FILONARDI, Ennio
Nacque nel 1466 nel borgo di Bauco (oggi Boville Ernica, prov. Frosinone).
Nel 1484, sotto Sisto IV, entrò nella Curia romana. Solo sotto Alessandro VI fu nominato vescovo di Veroli il 4 ag. 1503. Legato ai Borgia fu attivo in loro favore ancora durante le prime settimane del pontificato di Giulio II.
Dopo un difficile viaggio, il 26 e 27 nov. 1503 il F. trattò a Firenze con i Dieci di balia il progetto di Cesare Borgia di abbandonare lo Stato della Chiesa con 1100-1200 soldati ed entrare al servizio della Repubblica. N. Machiavelli, allora oratore a Roma, aveva precedentemente informato il suo governo di questa missione, senza tuttavia darne un giudizio favorevole: egli descrive esplicitamente il F. come "uomo del duca Valentino". La missione a Firenze ebbe esito negativo e al contempo mutò l'atteggiamento del papa nei confronti del Borgia, che fu arrestato e nel dicembre 1503 tenuto prigioniero in Vaticano. Durante questo periodo il F. continuò a eseguire incarichi per suo conto.
È perciò abbastanza sorprendente che il F. riuscisse a guadagnarsi la fiducia anche di Giulio II, da cui ottenne diversi uffici nell'amministrazione dello Stato pontificio, come quello di vicelegato a Bologna e di governatore a Imola. Il primo contatto con gli Svizzeri risale al 1512, quando il F. fu inviato sul teatro della guerra in Lombardia per cercare di favorire in nome del papa la restaurazione degli Sforza nel Ducato di Milano.
La prima missione del F. in Svizzera cominciò nell'aprile 1513, quando l'equilibrio da poco stabilizzatosi in Italia settentrionale era di nuovo seriamente compromesso.
La Francia, che teneva ancora occupati i castelli di Milano e Cremona, col trattato di Blois si era alleata a Venezia con l'obiettivo di riconquistare l'intero territorio, mentre contemporaneamente forze cospicue tra gli Svizzeri agivano a favore di un riavvicinamento ai Francesi. Ostacolare questa tendenza, mantenere e rinnovare il patto con Roma era allora il compito più urgente dell'inviato pontificio, il quale poteva contare anche sull'appoggio degli agenti degli Sforza e dell'imperatore. Particolarmente stretta avrebbe dovuto essere la collaborazione con il cardinale M. Schiner, legato pontificio.
A Zurigo il F. alloggiò nella residenza dei canonici nel duomo. Stabilì contatti con molti personaggi influenti della politica locale, borgomastri, consiglieri e segretari delle città e dei Cantoni. Ma soprattutto il F. prese parte alle Assemblee dei Cantoni confederati. A quella del 9 maggio 1513 a Baden tenne un discorso in cui esortò non solo ad osservare il patto stipulato ma anche a fare recedere dal loro atteggiamento ostile coloro i quali avevano preso parte all'attacco della Lombardia e dello Stato della Chiesa.
Il F. poté annunciare il pagamento delle quote del soldo scadute e che il nuovo papa, Leone X, a differenza di Giulio II, riconosceva anche le richieste di pagamento per la cosiddetta spedizione di Chiasso. Nelle successive Assemblee del 18 e del 30 maggio fu concordata a questo proposito la somma forfettaria di 25.000 fiorini. Il F. influenzò anche la decisione presa il 18 maggio di rafforzare il duca di Milano con altri 8000 uomini e il 30 maggio ottenne una dichiarazione formale che confermava esplicitamente la validità del trattato stipulato con Giulio II anche per il nuovo pontificato.
