ENOCH d'Ascoli
Nacque ad Ascoli, nel Piceno, negli ultimi anni del Trecento o, più probabilmente, nei primi anni del sec. XV, da una famiglia di condizioni modeste.
Il suo nome di battesimo fu Alberto, ma rimase noto con quello del personaggio biblico Enoch, adottato non si sa in quale circostanza e per quale motivo, e talvolta erroneamente ritenuto il cognome; al nome aggiunse l'appellativo topografico "Asculanus".
Negli anni della giovinezza studiò ad Ascoli, nello Studio fondato, sul finire del sec. XIII, dal papa Niccolò IV. Ma le prime notizie certe che si hanno riguardano il periodo in cui egli fu scolaro di Francesco Filelfò a Firenze: infatti il Filelfò, in una lettera, più tarda, indirizzata al papa Callisto III, ricorda che E. fu suo "auditor" a Firenze insieme con Enea Silvio Piccolomini (allora arcivescovo di Siena); poiché il Piccolomini fu discepolo del Filelfo fra il 1429 e il 1431 si deve dedurre che a quel tempo risale anche la frequenza a Firenze di E. col Filelfo (che vi rimase dal 1429 al 1434).
Non si può escludere l'ipotesi che E. sia arrivato a Firenze addirittura al seguito dello stesso Filelfo, che aveva già acquistato una certa fama nella natia (e non lontana da Ascoli) Tolentino. A Firenze E. dovette rimanere ininterrottamente anche dopo che il Filelfo, nel 1434, lasciò la città per l'insanabile contrasto con Cosimo de' Medici rientrato, nel settembre, a Firenze dopo il temporaneo esilio a Padova. Lo dimostra una lettera raccomandatoria inviata proprio a Cosimo da Ambrogio Traversari, generale dell'Ordine dei camaldolesi, nel settembre del 1435, nella quale il Traversari ricorda a Cosimo che E. era già stato il maestro ("institutor") dei suoi figli: ed ora - evidentemente dopo il rientro di Cosimo - cercava di nuovo i suoi favori.
Perciò, dopo gli studi col Filelfo, E. fu educatore di Piero e di Giovanni de' Medici, e svolse questo ufficio anche in casa Bardi. Con tali incombenze dovette rimanere a Firenze fino al 1440: in quell'anno, infatti, il ruolo di educatore di Giovanni di Cosimo de' Medici fu assunto da Carlo Marsuppini. In seguito a questa circostanza è probabile che E. tornasse ad Ascoli: qui insegnò per qualche tempo, appunto intorno al 1440, o dopo.
Il 4 novembre di quell'anno fu chiamato a leggere "poesiam et auctores nello Studio di Perugia; ma l'elezione forse dovuta alle indicazioni del Filelfò che nel precedente mese di aprile era già stato invitato a insegnare a Perugia - fatta dai Priori delle arti e non dai più direttamente competenti Savi dello Studio venne bocciata, il 21 novembre, dal cardinale legato Girolamo Orsini per motivi non noti, ma forse dovuti proprio all'elezione del Filelfò, che aveva superato Ranuccio da Castiglione Aretino appoggiato dall'Orsini. Ma l'anno dopo, nel 1441, E. poté finalmente iniziare l'insegnamento "ad lecturam eruditionis letterarium et ad examinandam grammaticam" a Perugia e proprio al posto del suo antagonista (Perugia, Arch. com., Annal. decemv. a. 1440, ff. 89v, 98, 102v; a. 1441, ff. 55r, 118r). Fu confermato nella cattedra anche l'anno seguente; suoi scolari dovettero essere, fra gli altri, gli umanisti Antonio Bonfini e Pacifico Massimi, che ebbero un non trascurabile ruolo nella cultura perugina del secolo XV.
Non sappiamo quando E. passò a Roma. Secondo quanto testimoniato (ma non documentato) dagli eruditi ascolani del secolo XVIII e dei primi del XIX, il trasferimento a Roma avvenne sulla base della grande fama di insegnante che E. aveva acquistato a Perugia e del personale interessamento del papa Niccolò V. Certo è che questi doveva aver gia conosciuto E. durante il soggiorno fiorentino, quando cioè - ancora lontano dall'intraprendere la carriera ecclesiastica -Tommaso Parentucelli svolgeva le stesse mansioni di pedagogo nelle case degli Albizzi e degli Strozzi. Anche a Roma E. insegnò poetica ed eloquenza - ma le notizie sono piuttosto scarse anche per quanto riguarda i termini cronologici -nell'ambito del generale rinnovamento e potenziamento dello Studio romano promosso da Niccolò V. Nell'insegnamento E. dovette subentrare a Teodoro Gaza, in anni particolarmente proficui per la diffusione della cultura umanistica a Roma: dove, dal 1448, si trovava anche Lorenzo Valla.
