GNUDI, Ennio
Nacque il 18 genn. 1893 a San Giorgio di Piano, nel Bolognese, da Giuseppe e da Albina Baroni. A Bologna - dove la famiglia si era trasferita dal marzo 1896 -, trovò lavoro come operaio nel reparto tecnico delle Ferrovie dello Stato e partecipò attivamente alle lotte sindacali della sua categoria. Nel 1919, in coincidenza con il trasferimento della sede nazionale del Sindacato ferrovieri italiani da Torino a Bologna, lo G. venne chiamato a far parte del comitato centrale di tale organizzazione. Militante del Partito socialista italiano (PSI), appartenne alla corrente massimalista prima di aderire, nell'ottobre 1920, alla frazione comunista. Il 31 di quello stesso mese venne eletto al Consiglio comunale e, sebbene fosse uno dei meno votati tra i consiglieri socialisti, il 21 novembre fu eletto sindaco di Bologna con 44 voti a favore, 12 schede bianche e un'astensione (la sua).
Nel discorso d'investitura lo G. sostenne che il PSI aveva scelto un operaio come sindaco per affermare "nel modo più preciso che i diritti della classe operaia, della classe proletaria" sarebbero stati "difesi anche attraverso il Comune". Dopo aver rivolto un saluto ai "valorosi rappresentanti" della minoranza avvertì che se l'opposizione avesse assunto il "carattere di sopraffazione" i socialisti avrebbero saputo reagire in difesa degli interessi dei lavoratori (Atti del Consiglio…, pp. 664 s.). A conferma che la sua elezione a sindaco era stata voluta da massimalisti e comunisti come segno di rottura con la tradizione riformista, lo G. "non disse una parola sull'operato dell'amministrazione uscente che pure era stata […] la prima amministrazione operaia e popolare della città" (Onofri, p. 274).
In occasione dell'elezione dello G. a sindaco la sede comunale fu teatro dei tragici avvenimenti noti come l'eccidio di palazzo d'Accursio.
Non appena proclamata l'elezione dello G., sulla torre degli Asinelli fu issata una bandiera rossa. I fascisti bolognesi considerarono quel gesto una provocazione e si diressero in piazza Nettuno, antistante la sede comunale, ove si era radunata una folla di militanti socialisti. Sia nella piazza sia all'interno di palazzo d'Accursio erano presenti alcune "guardie rosse" armate di rivoltelle e bombe a mano; i fascisti, giunti in piazza, cominciarono a sparare contro il balcone dal quale lo G. si era affacciato per salutare la folla. Da quel momento la situazione degenerò in un vero e proprio conflitto a fuoco provocando la morte di dieci persone. Anche l'aula consiliare fu sconvolta dalla violenza e un consigliere della minoranza, il nazionalista G. Giordani, rimase ucciso da un colpo di pistola.
A seguito di tali fatti il prefetto di Bologna insediò in Comune un commissario straordinario, favorito anche dall'atteggiamento incerto tenuto nella circostanza dallo G. il quale, benché ne avesse diritto, non volle prendere possesso della carica e riconvocare il Consiglio per procedere alla nomina della giunta. L'eccidio di palazzo d'Accursio modificò radicalmente il corso della politica bolognese: dopo questo evento, i fascisti portarono un attacco continuo e generalizzato contro gli uomini e le organizzazioni di sinistra, indeboliti anche dalle divisioni intestine che sfociarono nell'uscita dal partito socialista degli appartenenti alla frazione comunista. Tra essi lo stesso G. che, il 21 genn. 1921, prese parte a Livorno al congresso costitutivo del Partito comunista d'Italia (PCd'I).
Nel medesimo anno, alle elezioni politiche del 15 maggio, risultò eletto deputato nella circoscrizione di Novara, risultato che però non venne convalidato perché lo G. non possedeva l'età richiesta per sedere alla Camera. Si impegnò quindi nell'organizzazione del partito comunista nel Bolognese e, dopo il II Congresso nazionale del partito (Roma, 20-24 marzo 1922), venne eletto nel comitato centrale. In occasione dello sciopero "legalitario", promosso il 31 luglio 1922 dall'Alleanza del lavoro, si adoperò per assicurare la partecipazione dei ferrovieri alla protesta antifascista e per questo, il 21 giugno 1923, venne ritenuto responsabile di abbandono di lavoro, multato e licenziato dalle Ferrovie. Tale provvedimento lo raggiunse in carcere, dove era recluso dal febbraio per attentato alla sicurezza dello Stato, accusa da cui il 26 ottobre venne assolto per insufficienza di prove.
Schierato con la maggioranza di A. Gramsci, lo G. fu rieletto nel comitato centrale dopo il III (Lione, 20-26 genn. 1926) e il IV (Colonia, 14-21 apr. 1931) congresso comunista; prese poi parte, come delegato, al V e al VI Congresso dell'Internazionale comunista, che ebbero luogo a Mosca, rispettivamente nel 1924 e nel 1928.
Impegnato nell'organizzazione comunista clandestina, lo G. fu arrestato il 20 ag. 1924 a Luino e il 13 sett. 1925 a Messina. Nel marzo 1926 si trasferì in Francia, dove si dedicò all'attività politica tra gli emigrati antifascisti. Il 17 marzo 1927, insieme con G. Di Vittorio, F. Leone, M. Montagnana, E. Del Magro e O. Pastore, venne chiamato a far parte della commissione esecutiva dei gruppi comunisti in Francia, divenendone il segretario.