La battaglia di Novara del 6 giugno 1513 scongiurò per quell'anno il pericolo di perdere la Lombardia. Mentre lo Schiner si prodigava ora per portare la guerra in Francia, Leone X cambiò la sua politica orientandosi verso una conciliazione generale e un prudente riavvicinamento a Francesco I. Il fatto che gli Svizzeri insieme con gli Imperiali intraprendessero in agosto una campagna in Borgogna, spingendosi fino a Digione, non corrispondeva a questo indirizzo ed egli disapprovò che il F. avesse di fatto favorito la spedizione pagando in quel momento i 25.000 fiorini concordati.
Alla fine dell'agosto 1513 il F. lasciò la Svizzera per raggiungere lo Schiner che soggiornava nella sua signoria di Vigevano. Qui attese ulteriori istruzioni da Roma. Il papa, in seguito a pressioni milanesi, acconsentì che il F. fosse confermato nella missione ma non gli comunicò alcuna istruzione a proposito e non informò neanche lo Schiner, senza la cui autorizzazione il F. non poteva operare in Svizzera. Contrariato, egli si trattenne dunque ancora in Italia.
Non si trattava di una svista o di un malinteso: il papa aveva deciso di affidare la rappresentanza dei suoi mutati obiettivì politici in Svizzera ad un nuovo diplomatico indipendente dallo Schiner. Alla fine di ottobre fu inviato in Svizzera come nunzio il pistoiese G. Gheri, che il F. doveva solo coadiuvare come conoscitore del paese al fine di promuovere la pace tra la Confederazione e la Francia.
Il Gheri passò per Firenze, dove aveva il compito di conquistare Lorenzo de' Medici alla politica del papa, che voleva íncludere la Toscana nel rinnovo dell'alleanza del 1510, e il 6 nov. 1513 si incontrò con il F. a Milano. I primi colloqui con rappresentanti della Confederazione ebbero luogo qui. Poi i due nunzi si recarono all'Assemblea indetta per il 13 dicembre a Zurigo.
Qui era tra i loro compiti spiegare per quale motivo Leone X, nonostante la decisa opposizione dello Schiner, avesse concesso la grazia ai cardinali che avevano preso parte al concilio di Pisa promosso dai Francesi. Riguardo al rinnovo dell'alicanza proposero di prorogarla per tutto il pontificato di Leone X e promisero da parte dei Medici ulteriori pensioni annue di 1000 fiorini per Cantone. Gli sforzi dello Schiner e degli Imperialì per ottenere la disponibilità degli Svizzeri a difendere la Lombardia, nonché la scoperta di nuovi piani d'attacco francesi produssero un clima talmente ostile ad ogni trattativa di pace che i nunzi nell'Assemblea del 14 marzo 1514 preferirono trattare solo il rinnovo dell'alleanza. Con questo comportamento essi ottennero però che anche il partito svizzero favorevole alla Francia perdesse fiducia nella credibilità della diplomazia pontificia.
Per l'Assemblea del 24 aprile a Bema, nella quale si doveva stipulare il trattato d'alleanza, solo il Gheri aveva ricevuto le sue istruzioni personali. Egli trattò quindi da solo e in maniera così maldestra che il risultato parve inaccettabile al papa: egli fu richiamato a Roma e il F., incaricato nuovamente delle trattative, partì per andare dallo Schiner a Vigevano, dove, ora di nuovo con l'obiettivo prevalente di proteggere la Lombardia, ripresero gli sforzi per concludere l'alleanza.
Il 30 giugno si tenne qui un consiglio al quale parteciparono anche il duca di Milano, Girolamo Morone e diversi inviati della Confederazione. Il Morone riuscì a infondere negli Svizzeri nuova fiducia nella politica di Leone X e del F. e convinse lo Schiner a riprendere in mano le trattative per il rinnovo dell'alleanza. Il testo elaborato dallo Schiner prevedeva la protezione del Milanese, la difesa della Chiesa e di Firenze, Genova, Siena e Lucca. Da una successiva Assemblea, il 31 luglio, risultò che cinque Cantoni non volevano ancora approvare la bozza, gli altri avevano già fissato per iscritto le loro condizioni ed erano pronti in cambio ad ottenere l'approvazione generale.
