ENRICHETTO delle Querce (dalle Querce)
Nacque a Bologna intorno alla metà del sec. XIII e fu notaio addetto all'ufficio dei Memoriali. La sua fama è legata soprattutto al noto sonetto della Garisenda ("Non mi poriano già mai fare ammenda"), oggi di comune attribuzione dantesca (Rime, LI), che egli trascrisse sul suo registro dei Memoriali, anonimo e in fonerica emiliana, in calce ad un contratto stipulato nel secondo semestre del 1287.
S. Debenedetti, nelle Osservazioni sulle poesie dei Memoriali bolognesi (1948), illustra il provvedimento del 1265 ad opera dei due podestà bolognesi, Loderingo degli Andalò e Catalano de' Catalani, che obbligava la trascrizione di tutti gli atti stipulati dai notai della Camera Actorum in appositi registri, detti appunto Libri Memorialium o Memorialia Communis. Da tale provvedimento nacque la consuetudine da parte dei notai di riempire gli spazi bianchi fra le stipule, per evitare aggiunte illegali, con trascrizioni di sonetti e ballate di autori vari, al posto delle solite linee di annullamento o delle preghiere e sentenze latine in uso precedentemente e altrove. Per questo motivo, dal 1265 fino al primo decennio del secolo successivo (quando cioè la consuetudine decadde) l'istituzione dei Memoriali ha costituito un riferimento importante per la poesia italiana delle origini.
Il nome di E. compare in vari documenti e atti legati alla storia della sua città, in cui godeva senz'altro di un'alta considerazione, dal momento che gli furono affidate mansioni di prestigio, in ambito politico e amministrativo. Appartenente, come ha notato il Livi, "ad una famiglia in cui la professione notarile fu veramente ereditaria", divenne notaio nel 1278 e fu più volte addetto all'ufficio dei Memoriali. Tra il 1282 e il 1303 fu membro del Consiglio municipale. Il Comune gli affidò anche incarichi di cancelleria straordinaria, come risulta da un registro dei mandati del capitano del Popolo, in data 4 apr. 1288, in cui si ordina alla Tesoreria di pagare ad E. la somma di 11 soldi per aver condotto un negoziato epistolare fra il Comune di Bologna e la Curia romana. Nel 1307 entrò a far parte dei Consiglio degli anziani e l'anno successivo fu proconsole dei notari.
Ebbe anche incarichi diplomatici di prestigio: nel 1298, 1299 e nel 1310 fu inviato a Firenze come ambasciatore e infine nel maggio 1311 si recò alla corte di Avignone per assicurare al governo guelfò di Bologna la protezione del papa contro la minaccia ghibellina. Fu certamente in rapporto con intellettuali dell'epoca; fra i colleghi frequentò un altro notaio bolognese, Pietro di Allegranza, celebre per aver inserito nei suoi Memoriali, nel 1292, parte della canzone dantesca "Donne che avete intelletto d'amore".
E. mori probabilmente a Bologna fra la fine del 1311 e il 1312, anno in cui suo figlio, giovane notaio, entrò a far parte dell'ufficio dei Memoriali e vi restò in carica per trentanove anni, continuando la tradizione familiare.
La paternità del sonetto della Garisenda, scoperto anonimo nei Memoriali di E. da A. Gualandi e G. Gozzadini (ciascuno dei quali rivendicò la priorità del ritrovamento), fu inizialmente attribuita dagli stessi al notaio. Infatti nel 1874 il Gualandi lo pubblicò come Sonetto italiano inedito di E. dalle Q. poeta e notaro bolognese del sec. XIII, nonostante l'avvertimento di altri studiosi circa la presunta attribuzione dantesca in vari codici manoscritti. Il Gualandi ebbe tuttavia il merito di averlo messo in luce, corredato di buoni documenti storici. Oggi la sua esatta datazione fa dell'opera il più antico testo dantesco conosciuto e rappresenta un fondamentale riferimento per la ricostruzione del soggiorno di Dante a Bologna.
L'errore di attribuzione è in parte spiegabile perché si fonda su vari fatti. Innanzitutto i notai nel sec. XIII spesso si dilettavano di poesia; in particolare la città di Bologna, famosa per il suo Studio e per le sue relazioni culturali, si avvaleva di una cerchia di intellettuali molto nutrita, che coltivava tanto le arti liberali quanto le discipline giuridiche. In secondo luogo, E. era un notaio singolare, che "vergava il suo elegantissimo registro" con la perizia di un vero "calligrafo ornatista", come disse il Livi. Si può rilevare anche un'altra sua caratteristica e cioè l'uso (allora del tutto inconsueto in atti ufficiali) del volgare, come risulta da un suo rogito del 7 apr. 1295, la cui chiarezza linguistica e stilistica hanno suggerito al Livi che il notaio fosse, se non proprio un magister (cioè un letterato. esperto nell'ars dictandi), almeno un cultore delle arti liberali.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Libri Memorialium, Mem. 69, c. 203v; Ibid, Mem. di Z. Zaccarelli, c. 43a (1297); C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, I, Bologna 1596, p. 553; A. Gualandi, La Torre Garisenda, Sonetto italiano inedito di E. dalle Q., poeta e notaro bolognese del sec. XIII. …, Bologna 1874; G. Gozzadini, Delle torri gentilizie di Bologna, Bologna 1880; F. Zanibrini, Le opere volgari a stampa dei sec. XIII e XIV, Bologna 1884, p. 386; A. Gualandi, Accenni alle origini della lingua e della poesia ital., Bologna 1885, pp. 18-22; G. Carducci, Intorno ad alcune rime dei sec. XIII e XIV, ritrovate nei Memoriali dell'Arch. notarile di Bologna, in Ediz. naz. delle opere, XVIII, pp. 109-282; E. Levi, Cantilene e ballate dei sec. XIII e XIV dai Memoriali di Bologna, in Studi medievali, Torino 1912-13, pp. 309, 326; G. Livi, Dante, i suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918, pp. 5-17, 191-195; D. Alighieri, Rime, a cura di G. Contini, Torino 1939, pp. 39-40; S. Debenedetti, Osservazioni sulle poesie dei Memoriali bolognesi, in Giorn. stor. della lett. ital., CXXV (1948), pp. 3-41; M. Saccenti, E. dalle Q., in Encicl. Dantesca, II, Roma 1970, p. 680.