ENGELBERTO (Enghelberto)
Conte di Gorizia, secondo di questo nome dal 1132; era figlio del conte Mainardo (I), il capostipite della dinastia, e della di lui consorte Diemot.
Dei suoi fratelli, Enrico, il maggiore, mori in giovane età, prima del 1150; Ulrico divenne vescovo di Treviso; Mainardo fu conte di Schönburg. Sua sorella Beatrice fu monaca nel monastero di S. Maria in Aquileia.
E. era legato da vincoli di parentela con la nobile famiglia romana dei Frangipane, dato che in un documento del 1169 chiama suoi amici e consanguinei Ottone e Cencio Frangipane. Una "notitia" non datata contenuta nel Liber traditionum del monastero di Michaelbeuern attesta che un "palatinus comes Engilbertus quondam sue proprietatis ancillam Adelhait nuncupatam", sua concubina, "ad cenobium Blerense sub iure servitutis contradidit" insieme con la figlia "ex ea generans". Sia l'editore del Liber, sia il Wiesflecker (Die Regesten…, I, p. 59, n. 211) attribuiscono tale "notitia" ad E. e ad un anno intorno al 1145. Se la datazione fosse giusta, allora E. avrebbe avuto, come lo zio Engelberto (I), il titolo di conte palatino. Tuttavia, poiché E. non viene indicato come "palatinus comes" in nessun'altra delle numerose menzioni a lui relative contenute nei documenti o nei necrologi a noi noti, il Dopsch (p. 144) ritiene invece probabile che la citata "notitia" del Liber traditionum di Michaelbeuern si riferisca ad Engelberto (I).
E. successe al padre Mainardo (I) e allo zio Engelberto (I) nella detenzione del territorio di Gorizia: viene indicato come "comes" per la prima volta intorno al 1138. Segui la tradizione della sua famiglia anche negli stretti rapporti con il cenobio di Millstatt in Carinzia, la fondazione monastica dei suoi avi-1 della quale egli risulta "advocatus" a partire dal 1137. Il suo ufficio più importante fu, ad ogni modo, quello di "advocatus" della Chiesa di Aquileia. Suo padre Mainardo era stato il primo dei conti di Gorizia a rivestirlo; per qualche tempo aveva retto l'ufficio insieme con il figlio maggiore Enrico, che mori in data a noi sconosciuta prima del 1150. Dopo la morte del fratello e quella del padre, tra il 1140 e il 1146, E., che già nel 1138 e nel 1139 è attestato come "advocatus" della Chiesa di Aquileia, fu l'unico "advocatus" del patriarcato. Ben presto entrò in conflitto con il patriarca: tale conflitto deve essere visto come l'inizio degli sforzi dei conti di Gorizia per allargare, a spese del patriarca, il loro dominio parcellizzato nel territorio di Aquileia, per formare signorie compatte, per sbarazzarsi della sovranità feudale ecclesiastica. E. violò con la sua prepotenza l'accordo difensivo di "advocatia" stipulato dal padre nel 1135 o nel 1138. Egli devastò proprietà, spogliò chiese e cimiteri, recò danno ai contadini e mise al sacco la regione: perciò il patriarca di Aquileia sporse querela nel 1150 (Wiesfiecker, 1949, I, n. 230). È vero che E. si presentò, quando fu citato per questo in giudizio dal patriarca, ma fece prigioniero il principe ecclesiastico. Il marchese di Stiria ed altri signori ecclesiastici e laici dipendenti dalla Chiesa di Aquileia presero le parti del patriarca: E. dovette cedere e non solo rimettere in libertà il prigioniero, ma anche prestare di nuovo, nel 1150, al patriarca Pellegrino, il giuramento di fedeltà che aveva infranto, e rinunciare a molti suoi antichi diritti (accordo di Ramuscello). Egli dovette cedere al patriarca 30 mansi nel Carso e 30 in Carinzia, nonché il castello di Moosburg, che gli rimase solo in usufrutto vitalizio. Il risultato di questo conflitto, per i conti di Gorizia, rappresentò dunque innanzitutto un insuccesso, che però non poté impedire, a lungo andare, ulteriori soprusi ed usurpazioni. E. dovette pagare continuamente risarcimenti per beni che aveva usurpato e per aggressioni contro possedimenti di chiese e di monasteri come, per esempio, Beligna (attestato nel 1158 e nel 1186) ed Admont (nel 1160). Con il patriarca Ulrico II di Treffen concluse nuovamente un accordo, che non è giunto sino a noi, ma di cui siamo a conoscenza attraverso il diploma di conferma rilasciato al patriarca Gotifredo nel 1193 dall'imperatore Enrico VI, ed il trattato di pace di Cormons del 1200. I diritti e i doveri di E. quale "advocatus" della Chiesa di Aquileia all'epoca della scomparsa del patriarca Ulrico II (1ºapr. 1181) furono descritti dettagliatamente alcuni anni dopo la morte del conte (cfr. Wiesfiecker, 1949, I, n. 319).