Tornato a Roma, il F. ebbe la possibilità di ritornare nelle grazie del papa: ricevette infatti lo status e i poteri di legatus a latere. Riguardo al trattato di alleanza, Leone X apportò ancora consistenti modifiche: esso doveva ora essere concluso in segreto e con l'esclusione di Milano per evitare ogni provocazione verso la Francia.
Il 5 ottobre il F. iniziò il viaggio di ritorno durante il quale si incontrò brevemente a Pavia con il duca Massimiliano. Quindi visitò a Binasco il Morone per informarlo sull'evoluzione delle trattative e raggiunse Zurigo alla fine di ottobre. Per l'Assemblea giunse qui il 7 novembre anche lo Schiner, che raccomandò insieme col F. di stipulare l'alleanza nella forma voluta dal papa, cioè comprendendo solo Firenze e Genova. La somma da pagare da parte del papa ai singoli Cantoni fu aumentata a 2000 fiorini. Dopodiché nell'Assemblea del 9 dic. 1514 la Confederazione, insieme con gli associati, approvò il trattato d'alleanza. Fino alla ratifica trascorse però ancora una volta molto tempo. Il papa lo ratificò il 1ºag. 1515 e rispedì il documento allo Schiner e al F. solo in settembre. Quando, tra dubbi e diffidenze, finalmente gli Svizzeri il 16 luglio 1515 si decisero, il corpo di spedizione francese in Italia aveva gia conquistato le loro posizioni tra Susa e Saluzzo.
L'alleanza non poteva ora riscuotere più alcun credito e nei singoli Cantoni e nell'esercito svizzero si manifestava sempre più apertamente la propensione a passare ai Francesi accettando le loro generose offerte finanziarie. Contemporaneamente però anche Leone X intratteneva rapporti segreti con Francesco I. Il 31 agosto il F. inviò un messaggio a Berna nel quale esortava a non perdersi d'animo nonostante le sconfitte subite, ad avere fiducia nel papa e a combattere per la vittoria al suo fianco; solo due giorni dopo però da Roma il fratello del F., Cinzio, fu inviato a Francesco I. Dopo la battaglia di Marignano il 13-14 sett. 1515, con cui i Francesi riacquistarono il dominio sulla Lombardia, Leone X era disposto a concludere immediatamente la pace; alle Assemblee confederali del 26 settembre e del 4 ottobre fece tuttavia esortare energicamente dal F. gli Svizzeri a proseguire la guerra, probabilmente perché anche Francesco I reclamava la cessione di Parma e Piacenza. Quando i Francesi protestarono spiegò questo appello come un'iniziativa personale del F. e smentì il suo diplomatico. A seguito del comportamento ambiguo di Leone X il F. si trovò così a ricoprire per la Francia e gli ambienti filofrancesi della Confederazione il ruolo di un nemico irriducibile del quale sollecitarono il licenziamento.
Il F. rimase in rapporti amichevoli con lo Schiner, sebbene avesse dovuto intervenire contro di lui nella vicenda riguardante il vescovo di Lodi Ottaviano Sforza. Per iniziativa dello Schiner questi fu arrestato dagli Svizzeri nel maggio 1514 e condotto a Baden per essere giudicato. Qui il F., su ordine del papa, ottenne il suo rilascio e il vescovo di Lodi abitò fino alla fine delle operazioni militari presso di lui a Zurigo.
L'obiettivo dello Schiner dopo la perdita della Lombardia era ora quello di attirare l'imperatore e soprattutto l'Inghilterra in una nuova coalizione che finanziasse un'altra campagna contro la Francia. Il F. partecipò allo scambio di corrispondenza riguardante questo progetto e intrattenne amichevoli rapporti con l'ambasciatore inglese R. Pace.
