CARACCIOLO, Enrichetta
Nacque a Napoli il 17 febbr. 1821, quinta figlia di Fabio, secondogenito di Gennaro principe di Forino, e di Teresa di Benedetto dei conti Cutelli. Trascorse i primi anni dell'infanzia, fino al 1825, a Bari, dove il padre era stato inviato come comandante della provincia col grado di maresciallo di campo, grado da cui venne rimosso per motivi politici nel 1825. Dopo tre anni passati a Napoli nell'indigenza, la C. trascorse l'adolescenza a Reggio Calabria, quando il padre, reintegrato nel grado, vi coprì la carica di comandante della provincia dal 1827 al 1839. Mortole il padre, il 27 sett. 1839 la C. dovette far ritorno con la famiglia a Napoli, e qui il 4 genn. 1840 fu inviata dalla madre nel convento benedettino di S. Gregorio Ameno. Il 21 marzo dello stesso anno prendeva l'abito di educanda, il 1º ott. 1841 era consacrata novizia, e il 1º ott. 1842 pronunciava i voti. Riluttando però alla condizione di monaca di clausura, iniziò dopo pochi anni una lunga serie di istanze e di pratiche per uscire dal chiostro. Riuscita ad ottenere dalla S. Sede un breve d'uscita dal convento di S. Gregorio Armeno e la sospensione della clausura, il 28 genn. 1949 la C. passò, sempre a Napoli, al conservatorio detto di Costantinopoli. In seguito al rinnovarsi dell'obbligo di clausura fece ritorno alla casa materna dalla quale, per la minaccia dell'arresto, si allontanò rifugiandosi a Capua sotto la protezione del cardinale Capano, e qui fu collocata nel ritiro dell'Annunziata fino alla morte del Capano stesso, avvenuta dopo breve tempo. Ritornata a Napoli, si rifugiò nel convento di S. Nicola da Tolentino, poi presso la famiglia di una sorella, dove venne arrestata e condotta, sotto rigida condizione di clausura, nel ritiro di Mondragone. Il 20 marzo 1854 le moriva la madre; il 4 novembre dello stesso anno, ottenuto nuovamente un breve d'uscita, si trasferì a Castellammare di Stabia in abitazione privata. Nel settembre del 1855 fece ritorno a Napoli; nel 1860, in seguito al crollo della monarchia borbonica, abbandonò definitivamente il velo monacale. Ottenuto da Garibaldi il posto di ispettrice degli educandati della città di Napoli. nel 1864 ebbe dal governo italiano una piccola pensione mensile, che però le venne corrisposta solo per due anni. Perduto il posto di ispettrice la C., che aveva nel frattempo sposato con rito non cattolico Giovanni Greuther dei principi di Sanseverino, si dedicò al giornalismo e al movimento femminista. Nel 1864 l'editore Barbera dava alle stampe a Firenze le memorie autobiografiche della C., con il titolo Imisteri del chiostro napoletano (ristampato a Napoli dall'editore Giordano nel 1964 col titolo Le memorie di una monaca napoletana). Il manoscritto aveva avuto oscure vicende editoriali che rendono problematica l'attribuzione alla C. dell'intera stesura dell'opera. L'originale era stato offerto al Barbera, ai primi di giugno del 1864, da un esule greco, Spiridione Zambelli, che era servito da tramite tra la C. e l'editore; secondo il Barbera, il manoscritto sarebbe stato ritoccato, almeno stilisticamente, dallo Zambelli. In ogni caso l'opera ebbe immediatamente un enorme successo, in Italia e all'estero, dove apparve in numerose traduzioni, e suscitò anche vivaci polemiche per il suo taglio violentemente anticlericale.
In realtà l'orditura di queste memorie risente palesemente l'influenza di molteplici modelli letterari spesso contrastanti. La struttura fondamentale si richiama da un lato al modello del romanzo storico che mescola e pone in dipendenza la storia privata da quella pubblica, dall'altro al modello di certo memorialismo romanticheggiante ispirato a un dominante titanismo dell'io. Questi schemi letterari tipicamente ottocenteschi appaiono prevalenti specialmente nella seconda parte dell'opera, insieme a numerosi altri motivi desunti dal romanzo storico-risorgimentale (anticlericalismo, liberalismo antiborbonico, ecc.) e, per altro verso, dal romanzo d'appendice (la descrizione di certi ambienti laidi e segreti, come nella rappresentazione dell'Annunziata di Capua; il motivo delle insidie degli oppressori alla virtù dell'oppressa). In questa direzione un altro modello si affaccia nelle pagine della C., in particolare in tutta la prima parte dell'opera; quello del romanzo settecentesco d'avventura (il tema dell'orfana indifesa e della virtù perseguitata), e infine il modello del romanzo di denuncia di stampo illuminista, che consente alla C. una descrizione quasi oggettiva degli interni del convento del tutto spoglia da ogni pathos e da ogni morbosità. Mentre appare fondamentalmente assente da queste pagine un apporto manzoniano, non si può escludere in alcune parti della narrazione un riecheggiamento del romanzo del Diderot.
La C., rimasta vedova nel 1885, morì a Napoli il 17 marzo 1901.
Fonti e Bibl.: G. Barbera, Mem. di un editorepubbl. dai figli, Firenze 1883, pp. 279-282; F. Sciarelli, E. C. dei principi di Forino ex monaca benedettina: ricordi e documenti, Napoli 1894; A. De Gubernatis, Piccolodiz. dei contemp. italiani, Roma 1895, ad vocem; A. Caracciolo di Torchiarolo, Una famiglia italianissima: i Caracciolo di Napoli nella storia e nella leggenda, Napoli 1909; C. Villani, Stelle femminili, Napoli 1913, p. 47; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, p. 1237; F. Fabris, La genealogia della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XIX.