo sfondo di tali riferimenti teorici, Barone esamina approfonditamente la storia coloniale inglese, francese, tedesca, spagnola, portoghese, belga e olandese traendone diverse, interessanti generalizzazioni, tra cui la seguente: l’emigrazione simultanea di lavoro e risparmio dalla madrepatria alla colonia, oltre a favorire lo sviluppo di quest’ultima, favorisce nella prima una maggiore remunerazione tanto del risparmio quanto del lavoro (pp. 229-30).
In definitiva, Barone ritiene che, se il territorio da colonizzare è ben scelto e se la colonizzazione è condotta senza gravi errori, le spese pubbliche coloniali «rientrano alla metropoli con lauti interessi per via indiretta» (pp. 270-72). Segnatamente, tali vantaggi indiretti consistono nella possibilità, per la metropoli, di rifornirsi, presso la colonia e mediante scambio con prodotti industriali, di beni alimentari e materie prime meno costosi che altrove, il che favorisce lo sviluppo economico metropolitano e una maggiore remunerazione del lavoro e del risparmio metropolitani; di alleggerire la pressione sul mercato del lavoro metropolitano, offrendo sbocchi interessanti a elementi intraprendenti della classe media e del proletariato (pp. 273-74).
Il breve commento di Barone sull’esperienza coloniale italiana è che, al suo inizio, essa fu prematura in quanto poteva contare su una disponibilità insufficiente di risparmio nazionale disposto a emigrare; invece, nel periodo in cui scrive sull’argomento e che è coevo alla guerra di Libia (per quanto mai citata), Barone ritiene che «le nostre condizioni economiche si sono cambiate e che al periodo del raccoglimento deve seguire quello della necessaria espansione» (pp. 294-95).
Barone concepisce le crisi economiche come «grandi turbamenti» dell’EEG (Principi di economia politica, cit., p. 599), uno dei quali è la guerra. Alla luce della compresenza nella complessa biografia intellettuale di Barone delle dimensioni del militare e dell’economista, ci sembra di notevole interesse l’interpretazione che lo studioso ha dato dell’azione esercitata dal primo conflitto mondiale, di cui è stato attento osservatore, sull’EEG. Secondo Barone, la guerra dà luogo a «una violenta e profonda» riallocazione del lavoro e del risparmio che devono produrre, accanto ai soliti beni civili, anche quelli militari nonché, naturalmente, le operazioni belliche; comporta la distruzione di quantità ingenti di capitali umani, mobiliari e fondiari; a causa della minore disponibilità commerciale di ferrovie e navi impiegate per le operazioni belliche oppure distrutte nel corso di queste ultime, determina un forte aumento delle spese di trasporto interne e internazionali.
Le conseguenze di tali fenomeni sono le seguenti: una riduzione della produzione dei beni civili e del commercio internazionale; il finanziamento dei disavanzi commerciali dei Paesi belligeranti non mediante la cessione di oro, vietata per ragioni strategiche, ma mediante la vendita di titoli, cioè mediante un aumento dell’indebitamento dei Paesi belligeranti verso quelli neutrali; un aumento solo momentaneo del tasso di sconto e un continuo aumento del tasso di interesse dovuto al forte aumento della domanda di risparmio e alla scarsa produzione di nuovo risparmio a seguito della contrazione del reddito disponibile (pp. 649-72).
L’economia di pace postbellica è, rispetto a quella prebellica, all’insegna di un tasso d’interesse maggiore, salari reali più bassi, una maggiore emigrazione dai Paesi con crescita demografica maggiore di quella del risparmio, una riduzione del reddito medio, un rallentamento del processo di industrializzazione del sistema economico, una ripresa del protezionismo doganale, una riduzione della produttività del lavoro, un maggiore intervento dello Stato nella vita economica. Tale situazione, quindi, sembra non essere favorevole a quella ricostituzione del risparmio distrutto durante la guerra (richiedente un forte aumento della produzione e un contenimento dei consumi) che è l’unico «rimedio» alla crisi postbellica (pp. 701-07).