Una Assemblea del 13 marzo 196 invitò il papa tramite il F. ad intervenire tra la Francia e l'imperatore per evitare uno spargimento di sangue tra mercenari svizzeri che prestavano servizio in entrambi gli eserciti. Inoltre furono iniziate nuovamente trattative sulla lega papale, ma la quota che il papa si rifiutava di pagare al posto dei Genovesi rappresentò un punto di scontro. Portò ad un progresso la missione di G. Gambaro, che Leone X inviò in Svizzera in giugno con i soldi delle paghe in scadenza e che poi per circa un anno affiancò a Zurigo il F. come secondo nunzio. Egli portò da Roma un testo modificato del trattato, che fu approvato il 14 settembre da tutti i Cantoni tranne Obwalden. Ma l'invio del Gambaro comportò una ulteriore svolta nella linea politica di Leone X. I due nunzi erano ora segretamente incaricati di favorire le iniziative antifrancesi dell'ambasciatore inglese Pace e di ostacolare risolutamente la stipulazione di un'alleanza tra la Confederazione e Francesco I, ma tutti i tredici Cantoni approvarono il 29 nov. 1516 il trattato di pace con la Francia.
La situazione si fece difficile per i nunzi quando Leone X, con un breve del 1ºgiugno 1517, chiese con urgenza 6000 soldati per la guerra d'Urbino e contemporaneamente incaricò il comandante della sua guardia K. von Silenen e il bernese H. von Diesbach del reclutamento, nonostante che a causa di questa guerra sin da gennaio non avesse potuto pagare agli Svizzeri le paghe concordate. Il malumore sfociò in viva indignazione quando si seppe che il Gambaro e il Silenen reclutavano e facevano partire soldati senza aspettare che fosse loro concessa l'autorizzazione. L'Assemblea del 23 giugno a Baden tentò di richiamare i soldati già partiti ed espresse al F. vibrate proteste per il comportamento del papa in violazione degli accordi.
Il conflitto sul reclutamento offrì a Leone X il comodo pretesto per rimproverare al F. la cattiva gestione del suo incarico e per richiamarlo. Nuovo nunzio il 9 agosto fu nominato il chierico di camera A. Pucci, molto vicino alla famiglia de' Medici. Il F. prese congedo nell'Assemblea del 9 sett. 1517, a Zurigo. Tornato a Roma, vi visse senza nuovi incarichi. Solo l'alleanza offensiva che Leone X strinse il 29 maggio 1521 con Carlo V creò le premesse per un rientro del F. sulla scena politica. Con l'incarico di convincere gli Svizzeri a partecipare alla riconquista di Milano, fu nominato di nuovo legato a latere e il 18 giugno ricevette le credenziali per la Confederazione.
In Svizzera però l'umore generale era diventato del tutto ostile alla politica pontificia. Tranne Zurigo, dopo la pace del 1516 tutti i Cantoni il 5 maggio 1521 avevano concluso un'alleanza con la Francia. Il F. valutò come modeste le prospettive della richiesta di aiuto avanzata dal papa, e si sarebbe considerato soddisfatto se la Confederazione avesse rifiutato il permesso di reclutamento ad entrambe le parti.
Nell'Assemblea di Lucerna del 18 luglio, alla quale richiese 10.000 uomini, pretendendo che venissero richiamati quelli già arruolati da Francesco I, il F. subì attacchi personali e oltraggiosi e la sua richiesta fu rinviata. Le Assemblee del 5 e del 15 agosto non portarono a decisioni sebbene il F. tentasse di procedere nei confronti di singoli Cantoni con lettere di censura. Nemmeno a Zug, il 27 agosto, ottenne concessioni, ma Zurigo fornì 1500 uomini a condizione che fossero impiegati esclusivamente per la difesa del papa e dello Stato della Chiesa e in nessun caso per la riconquista di Milano. Inoltre furono concessi un contingente di Zug e 700 uomini con la qualifica di guardie del corpo del papa. Alla metà di settembre il F. guidò questo contingente al punto di raccolta di Coira e precedette in Italia l'esercito che si mise in marcia il 5 ottobre.