Assunto lo pseudonimo di Oreste (in precedenza aveva adottato quello di Landuzzi), incorse in numerosi arresti e il 13 sett. 1927 fu espulso dalla Francia. Colpito da mandato di cattura, emesso il 20 apr. 1928 dal giudice istruttore del tribunale militare di Milano, come coimputato di delitti contro i poteri dello Stato, lo G. si rifugiò in Svizzera prima di rientrare clandestinamente in Francia, dove operò con il nuovo pseudonimo di Ernest Goliath (assunse in seguito anche quelli di Giuseppe Pozza e di Antonio Verdi).
Nel corso del 1929 lo G. effettuò numerosi viaggi per seguire, in particolare, l'organizzazione del movimento sindacale comunista: dal Messico raggiunse New York, da dove, il 24 aprile, s'imbarcò alla volta di Buenos Aires. Si stabilì quindi in Unione Sovietica dove, nel settembre 1930, prese parte al V Congresso dell'Internazionale sindacale rossa. Soggiornò, poi, nuovamente in Francia, agendo in contatto con i nuclei comunisti a Marsiglia, Tolone e Nizza e partecipando, il 4 e 5 giugno 1933 a Parigi, al Congresso europeo antifascista.
Nel dibattito che si aprì nel partito comunista italiano sulla proposta di creare un fronte unico antifascista, lo G. espresse una posizione minoritaria, ritenendo opportuno coinvolgere, oltre ai socialisti, anche il movimento Giustizia e libertà.
Partecipò al Congresso antifascista contro la guerra in Abissinia, che si tenne a Bruxelles il 12 e 13 ott. 1935 e, nell'agosto successivo, fu tra i firmatari dell'appello "Per la salvezza dell'Italia riconciliazione del popolo italiano". Segnalato, per la sua pericolosità sul bollettino delle ricerche della polizia e oggetto della costante sorveglianza da parte delle rappresentanze italiane all'estero, lo G. riuscì spesso a far perdere le proprie tracce.
Tra il 1935 e il 1937 la sua presenza venne segnalata a Zurigo e, tra il 1938 e il 1940, a New York. Nel 1942 fu in Canada, dove concorse alla costituzione dell'Alleanza internazionale Garibaldi e, il 17 agosto, presiedette a Toronto un'assemblea del movimento dei liberi italiani nel Canada a sostegno degli Alleati.
Ritornò a Bologna il 17 nov. 1945 e, il 21 successivo, partecipò a una manifestazione pubblica nell'anniversario dell'eccidio di palazzo d'Accursio. Nel marzo 1946 fu eletto segretario generale del Sindacato ferrovieri italiani (SFI), aderente alla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL).
Al primo congresso della CGIL, svoltosi a Firenze dal 1° al 7 giugno 1947, lo G. sottolineò come lo SFI, forte di 175.000 iscritti, fosse erede delle migliori tradizioni del sindacato prefascista e al tempo stesso un "sindacato di tipo nuovo" al quale ora aderivano "non solo gli operai ma anche i funzionari, perfino i capi-compartimento" (I congressi della CGIL…, p. 290). Richiamandosi allo sciopero legalitario del 1922, che era costato il licenziamento a migliaia di ferrovieri, lo G. definì inaccettabile il tentativo di impedire per legge il pieno esercizio del diritto di sciopero a questa categoria di lavoratori e sostenne che i ferrovieri si sarebbero di nuovo mobilitati qualora la Repubblica e la democrazia fossero state in pericolo.
Lo G. morì a Roma il 4 marzo 1949.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2470; Atti del Consiglio comunale di Bologna, anno 1920, pp. 664 s.; necr. in L'Unità, 5 marzo 1949; Notiziario della Confederazione generale italiana del lavoro, III (1949), 7, p. 173. Vedi anche: Bologna proletaria e popolare saluta il ritorno di E. G., in La Lotta (Bologna), 24 nov. 1945; La Tribuna dei ferrovieri, V (1948), pp. 3-6, 9; Il primo sindaco comunista di Bologna, in Due Torri (Bologna), 18 nov. 1964; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-IV, Torino 1967-70, ad indices; I congressi della CGIL, II, I congresso nazionale unitario della CGIL, Firenze… 1947, Roma 1977, pp. 289-292; N.S. Onofri, La strage di palazzo d'Accursio. Origini e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Milano 1980, ad ind.; Bologna 1920. Le origini del fascismo, a cura di L. Casali, Bologna 1982, pp. 5, 78; R. Zangheri, Bologna, Roma-Bari 1986, ad ind.; A. Castrucci, Battaglie e vittorie dei ferrovieri italiani. Cenni storici dal 1877 al 1944, Milano 1988, pp. 43, 107 s.; Il sindacato ferrovieri italiani dalle origini al fascismo, 1907-1925, a cura di M. Antonioli - G. Checcozzo, Milano 1994, ad ind.; Il movimento operaio italiano, Diz. biografico, II, s.v.; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, II, s.v.; Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese (1919-1945), III, Diz. biografico, s.v.; Antifascisti nel Casellario politico centrale, IX, sub voce.