La carriera accademica di E. subi un'interruzione quando il papa lo incaricò di effettuare un viaggio in Oriente alla ricerca di codici e testi di autori classici con cui incrementare il patrimonio librario della Biblioteca Vaticana. E. intraprese allora il suo primo viaggio, sul quale, peraltro, non si hanno notizie precise riguardo sia alla data, sia ai risultati conseguiti, che, comunque, dovettero probabilmente essere inferiori alle aspettative.
Poco dopo il ritorno dall'Oriente E. fu incaricato, sempre da Niccolò V, d'intraprendere un altro viaggio, questa volta verso l'Europa settentrionale, per cercarvi nuovi codici, anche in base alla convinzione, che si era diffusa, secondo la quale in Daniniarca e in Norvegia si sarebbe trovato un testo più completo delle storie di Tito Livio.
Con un breve (il cui testo si conservava nell'Archivio di Königsberg: cit. in Voigt, 1890, II, p. 193), sottoscritto da Poggio Bracciolini, del 30 apr. 1451, il papa chiedeva al gran maestro dell'Ordine teutonico Ludwig von Erlichshausen di facilitare in ogni modo le ricerche dei manoscritti, "libri antiqui praesertim et priscae scripturae", che E., "vir doctus graecis et latinis litteris familiaris noster", avrebbe effettuato nei "diversa loca et monasteria" della regione, e quindi la ricopiatura dei testi. Il viaggio - che non dovette essere intrapreso subito, se solo a fine ottobre E., sulla via della Germania, si fermò a salutare a Verona l'amico Gregorio Correr (che raccontò questa visita in una sua lettera a Giovanni Tortelli) -, durò a lungo. E. si portò fino nella Scandinavia, ma più a lungo si fermò in Germania, e soprattutto a Fulda, ad Augusta e a Hersfeld, visitando un gran numero di biblioteche ecclesiastiche e conventuali.
I risultati furono senza dubbio positivi, nonostante l'arrogante scetticismo manifestato dal Bracciolini in certe sue lettere (ad esempio in una a Filippo Tifernate dell'inizio del 1451 scriveva: "Itaque parum spero illum aliquid boni facturum, nisi ei magis fortuna faverit quam prudentia et industria perquirendi", Epistolae, a cura di T. Tonelli, III, Firenze 1861, p. 37): ma col Bracciolini E. era entrato in polemica da una decina d'anni, come dimostra una lettera dello stesso Bracciolini a E. dell'8 apr. 1443, nella quale lo qualifica come svergognato e pazzo (ibid., II, Firenze 1859, p. 272; Epistolae, a cura di H. Harth, II, Firenze 1984, p. 423).
In Danimarca E. ritrovò le Elegiae in Maecenatem dello pseudo Virgilio (il recupero è ricordato nei manoscritti della Bibl. ap. Vaticana, Vat. lat. 3269, e Leida, Voss. lat. 0.96); in luoghi non precisati, ma certamente in Germania, la tragedia Orestes (nel ms. Bibl. Ambrosiana di Milano 0.74 suP. è esplicitamente detto che quest'opera fu "ab Enoch asculano reperta") e l'Itinerarium Antonini (peraltro già noto); a Fulda E. recuperò inoltre il De re coquinaria di Apicio; ad Augusta il commento oraziano di Porfirione (conservato nella Bibl. ap. Vaticana, Chigi H. VII.229); nel monastero di Hersfeld le opere minori di Tacito, la Germania, l'Agricola, il Dialogus de oratoribus, nonché il frammento del De grammaticis et rhetoribus di Svetonio. Queste ultime quattro opere sono state salvate proprio dal solo codice recuperato da E., ora a Leida (Bibl. d. Rijksuniv., Periz. 4.21), e sul quale a lungo si è discusso a proposito di una nota di Giovanni Pontano che ne attribuisce il rinvenimento ad E. (mentre per la distruzione delle parti svetoniane mancanti accusa il padovano Sicco Polenton). Ma a dire il vero va pure riconosciuto che l'effettivo rinvenimento degli scritti di Tacito e di Svetonio risaliva a più di venticinque anni prima, allorquando, fin dal novembre 1425, un non meglio identificato amico aveva comunicato al Bracciolini che in un solo monastero della Germania si trovavano molte opere di autori latini. Il Bracciolini attribuiva questa scoperta ad un anonimo monaco di Hersfeld col quale era in contatto, dati anche i frequenti viaggi a Roma che questo monaco doveva compiere per la risoluzione di pratiche riguardanti il suo convento; ma forse il vero scopritore fu l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra, che fu in Germania al seguito dell'imperatore nel 1421. Comunque sia, i testi rimasero sconosciuti, nonostante successivi tentativi del Bracciolini (al quale il monaco di Hersfeld, tornato a Roma agli inizi del 1429, non aveva portato il manoscritto di Tacito), o di Niccolò Niccoli, che aveva chiesto di occuparsi della questione al cardinale Giuliano Cesarini in occasione della sua andata a Norimberga (vicino a Hersfeld) nel 1431: ma il cardinale non poté dedicarsi al recupero dei codici hersfeldesi.