Alle truppe arruolate dal F. che non parteciparono alla presa di Milano fu affidata l'occupazione del territorio di Parma e Piacenza. Lo Schiner comunque, al fianco di Giulio de' Medici di nuovo con la carica di legato papale presso l'armata, avrebbe impiegato anche queste truppe nella battaglia di Milano se fosse riuscito a farle recedere dai patti con i quali erano state assoldate, intento questo di cui fu accusato anche il Filonardi. Nella Confederazione, dove già regnava il risentimento perché degli Svizzeri combattevano di nuovo contro i Francesi, questo comportamento provocò una reazione furente che il F. poté sperimentare quando fece ritorno in Svizzera attraverso il Canton Ticino. Fu arrestato dal capitano J. Stocker e incarcerato a Bellinzona.
Gli furono estorte 2000 corone di riscatto ma non fu liberato; si aspettò invece l'Assemblea del 10 dicembre a Lucerna che decise che il F. doveva essere trasferito lì o ad Uri e i suoi "maneggi" sottoposti ad inchiesta. La maggiore preoccupazione del F. era che lo si vendesse ai Francesi per 10.000 scudi. Tramite la corruzione di aderenti al partito avverso, i suoi amici riuscirono alla fine ad ottenere che fosse trasferito a Schwyz da dove poté fuggire a Zurigo. Per la fuga dovette rilasciare titoli di pagamento per 1500 fiorini e per la restituzione della corrispondenza che era stata trattenuta interessò ancora alla fine del febbraio 1522 la città di Zurigo.
Già il 7 genn. 1522 il F. presenziò all'Assemblea di Zurigo sforzandosi invano di ottenere truppe per la protezione di Milano e di contrastare i reclutamenti francesi. Fu l'ultima Assemblea a cui poté prendere parte: i dodici Cantoni favorevoli alla Francia non gli concessero più il salvacondotto e a Zurigo, con l'introduzione della Riforma, si diffondeva una aggressiva ostilità contro il nunzio. Perciò dietro esortazione dell'ambasciatore cesareo il F. lasciò Zurigo prima del 10 febbraio e trasferì la nunziatura a Costanza.
Con Zurigo rimase in stretti contatti epistolari a causa degli arretrati del soldo. Quando fu richiamato da Adriano VI, il F. invitò i rappresentanti zurighesi che intendevano trattare la questione con il nuovo papa ad accompagnarlo. È di questo periodo il rapporto del F. con Erasmo da Rotterdam, ospitato a Costanza, dove rimase malato per quasi tre settimane. Erasmo descrive il F. come un uomo particolarmente astuto e dal giudizio penetrante, affinato dalla lunga esperienza della vita politica.
I rapporti amichevoli con Erasmo continuarono quando il F. fu nuovamente nominato da Adriano VI nunzio presso la Confederazione. Le possibilità di azione del F. non erano frattanto migliorate. Per incarico del papa doveva convincere gli Svizzeri alla neutralità e in caso di attacco francese contro l'Italia ad un'alleanza. Ma ora egli poteva comunicare con i singoli Cantoni e con le Assemblee solo per iscritto tramite messaggeri da Costanza. Un'Assemblea del 7 luglio 1523 dispose che il governatore di Turgovia controllasse la corrispondenza del F.; se questi avesse messo piede nel territorio della Confederazione sarebbe stato arrestato.
Nella questione delle richieste di pagamento da parte degli Zurighesi il viaggio a Roma aveva ottenuto un successo parziale: entro maggio 1523 era stata pagata circa la metà della cifra, 23.000 fiorini. Convinto che questo problema finanziario rappresentasse il principale ostacolo ad un riavvicinamento di Zurigo alla Chiesa romana e nella speranza che una soluzione soddisfacente per entrambe le parti potesse aiutarlo ad ottenere il cardinalato, il F. continuò i suoi sforzi per raggiungere un compromesso sull'entità delle somme ancora da pagare.