Barone sottolinea che il credito non può far aumentare il risparmio ma solo allocarlo in un modo più favorevole alla produzione (Moneta e risparmio, cit., p. 3); si dichiara favorevole all’unicità della banca d’emissione quale forma organizzativa ottimale per «fronteggiare i bisogni internazionali di metallo» (p. 12); è contrario alle banche miste, in quanto strutturalmente fragili perché impiegano depositi (cioè passività esigibili rapidamente) anche per compiere prestiti a medio-lungo termine (p. 24).
Tra i vari casi di politica monetaria studiati da Barone uno dei più interessanti è quello relativo all’abolizione del corso forzoso nel caso più generale, costituito dalla circolazione bancaria e dalla circolazione di Stato non fronteggiate da obbligo di cambio in moneta metallica. Egli sottolinea che il corso forzoso può risolversi da sé se l’economia, e quindi la domanda di circolante, cresce. Diversamente, il corso forzoso si può ridurre con una riduzione delle due circolazioni da compiere, secondo Barone, gradualmente per evitare deflazioni troppo drastiche. In tale prospettiva, un prestito estero può giovare, nel senso di favorire il rientro dal corso forzoso dal lato dell’aumento delle riserve monetarie e quindi rendendo meno drastica la deflazione, solo se si è già provveduto a ridurre la circolazione complessiva: diversamente, per la legge di Gresham, la riserva metallica presa in prestito tornerebbe all’estero scacciata dalla meno cara, e quindi più conveniente per i pagamenti, circolazione restante. Il non aver provveduto a ridurre preliminarmente la circolazione, segnatamente quella bancaria, ha costituito, secondo Barone, «il principale e sostanziale errore della nostra abolizione del corso forzoso fatta dal Magliani» (pp. 156-60).
Barone osserva che, se in un settore produttivo agisce pienamente la concorrenza, vi resteranno attive solo le imprese producenti al costo minimo, che possono anche ridursi a una sola, se in grado di soddisfare l’intera domanda di mercato (Principi di economia politica, cit., p. 289). Se invece residuano diverse imprese, esse potrebbero preferire a una relazione di concorrenza una relazione di collusione (organizzata formalmente in un sindacato, p. 304) mirante a perseguire il massimo profitto complessivo mediante la minimizzazione del costo della produzione complessiva, da ottenersi anche mediante pratiche di dumping. I sindacati di imprese, per contro, non adottano comportamenti monopolistici per non fare intervenire la concorrenza potenziale (p. 324).
Secondo Barone, quando la concorrenza ha lasciato in vita solo poche grandi imprese efficienti, un suo ulteriore proseguimento spesso produce, dal punto di vista del benessere sociale, costi (nei termini della distruzione dei capitali investiti nelle imprese annientate da un proseguimento della guerra concorrenziale) maggiori dei benefici (nei termini di un’ulteriore riduzione dei costi di produzione): quindi un’organizzazione sindacalizzata dell’economia può essere socialmente preferibile a una concorrenziale (p. 328).
Barone, nel suo primo articolo economico (Di alcuni teoremi fondamentali per la teoria matematica dell’imposta, cit., pp. 5-17), presenta il problema finanziario come consistente nello stabilire, in un quadro di equilibrio parziale, in che misura l’applicazione di un’imposta faccia variare la quantità prodotta da un perfetto edonista. Egli dimostra geometricamente che, rispetto al caso senza imposizione fiscale, se l’imposta è fissa la quantità prodotta è maggiore; se l’imposta è proporzionale alla quantità prodotta, quest’ultima può essere maggiore o minore giusta l’entità dello spostamento della curva dell’utilità marginale dell’edonista.
Nello stesso ordine di idee, Barone dimostra geometricamente che, a parità di incremento di gettito, la riduzione dell’utilità del contribuente è maggiore con l’imposta indiretta che con quella diretta (Studi di economia finanziaria, 1912, in Id., Le opere economiche, cit., 3° vol., Principi di economia finanziaria, 1937, pp. 39-40).
