ENKI (En-ki "signore della terra")
Dio sumerico delle acque dolci contenute nell'abzu (l'abisso sotterraneo); terzo membro della triade cosmica, dopo Anu ed Enlil. Dai Semiti chiamato, con nome sumerico, Ea ("dimora dell'acqua").
Per la sua connessione con l'acqua, elemento primordiale secondo le concezioni cosmogoniche mesopotamiche, E. era considerato creatore degli uomini e venerato come dio della saggezza e della magia. Era particolarmente onorato a Eridu (v.), la più meridionale e la più antica, secondo la tradizione, delle città mesopotamiche, dove aveva un tempio famoso, l'é-abzu ("tempio dell'abzu"), ma il suo culto ebbe larghissima diffusione.
Le raffigurazioni di E. sono numerose, anche al di fuori della Mesopotamia; le più antiche risalgono alla fine del III millennio a. C. e si trovano specialmente sui sigilli cilindrici, ma non mancano nemmeno sui rilievi. L'iconografia di questo dio non è sempre facilmente distinguibile da quella di altre divinità minori appartenenti per lo più alla sua cerchia e rappresentate con i suoi stessi attributi. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l'identificazione può considerarsi sicura, sia perché E. era divinità troppo importante per assumere una funzione poco più che decorativa (come ad esempio nel caso delle statue-pilastro di Khorsābād), sia per la presenza del tipo iconografico in scene mitologiche per le quali i testi letterari attestano l'intervento di Enki. L'iconografia più usuale mostra E. in piedi o seduto, accompagnato da Usmu, divinità bifronte del suo seguito, con due rivi di acqua che dalle spalle gli scendono a terra; talvolta entro i flutti sono disegnati dei pesci. Su un sigillo conservato a Bagdad (Iraq Museum), si vede E. all'interno di un'edicola circondata da un rivo d'acqua. Un'interessante variante è offerta da un altro sigillo (Frankfort, tav. xx, f) in cui dalle spalle del dio spuntano, anziché flutti, delle canne, che sottolineano un altro aspetto del potere vivificatore dell'acqua. Nella rappresentazione di scene mitologiche, E. appare come giudice di Zu (v.), l'uomo-uccello, e come liberatore del figlio Marduk, sepolto dentro una montagna. In quest'ultima scena E., secondo un motivo iconografico usualmente impiegato per le divinità solari, viene raffigurato in atto di porre un piede sopra una montagna.
A partire dalla III dinastia di Ur (fine del III - inizio del II millennio a. C.), nel generale impoverimento dei motivi iconografici, anche le raffigurazioni di E. risentono del nuovo clima artistico; scompaiono l'edicola e Usmu, e la stessa figura del dio viene progressivamente sostituita da quella del suo simbolo, il pesce-capro posto su un piedistallo.
Bibl.: G. Furlani, La religione babilonese e assira, I, Bologna 1928, pp. 122-136; E. Ebeling, in Reallex. d. Assyriologie, II, Berlino-Lipsia 1938, pp. 374-379; E. Dhorme, Les religions de Babylonie et d'Assyrie, Parigi 1945, pp. 31-38. Iconografia: E. Unger, in M. Ebert, Reallex. d. Vorgeschichte, IV, 2, Berlino 1926, pp. 418-419, s. v. Götterbilder; E. Douglas Van Buren, The Flowing Vase and the God with Streams, Berlino 1933; H. Frankfort, Cylinder Seals, Londra 1939, passim.