La presenza del nunzio non sembra aver influito negativamente sull'avanzata della Riforma a Costanza. In un caso il F. prese le parti del vicario generale Giovanni Fabri contro un predicatore del duomo che diffondeva idee luterane, ma egli si occcupò dei problemi della Riforma, soprattutto tentando, come prima di lui avevano fatto lo Schiner e Adriano VI, di convincere Erasmo a prendere parte alle controversie teologiche e a scrivere contro Lutero. Lo scritto De libero arbitrio che Erasmo cominciò nel 1523 è il risultato di queste pressioni. Subito dopo la morte di Adriano il F. si offrì di presentare il trattato di Erasmo anche al nuovo papa.
L'elezione di Clemente VII comportò il richiamo del F. a Roma tra la fine del 1523 e l'inizio del '24 per presentare un rapporto e ricevere nuove istruzioni. Alla fine di febbraio era di nuovo a Costanza con l'incarico di favorire gli sforzi del papa per avviare una pace generale, ma non ebbe successo. Già in agosto fu nuovamente richiamato a Roma, ma contava di tornare a Costanza per la fine di novembre. Il suo mancato ritorno dipese forse dal nuovo orientamento della politica pontificia, attuatosi quando Clemente VII, sotto l'influenza della vittoria francese in Italia settentrionale, cercò un avvicinamento alla Francia. Il 14 febbr. 1525 furono consegnate al F. le credenziali per un'ulteriore missione presso la Confederazione, le Tre Leghe e il Vallese.
Da Coira, dove si era stabilito, il F. non poté raggiungere alcuna Assemblea della Confederazione perché tre Cantoni gli rifiutavano il salvacondotto, ma si impegnò con energia per promuovere la pace. L'adesione delle Tre Leghe alla lega antimperiale era subordinata alla cessazione del conflitto che opponeva i Confederati e Milano per il possesso di Chiavenna, e soprattutto della guerra che il castellano di Musso, Gian Giacomo Medici, conduceva contro le Tre Leghe stesse. Il F. ottenne una proroga dell'armistizio con Milano e allacciò più stretti rapporti con Venezia che intervenne nel negoziato. In settembre accompagnò sei legati della Confederazione a Milano per le trattative, poi non tornò più a Coira, secondo Erasmo a causa della rivolta dei contadini e dello scontro sempre più aspro tra gli opposti partiti religiosi. Da Brescia e, a partire circa dal giugno 1526, da Chiari seguì e incoraggiò in serrata corrispondenza con gli Svizzeri, con Venezia e con il residente francese a Coira le difficili trattative che portarono infine ad un compromesso tra i Grigioni e il Medici. Dopo di ciò il F. poté reclutare 2000 svizzeri e inviarli all'esercito veneziano-pontificio che si stava formando in Italia settentrionale per combattere contro gli Spagnoli. Il 1ºagosto fu accreditato presso le truppe svizzere come legato. Nel febbraio 1527 il F. era ancora a Parma, poi tornò a Roma.
Il datario pontificio G. M. Giberti, nelle sue lettere al luogotenente generale del papa in Lombardia, F. Guicciardini, si esprime assai negativamente sul F., manifestando irritazione per le numerose difficoltà opposte ad un più rapido reclutamento delle soldatesche svizzere, e il Guicciardini nella Storia d'Italia menziona il F. tra i responsabili dell'insuccesso finale delle operazioni militari del 1526.
Al F. non venne comunque meno la benevolenza di Clemente VII. Nel 1527 ricevette come commenda l'abbazia di Casamari e all'inizio del '28 fu nominato governatore e vicelegato della provincia di Campagna e Marittima.