E. portò con sé non tanto le copie dei testi - come chiedeva il breve pontificio - quanto gli originali: forse perché non trovava copisti disponibili, forse perché gli fu consentito di prendere direttamente codici che erano ritenuti di poco conto e che erano anche più facilmente trasportabili.
All'inizio del marzo 1455 E. era di ritorno a Roma - poco prima della morte (il 24 marzo) del papa Niccolò V -, come si deduce chiaramente da una lettera (cit. in V. Rossi. L'indole e gli studi …) di Carlo de' Medici, allora protonotario apostolico, al fratello Giovanni a Firenze e datata 13 marzo 1455.
In questa lettera, con cui veniva inviato a Firenze l'inventario fatto da E. delle sue scoperte e dei codici che aveva con sé, si esprime un giudizio negativo su quei rinvenimenti: "come vedrete per questo inventario vi mando ed invero da farne più stima per la novità che per la utilità". Si aggiunge pure che E. finora non ha fatto una copia di questo inventario perché "dice non vuole avere durate fatiche per altri e non delibera dame copia alcuna, se prima da qualche grande maestro non è remunerato degnamente ed ha oppenione d'averne almanco 200 o 300 fiorini". Carlo de' Medici sostiene pure che non vale la pena "gettare via tanti danari per cose, che la lingua latina può molto bene fare senza esse", perché, secondo quanti hanno già visto il materiale di E., eccetto limitatissime eccezioni "tutto il resto non vale una frulla". Anche Vespasiano da Bisticci ritenne che E. trovasse "poche degne cose di memoria" e sostenne pure che non ebbe "universale notizia di tutti gli scrittori e quegli ch'erano e quelli che non si trovano".
Dopo la morte di Niccolò V E. dovette rimanere nell'ambiente curiale cosi come altri umanisti (fra questi Pier Candido Decembrio, a Roma fino dal 1450), pur essendo il nuovo papa Callisto III (con questo nome, infatti, era stato eletto pontefice l'8 aprile il cardinale Alfonso Borgia) sostanzialmente ostile al mondo umanistico. È probabile che proprio a questo momento - una lettera dell'11 apr. 1456 (cit. in V. Rossi, L'indole e gli studi …) di Carlo de' Medici al fratello Giovanni a Firenze dice chiaramente che "el papa vuole che si vendano tutti e libri e tutte le gioie ragunò papa Nicola" - risalga una maldestra operazione compiuta da E. - ammesso che ne sia stato lui effettivamente l'autore - sul vetusto codice portato da Hersfeld: tale manoscritto sarebbe stato smembrato per valorizzarne la vendita, visto che ormai non poteva più essere acquistato per la Biblioteca Vaticana tramite il Decembrio.
E., comunque, dovette rimanere a Roma, forse con un limitato incarico di "segretario papale", fin verso gli ultimi mesi del 1457. Da una lettera (ibid.) di Carlo de' Medici del 10 dicembre di quell'anno, infatti, si apprende che poco tempo prima E. era andato ad Ascoli, con i suoi libri, e che li era morto.
Per il recupero dei manoscritti di E. si interessarono subito in molti, fra cui, sollecitato dallo stesso Carlo de' Medici, intenzionato ad acquistare quei codici per poi mandarli a Firenze, Stefano Nardini, allora governatore delle Marche (e poi arcivescovo di Milano nel 1461e cardinale nel 1473), e il cardinale di Siena Enea Silvio Piccolomini (che sarà eletto papa, col nome di Pio II, nel 1458): ma i loro tentativi non furono proficui, almeno per l'immediato. R noto, ad esempio, che del codice di Hersfeld si perse ogni traccia e che solo nel 1902ne fu identificata a Iesi una parte contenente 27capitoli dell'Agricola di Tacito.