Più in generale, la traslazione di un’imposta è esplicitamente concepita da Barone come una questione di EEG dinamico (pp. 271-73).
In prima approssimazione, un’imposta che colpisca il reddito di capitali, se trattasi di capitali fondiari o personali, non viene traslata; se trattasi di capitali mobiliari, viene invece traslata, per quanto parzialmente, sulle imprese e sui consumatori (pp. 278-79). In seconda approssimazione, un’imposta applicata ai redditi fondiari potrebbe essere traslata, almeno parzialmente, sui lavoratori agricoli e anche sui consumatori (pp. 284-87).
Circa il dazio d’importazione, Barone dimostra che il Paese che lo applica ne resta inciso in misura tanto maggiore quanto più rigida è la domanda del bene, mentre il Paese d’esportazione ne viene inciso in misura tanto maggiore quanto più importante è la domanda del Paese che ha imposto il dazio rispetto alla quantità prodotta da quello esportatore e quanto più rigide sono le condizioni di offerta di quest’ultimo: secondo Barone «generalmente l’incidenza è in gran parte sul mercato importatore» (pp. 319-24).
Infine, per Barone, l’imposizione fiscale economicamente ottimale è quella che, data la distribuzione personale dei redditi (che, seguendo Pareto, ritiene non modificabile), copre un dato fabbisogno finanziario nel modo «che meno ostacola lo sviluppo del reddito medio» (p. 141). Osservando che la crescita del reddito medio è dovuta a un’infinità di combinazioni tra crescita del risparmio e della produttività del lavoro e che il risparmio è prodotto soprattutto dai ceti medi, Barone esprime il suo favore per una politica fiscale che gravi il meno possibile su questi ultimi, pur notando che, in realtà, tanto nei regimi aristocratici quanto in quelli democratici, si verifica il contrario (pp. 160, 162, 165).
L’economia baroniana dei trasporti li interpreta come una specificazione del fenomeno dei costi connessi, che si ha quando certi beni o servizi si producono mediante lo stesso processo produttivo, con la duplice conseguenza che vi è un unico costo complessivo e che l’aumento della quantità prodotta di uno di essi implica la riduzione delle quantità prodotte degli altri. Nelle imprese di trasporto vi sono due particolarità: una parte del costo complessivo è costante mentre l’altra è funzione crescente delle quantità prodotte dei vari servizi di trasporto; il vincolo tecnologico che lega le quantità prodotte è lineare (I costi «connessi» e l’economia dei trasporti, «Giornale degli economisti», s. III, 1921, pp. 57-58 nota 1).
Barone dimostra che la tariffa di concorrenza perfetta di un trasporto ferroviario è funzione crescente della distanza, della velocità, del coefficiente del peso morto trasportato, delle spese fisse per la linea e funzione decrescente del traffico lungo la linea (pp. 69-70): le tariffe ferroviarie effettive, essendo di monopolio, saranno diverse da quelle concorrenziali in quanto il monopolista, in particolare se privato, vorrà garantirsi anche un dato profitto che otterrà praticando prezzi multipli, segnatamente maggiori per i trasporti a domanda meno elastica e minori per quelli a domanda più elastica (pp. 72-73).
La parte più interessante dell’analisi dell’economia del trasporto marittimo è la dimostrazione che il costo del trasporto di una tonnellata di registro è funzione decrescente e strettamente convessa della dimensione della nave; funzione crescente e strettamente concava della distanza del trasporto; una funzione quasi a U rovesciata della velocità, con il minimo di tale curva (rappresentante la velocità «più economica») che è funzione crescente della velocità della nave e decrescente del prezzo del combustibile (pp. 75-79).