Nel 1149 E. si trovava nel ristretto seguito di Corrado III imperatore: viaggiò con la corte da Gemona a Salisburgo passando per Friesach. Nel 1154 dovette tornare in Italia al seguito di Federico I Barbarossa. Nel 1158 si tratteneva a Vienna, presso la corte di Enrico II di Babenberg, quando questi fondò lo "Schottenkloster", il monastero degli Scozzesi. Nel 1161 si trovava di nuovo a Vienna: compare infatti in un diploma di quell'anno del duca Enrito d'Austria per lo "Schottenkloster". Quando, sempre nel medesimo anno, il duca Enrico di Carinzia, durante un viaggio per mare da Venezia ad Aquileia, affogò alle foci del Tagliamento ed il suo corpo venne sepolto dai Veneziani a Caorle, E. insieme con il notaio imperiale Burcardo da Colonia riusci, grazie all'arte della persuasione ed al pagamento di una certa somma di danaro, a convincere i Veneziani a consegnare la salma, che egli fece traslare nel monastero di Rosazzo, passando per Aquileia. Nel marzo del 1170 risulta nuovamente presso la corte di Federico I Barbarossa: compare infatti come testimone in diplomi allora rilasciati in favore del monastero di St. Lambrecht, in Stiria, e della Chiesa di Gurk da quel sovrano. Nel 1184 si recò a Magonza: viene in quell'occasione nominato come testimone in un diploma per il monastero di Admont rilasciato in quella città da Federico I, presso la cui corte, dunque, E. si trovava ancora.
A di quest'epoca un documento comprovante i rapporti di E. con Venezia: egli aveva contratto presso il figlio del doge Sebastiano Ziani, il futuro doge Pietro, un debito per un ammontare a noi sconosciuto. per il quale aveva garantito un altro veneziano, Leonardo Michiel, conte di Ossero, e che non aveva ancora restituito nel 1184.
E. viene spesso descritto nella letteratura storica come un uomo spietato, anzi brutale: i suoi numerosi soprusi nei confronti di beni ecclesiastici, ma soprattutto la cattura, compiuta personalmente, del patriarca di Aquileia ed il fatto che in anni giovanili avesse commesso un omicidio e che per questo avesse dovuto subire una sanzione ecclesiastica suffragano una caratterizzazione siffatta.
E. mori il 1ºaprile intorno all'anno 1191.
Aveva sposato, ignoriamo quando, una nobildonna, Adelaide, di cui non conosciamo il casato e che viene ricordata in un diploma del 1178-79 in favore del monastero di Neustift presso Bressanone. Da lei aveva avuto almeno due figli: Mainardo (III) ed Engelberto (III).
Un sigillo ben conservato di E. in cui egli appare a cavallo si trova apposto in un diploma del 1178-79 relativo ad una donazione, ora nel monastero di Novacella (Wiesfiecker, 1949, I, n. 269).
Fonti e Bibl.: Salzburger Urkundenbuch, I, a cura di W. Hauthaler, Salzburg 1910, p. 797 n. 57; Die Kärntner Geschichtsquellen, a cura di A. von Jaksch, III, 811-1202, Klagenfurt 1904, nn. 641 s., 692, 709, 795, 875-879, 896, 900, 918, 926, 928, 954, 964, 973, 1000, 1030, 1042, 1079, 1093, 1128 ss., 1138, 1180, 1207, 1219, 1238, 1291, 1296, 1302, 1381; IV, 1202-1269, ibid. 1906, nn. 1524, 1540, 1624, 1664, e tav. XIV; H. Wiesflecker, Die Regesten der Grafen von Görz und Tirol, Pfalzgrafen in Kärnten, I, 957-1271, Innsbruck 1949, pp. 53-80, 82 s., 87 s.; P. Paschini, Vicende del Friuli durante il dominio della Casa imperiale di Franconia, in Mem. stor. forogiuliesi, IX (1913), pp. 350-353; Id., I patriarchi d'Aquileia nel secolo XII, ibid., X (1914), pp. 14 s., 28, 116, 122 s., 126 s., 148 s., 170, 264, e passim; A. Jaksch, Geschichte Kärntens bis 1335, I, Klagenfurt 1928, pp. 260, 280 ss., 293; H. Wiesflecker, Die politische Entwicklung der Grafschaft Görz und ihr Erbfall an Österreich, in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, LVI (1948), pp. 335s.; H. Schmidinger, Patriarch und Landesherr. Die weltliche Herrschaft der Patriarchen von Aquileja bis zum Ende der Staufer, Graz-Köln 1954, pp. 40, 78 s., 83, 126 s.; H. Wiesfiecker, Meinhard der Zweite. Tirol, Kärnten und ihre Nachbarländer am Ende des 13. Jahrhunderts, Innsbruck 1955, p. 9; J. P. J. Gewin, Herkunft und Geschichte führender bayrisch-österreichischer Geschlechter im Hochmittelalter, Haag 1957, tav. D, pp. 95 ss.; P. Paschini, Storia del Friuli, Udine 1975, pp. 261, 264 s., 272, 288; J. Riedmann, Die Beziehungen der Grafen und Landesfürsten von Tirol zu Italien bis zum Jahre 1335, Wien 1977, p. 16; H. Dopsch, Gewaltbote und Pfalzgraf in Kärnten, in Carinthia I, CLXV (1975), p. 144; G. C. Menis, Storia del Friuli, Udine 1978, p. 215; I. Fees, Reichtum und Macht im mittelalterlichen Venedig: Die Familie Ziani, Tübingen 1988, pp. 64, 312 s.; W. Baum, Zur Kirchen. und Klosterpolitik der Grafen von Gärz, in Der Schlern, LXII (1988), pp. 469ss.; R. Härtel, Das Kloster S. Maria zu Aquileia und die Vogtei der Grafen von Görz im 12. und 13. Jahrh., in Archiv für Diplomatik, XXXV (1989), pp. 279-419 passim.