Fino dal Cinquecento, a partire da Leandro Alberti, si è ritenuto che E. avesse scritto numerose ed eleganti orazioni e lettere; l'ipotesi è stata ripresa e ripetuta a lungo, ad esempio dal Foresti, dallo Spera, dal Morery, dal Carafa, dal Fabroni, dal Cantalamessa Carboni. Ma la critica recente - sulla base anche di un sospetto dell'Andreantonelli, espresso già nella seconda metà del Seicento - tende a negare la composizione di opere da parte di E.: e se egli ne scrisse alcune, non sarebbero, comunque, giunte fino a noi. Riguardo alle sue lettere si ha conoscenza di una, completa, scritta da Roskilde in Danimarca il 6 dic. 1451, con la quale E. inviava a Leon Battista Alberti una lettera di Sidonio Apollinare (fu segnalata dapprima da G. Mancini e poi pubblicata da A. Rossi Brunori), Di un'altra lettera di E. si hanno solo le righe finali nel ms. Reg. 1612della Bibl. ap. Vaticana (che furono indicate e pubblicate dal Rossi Brunori), mentre P. O. Kristeller erroneamente segnala questa lettera come scritta da E. a Francesco Pizzolpasso, senza tener conto che fra l'intestazione e l'inizio della lettera al Pizzolpasso e il frammento conclusivo della lettera di E. è saltato un fascicolo, come invece aveva ben visto il Rossi Brunori: il quale però non identificò né il destinatario né tantomeno il mittente effettivo della lettera al Pizzolpasso, che è Leonardo Bruni (Epistolae, acura di L. Mehus, Florentiae 1741, VIII, 10). Non è rimasta traccia delle "epistolae plures" indirizzate da E. a Cosimo de' Medici, ricordate da A. Fabroni (cfr., in tal senso, ArchivioMediceo avanti il Principato, a cura di F. Morandini-A. d'Addario, Roma 1951-1963, ad Indicem).
Fonti e Bibl.: Platynae historici Liber de Vita Christi ac omnium pontificum, a cura di G. Gaida, in Rer. Ital. Script., III, I, p. 338; Vespasiano da Bisticci, Le vite, a cura di A. Greco, Firenze 1976, II, pp. 51 s.; Fr. Philelphi Epistolarum familiarum libri, Venetiis 1502, f. 92; G. A. Campano, La vita di Paolo II, a cura di G. Zippel, Bologna 1964, ad Indicem; J. F. Foresti, Novissime historiarum omnium repercussiones, Venetiis 1506, f. 397; L. Alberti, Descritione di tutta Italia, Venetiis 1506, f. 261; G. Lenti, Clarorum Ausculanorum praeclara facinora, Romae 1622, p. 36; P. A. Spera, De utilitate professorum grammaticae et humanitatis utriusque linguae, Napoli 1641, p. 259; S. Andreantonelli, Historiae Ausculanae, Patavii 1673, p. 295; L. Morery, Le grand dictionnaire historique, II, Amsterdam 1691, p. 431; G. Carafa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus, Roma 1751, p. 178; G. M. Mazzucchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 1157 (s. v. Ascoli); G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, Modena 1790, p. 145; A. Mariotti, Lettere pittoriche perugine, Perugia 1788, pp. 272 s.; A. Fabroni, Magni Cosmi Medici vita, I, Pisis 1788, p. 136; G. B. Mittarelli, Bibliotheca codicum manuscriptorum monasterii S. Michaelis Venetiarum prope Muranum, Venetiis 1779, pp. 925 s.; F. M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma, I, Roma 1803, p. 161; G. B. Vermiglioli, Memorie di Iacopo Antiquari, Perugia 1813, pp. 16, 163; V. Bini, Memorie istoriche della perugina Università degli studi, Perugia 1816, pp. 545 ss., 600; G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e artisti ascolani, Ascoli 1830, pp. 93ss.; Id., Biografie di illustri piceni, a cura di A. Hercolani, I, Forli 1837, pp. 117 ss.; G. Gaye, Carteggio inedito d'artisti dei secoli XIV, XV, XVI, I, Firenze 1839, p. 163; A. Mai, Prefazione a Vespasiano da Bisticci, Virorum illustrium CIII qui