La prima, breve stagione della valutazione critica di Barone si ebbe in occasione della morte. Francesco Spinedi, allievo di Barone, interpreta il maestro come lo studioso che ha completato il progetto walrasiano dell’EEG dal lato del suo impiego per lo studio della realtà economica, mentre Pareto l’aveva completato consolidandolo dal versante teorico. Spinedi (1924) attribuisce gli «intenti più pratici» di Barone al suo «ingegno» e alla sua «cultura» (p. 195).
Nella stessa occasione Gustavo Del Vecchio (1925) accredita all’originalità teorica di Barone il coordinamento, nell’ambito dell’EEG, delle teorie della produzione e della distribuzione; lo studio dell’organizzazione sindacale (oggi diremmo di oligopolio collusivo) della produzione; l’analisi della produzione connessa di vari beni; la ripartizione ottima dell’imposizione fiscale nel rispetto della forma della società indicata dalla curva dei redditi di Pareto (p. 575).
Come noto, la notorietà internazionale arride a Barone grazie a The ministry of production in the collectivist State (1935), la traduzione inglese del suo articolo sul ministro della produzione nello Stato collettivista patrocinata da Friedrich A. von Hayek, il quale ne prende spunto per ribadire che il sistema di equazioni baroniano, se è logicamente concepibile, è praticamente irrisolvibile mediante algoritmi matematici (von Hayek 1935, p. 208; per una puntualizzazione dell’apprezzamento di tale articolo nella letteratura sulla teoria economica del socialismo, si può utilmente consultare Jossa, Cuomo 2000, pp. 4-9, 11-20).
Non confermando la ricostruzione analitica datane con apparente approvazione da George J. Stigler (1941, nuova ed. 1994, pp. 356-62), Robert Kuenne, nell’interessante voce enciclopedica dell’International encyclopedia of the social sciences (1968), rileva che la dimostrazione baroniana dell’esaurimento del prodotto con funzione di produzione non necessariamente omogenea di primo grado è analiticamente insoddisfacente pur avendo aperto la strada alla presentazione, di cui dà atto a Barone, di una versione dell’EEG con coefficienti di produzione variabili (come noto, la versione walrasiana dell’EEG è a coefficienti di produzione fissi).
Il cinquantesimo anniversario della morte è stato l’occasione di una nuova serie di articoli, tra i quali si segnalano: uno studio di rassegna di Mario D’Amico (1975); un breve ma originale saggio in cui Sergio Steve (1974), in primo luogo, ricostruisce il tentativo baroniano di fondare una teoria positiva della ripartizione del carico fiscale facendone il prodromo della successiva corrente di studi sulla trasformazione dei sistemi tributari nel corso dello sviluppo economico, in secondo luogo, ricorda che la fama di Barone nella letteratura internazionale di scienza delle finanze è dovuta alla succitata dimostrazione che, a parità di prelievo, il contribuente sopporta un sacrificio maggiore in un regime di imposizione indiretta rispetto a quello di imposizione diretta (pp. 384-89); un interessante studio di Alessandro Petretto (1982) che pone Barone, svincolandolo da Pareto, quale capostipite della linea di riflessione sulla nuova economia del benessere cui appartengono i noti lavori di Kenneth J. Arrow, Gérard Debreu, Tjalling Ch. Koopmans e Leonid Hurwicz sulla teoria dell’allocazione delle risorse: in particolare Barone è ritenuto il concepitore del secondo teorema dell’economia del benessere, cioè che un equilibrio Pareto-ottimale è ottenibile come equilibrio competitivo, e del concetto di second best ovvero del massimo benessere effettivamente ottenibile che è minore di quello massimo teoricamente determinabile (pp. 150-51, 154, 157-60).
Peter Dooley (1998) completa, per il momento, la scarna ma lunga stagione degli studi baroniani storico-analitici con un utile articolo di sintesi che accredita a Barone un’innovativa rappresentazione grafica della teoria del commercio internazionale mediante il ricorso a una curva di trasformazione e a una famiglia di curve di indifferenza collettiva (pp. 71-72); una teoria dell’impresa, ricostruita assemblando contributi e spunti sparsi nell’intera opera baroniana (pp. 77-80).