Negli anni 1529-30 il F. fu vicelegato a Perugia. Sotto la legazione straordinaria del cardinal G. M. Ciocchi Del Monte resse il governo della città e introdusse una modifica negli statuti. Si trovò in una situazione difficile nella prima metà del 1529, quando Malatesta Baglioni, in violazione del rigido divieto di Clemente VII, reclutò soldati per la difesa di Firenze. Dopo che un uomo di fiducia del Baglioni fu arrestato a Rimini, questi rispose con rappresaglie e tenne il F. prigioniero finché il papa non lo costrinse con severe minacce a liberarlo.
Nella primavera del 1531 il F. andò come nunzio a Milano e instaurò vivaci rapporti epistolari con la Svizzera, dove i contrasti confessionali si erano drammaticamente acuiti. Il 15 maggio i Cantoni protestanti decisero di chiudere le vie di transito per cinque Cantoni fedeli a Roma dopo che questi ultimi non avevano preso parte alla guerra condotta insieme a Milano contro Musso. Il F. dovette limitarsi a rispondere alle pressanti richieste di aiuto dei cinque Cantoni solo con esortazioni alla pazienza; si sforzò tuttavia di ottenere soccorso per loro da parte dell'armata imperiale e di stabilire buoni rapporti con Milano. Allo scoppio della guerra, che vide le sorprendenti vittorie dei cinque Cantoni cattolici a Kappel e sul Gubel (11 e 23-24 ottobre), egli poté mettere a loro disposizione solo la somma di 500 scudi mentre Clemente VII tentava tramite il nunzio L. Campeggi di fare pressione su Carlo V affinché inviasse truppe dall'Italia settentrionale in aiuto dei Cantoni cattolici. Poi il papa concesse ancora 6000 ducati, con i quali alla metà di novembre il F. reclutò e inviò al di là delle Alpi circa 1000 archibugieri italiani.
Il 19 novembre fu anche consegnata al F. una lettera credenziale che lo nominava di nuovo legato presso la Confederazione, ma le trattative erano già concluse ed egli non si mosse. Il F. sperava che Zurigo dopo la morte di U. Zwingli sarebbe ritornata in seno alla Chiesa di Roma, per cui riprese la corrispondenza intorno alla vecchia questione delle paghe dei soldati. Da parte sua l'imperatore però voleva che il F. iniziasse trattative in nome del papa per un'alleanza con i cinque Cantoni ed esercitò pressioni su di lui perché si recasse personalmente in Svizzera.
Le condizioni che il F. riteneva indispensabili per questa missione emergono chiaramente da una lettera che i cinque Cantoni indirizzarono dietro suo consiglio al papa: il F. sarebbe stato il benvenuto come nunzio e avrebbe potuto operare positivamente per restaurare la vecchia fede; egli doveva però essere munito di adeguata autorità personale e di denaro. Il F. doveva ottenere il cardinalato a lungo atteso e ricevere i mezzi finanziari per soddisfare tutte le rivendicazioni degli Svizzeri. In un rapporto dell'8 marzo 1532 presentò alla Curia la sua valutazione della situazione politica ed elencò dettagliatamente le spese necessarie, ma non ebbe riscontro. L'11 luglio dovette partire comunque per la legazione.
Durante il viaggio il F. fu accolto calorosamente a Bellinzona e nel Cantone di Uri, nonché a Lucerna, dove si stabilì e tentò di promuovere una volta per tutte l'unità tra i membri della Confederazione. Per l'Assemblea di tutti i Cantoni a Baden non ottenne però il lasciapassare e non poté recarsi neanche a Soletta dove erano scoppiati violenti disordini. Senza successo rimasero tutte le proposte di alleanza con il papa da solo o con il papa e l'imperatore per timore dei Cantoni protestanti. In Francia però queste manovre suscitarono diffidenza e il successivo richiamo del F. va considerato come una concessione a Francesco I nel momento in cui si preparava la visita del papa a Marsiglia. All'inizio di ottobre 1533 il F. fece ritorno a Milano.