saec. XV extiterunt, I, Romae 1839 [ma 1843], p. XXII; F. A. Ritschl, Parergon Plautinorum Terentianorumque, Lipsiae 1845, p. 612; A. Reifferscheid, Suetoni reliquiae, Lipsiae 1860, p. 410; A. v. Reumont, Lorenzo de'Medici il Magnifico, I, Leipzig 1874, pp. 455 s.; Id., Aneddoti storico letterari, in Arch. stor. ital., s. 3, XX (1874), pp. 188 s.; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, I, Perugia 1875, p. 749; G. Mancini, Vita di Leon Battista Alberti, Firenze 1882, p. 329; G. Voigt, Il risorgimento dell'antichità classica, ovvero il primo secolo dell'Umanesimo, Firenze 1890, I, pp. 254 s.; II, pp. 192 ss., 201; R. Sabbadini, Biografia di Giovanni Aurispa, Noto 1890, pp. 128, 136; E. Luzi, L'Università degli studi in Ascoli Piceno, Iesi 1891, p. 23; V. Rossi, L'indole e gli studi di Giovanni di Cosimo de' Medici, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, cl. di scienze mor., stor. e filol., s. 5, II (1892), 1, pp. 25-31; G. Lesca, Giovannantonio Campano, Pontedera 1892, pp. 27 s., 198; P. Joachimsohn, Die humanist. Geschichtsschr. in Deutschland. Sigismund Meisterlin, Bonn 1895, p. 33; M. Lehnerdt, E. von A. und die "Germania" des Tacitus, in Hermes, XXXIII (1898), pp. 499-505; Ph. Monnier, Le Quattrocento, II, Paris 1901, p. 427; L. Valmaggi, Nuovi appunti sulla critica recentissima del "Dialogo degli oratori", in Riv. di filol. e d'istruzione classica, XXX (1902), pp. 1418; R. Sabbadini, Spogli ambrosiani latini, in Studi italiani di filologia classica, XI (1903), pp. 259, 263; J. Abel, Analecta nova ad historiam renascentium in Hungaria litterarum spectantia, Budapest 1903, p. 9; F. Ramorino, De codice Taciti Aesino nuper reperto, in Atti del Congresso intern. di scienze storiche, II, Roma 1905, pp. 227-232; A. Rossi Brunori, E. d'A., Ascoli Piceno 1906; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV, I, Firenze 1907, pp. 57, 109, 140 ss., 150, 209, 212; II, ibid. 1914, p. 29; Id., Storia e critica di testi latini, Catania 1914, pp. 194, 203-211; P. Verrua, Umanisti ed altri "studiosi viri" italiani e stranieri di qua e di là dalle Alpi e dal mare, Genève 1924, p. 176; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, pp. 58, 73; N. Spano, L'Università di Roma, Roma 1935, pp. 12, 337; R. P. Robinson, The Germany of Tacitus, Middletown, Conn., 1935, pp. 351-356, 395; L. von Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1950, pp. 557, 559, 563; A. Perosa, Note al testo dello Zovenzoni, in Rinascimento, IV (1953), p. 297; N. Rubinstein, An unknown letter by Iacopo di Poggio Bracciolini on discoveries of classical texts, in Italia medioevale e umanistica, I (1958), pp. 384, 391 ss., 395; B. L. Ullman, Pontanos handwriting and the Leiden manuscript of Tacitus and Suetonius, ibid., II (1959), pp. 309 ss., 314-319, 322-326, 328; F. Pintor, Per la storia della libreria medicea nel Rinascimento. Appunti d'archivio, ibid., III (1960), p. 205; G. Brugnoli, La vicenda del codice Hersfeldense, in Rivista di cultura classica e medioevale, III (1961), pp. 68-90; B. L. Ullman, Pontanos marginalia in Berlin, Hamilton 471, in F. Munari, II codice Hamilton 471 di Ovidio, Roma 1965, pp. 73-78; C. Colombo, Quattro lettere inedite di Guarino, in Italia medioevale e umanistica, VIII (1965), p. 217; M. E. Milhan, Toward a stemma and "Fortuna" of Apicius, ibid., X (1967), pp. 263-268, 286 s., 291-294; G. Ermini, Storia dell'Universitá di Perugia, Firenze 1971, I, p. 599; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, ad Indicem; Enc. It., XIV, p. 2; M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists, I, pp. 319s.