È attualmente in corso una nuova stagione di studi baroniani, innovativamente ispirata (principalmente) all’approccio della storia esterna del pensiero economico e che si articola su Luca Michelini (2005 e 2007), interessato al ruolo svolto da Barone nel dibattito sui problemi di politica economica e sociale italiani dell’epoca, e sull’ampia monografia biografica di Catia Gentilucci (2006).
Dagli scritti economici di Barone abbiamo, in definitiva, tratto l’impressione di un autore di notevole intelligenza critica, di ragguardevole capacità espositiva di argomenti per l’epoca ancora inusuali ma molto dispersivo e la cui originalità permane difficilmente decifrabile, vuoi per l’eccessiva parsimonia nella citazione delle fonti vuoi perché Barone, malgré lui, sembra essersi comunque mosso nell’alveo paretiano che, anche per lui, è una sorta di cono d’ombra oscurante tutte le modifiche apportate alle teorie del «solitario di Céligny».
Di alcuni teoremi fondamentali per la teoria matematica dell’imposta, «Giornale degli economisti», s. II, 1894, pp. 201-10 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 5-17).
A proposito delle indagini del Fisher, «Giornale degli economisti», s. II, 1894, pp. 413-39 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 21-55).
Sulla consumers’ rent, «Giornale degli economisti», s. II, 1894, pp. 211-24 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 59-76).
Sul trattamento di quistioni dinamiche, «Giornale degli economisti», s. II, 1894, pp. 407-35 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 79-114).
Sopra un libro del Wicksell, «Giornale degli economisti», s. II, 1895, pp. 524-39 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 117-43).
Sopra un recente libro del Wicksteed (1895), in W. Jaffé, New light on an old quarrel. Barone’s unpublished review of Wicksteed’s Essay on the coordination of the laws of distribution and related documents, «Cahiers Vilfredo Pareto», 1964, 3, pp. 68-73.
Studi sulla distribuzione, «Giornale degli economisti», s. II, 1896, pp. 107-55, 235-52 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 147-228).
Il ministro della produzione nello stato collettivista, «Giornale degli economisti», s. II, 1908, pp. 267-93, 391-414 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 231-97).
Economia coloniale. Anno scolastico 1910-1911, Roma 1911.
Nota matematica allo studio di M. Pantaleoni “Considerazioni sulle proprietà di un sistema di prezzi politici”, «Giornale degli economisti», s. III, 1912, pp. 134-38 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 1° vol., Scritti vari, Bologna 1936, pp. 301-06).
Scienza delle finanze. Anno scolastico 1911-1912, 1912 (manoscritto rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 3° vol., Principi di economia finanziaria, Bologna 1937, pp.1-18, 69-138, 191-270, 350-438, 457-62).
Studi di economia finanziaria, «Giornale degli economisti», s. III, 1912, (aprile-maggio) pp. 316-53, (giugno) pp. 469-505, (luglio) pp. 1-75 (rist. in Id., Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 3° vol., Principi di economia finanziaria, Bologna 1937, pp. 19-67, 139-89, 271-348, 439-56, 463-69).
Moneta e risparmio, Roma 1919 (rist. in E. Barone, Moneta e risparmio, a cura di R. Villani, Torino 1991).
I costi ‘connessi’ e l’economia dei trasporti, «Giornale degli economisti», s. III, 1921, pp. 56-84.
The ministry of production in the collectivist State (1935), in F.A. von Hayek, Collectivist economic planning, London 1935, pp. 245-90.
Le opere economiche, a cura di A. Piperno, 3 voll., Bologna 1936-1937.
F. Spinedi, Di un metodo nello studio della scienza economica, «Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie», 1924, pp. 194-206, 273-84 .
G. Del Vecchio, L’opera scientifica di Enrico Barone, «Giornale degli economisti», s. III, 1925, pp. 573-78.
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