Il richiamo del F. suscitò la viva irritazione di Carlo V e di Ferdinando d'Asburgo e anche a Venezia lo si considerò come il sintomo di un nuovo e più profondo accordo tra Clemente VII e Francesco I. Il papa fece perciò scrivere il 14 febbr. 1534 al nunzio presso Ferdinando di essere pronto a rispedire il F. in Svizzera ma che questi non voleva più assumere la nunziatura e temeva per la sua vita e il suo prestigio perché i numerosi sostenitori della S. Sede lo consideravano garante delle loro richieste. Effettivamente sembra che nell'estate 1533 a Stein am Rhein fosse stato organizzato un attentato contro di lui. Il F. continuò invece a occuparsi delle vicende svizzere da Milano e quando gli fu richiesto un aiuto nei disordini di Soletta inviò nel novembre 1533 500 archibugieri. Ritornò a Roma dopo la morte di Clemente VII: il 7 nov. 1534 comunicò a Lucerna la sua partenza.
A Roma non si ritirò dalla vita politica, ma rimase in Curia come esperto per le relazioni con la Svizzera. Con Erasmo il F., indifferente alle controversie sulla sua ortodossia, aveva ripreso a corrispondere amichevolmente all'epoca del suo ultimo soggiorno in Svizzera. Quando nel 1535 il procuratore dell'imperatore a Roma A. von Gumppenberg volle fare insignire Erasmo della porpora confidò nel sicuro appoggio del Filonardi.
Paolo III stimava il F. e lo nominò prefetto di Castel Sant'Angelo. Egli dovette perciò vivere nella fortezza dove dall'aprile all'ottobre 1535 fu prigioniero il cardinale B. Accolti. Lasciò questo ufficio quando fu nominato cardinale il 22 dic. 1536. Il 12 ag. 1538 fu nominato amministratore del vescovato di Montefeltro e in quest'occasione trasferì il vescovato di Veroli, come aveva fatto già con la commenda di Casamari, al nipote Antonio. Quindi il 29 nov. 1538 fu inviato come legato alle truppe nella guerra di Camerino e il 21 apr. 1539 nella provincia cisalpina, cioè il territorio di Parma e Piacenza. Solo a partire dal 1541 il F. risiedette a più riprese nel suo paese natale, Bauco.
Particolarmente a cuore gli stava la ricostituzione della guardia svizzera annientata durante il sacco di Roma. In collaborazione con il consigliere di Lucerna N. von Meggen, un parente di Schiner, riuscì nel 1542 a condurre un contingente di 150 svizzeri a Bologna come guardia di palazzo; alla fine però fu l'assassinio di Pierluigi Farnese da parte degli Imperiali a decidere il papa a licenziare la sua guardia composta da lanzichenecchi e ad affidare di nuovo la sua sicurezza agli Svizzeri. Il F. stesso scelse gli ufficiali, tenendo presente la reputazione delle loro famiglie in patria. Nel marzo 1548 la nuova guardia prese servizio a Roma agli ordini di J. von Meggen.
Il 29 apr. 1549, dopo essere stato nominato cardinale vescovo di Albano il 18 ott. 1546, il F. trasferì il vescovato di Montefeltro al nipote Ennio. Infine, dopo la morte di Paolo III il 10 nov. 1549, fu citato spesso tra i papabili dato che, per la tarda età, sembrava essere l'uomo su cui i partiti spagnolo e francese e anche i Farnese avrebbero potuto accordarsi. Nel conclave il F. si intese per lo più con i cardinali francesi e perciò contribuì alla bocciatura di Reginald Pole. Non partecipò all'elezione di Giulio III perché il 14 dic. 1549 dovette abbandonare il conclave per malattia. Morì il 19 dicembre in Castel Sant'Angelo; la salma fu traslata a Bauco, dove fu tumulata nella cappella di S. Stefano nella chiesa di S. Angelo.
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