Energia
sommario: 1. L'evoluzione del mercato e dei fabbisogni di materie prime energetiche. 2. Le economie di energia e la riduzione dell'intensità energetica nei paesi dell'OCSE. 3. La sostituzione del petrolio con altre fonti nei paesi dell'OCSE. 4. La riduzione dei prezzi del petrolio. 5. L'evoluzione delle fonti e dei mezzi impiegati per soddisfare i fabbisogni di energia e di elettricità: a) il risparmio energetico; b) le fonti alternative; c) l'energia idraulica; d) i combustibili fossili; e) la fonte nucleare; f) il rallentamento nella costruzione di nuove centrali nucleari; g) le centrali nucleari del prossimo futuro; h) la fusione. 6. Le previsioni sui futuri fabbisogni di energia. □ Bibliografia.
1. L'evoluzione del mercato e dei fabbisogni di materie prime energetiche
Con la crisi petrolifera del 1973 il mondo si rende conto di quanto le vicissitudini del prezzo di questo combustibile possano influenzare la crescita economica e indurre uno stato di instabilità nell'ordinato sviluppo delle collettività, con pesanti riflessi sui mercati finanziario e del lavoro.
Negli anni successivi alla crisi lo sforzo dei maggiori paesi consumatori è diretto a ridurre le conseguenze determinate dal brusco aumento del prezzo del petrolio e ad avviare la transizione verso l'impiego di fonti di energia più sicure, dal punto di vista della continuità e sicurezza di approvvigionamento, e non controllate da un numero ristretto di paesi non sempre politicamente stabili.
Tale azione è condotta principalmente dai paesi industrializzati a economia di mercato, identificabili nell'insieme di quelli facenti parte dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, costituita da: Nordamerica, Europa occidentale, Giappone, Australia e Nuova Zelanda); i paesi a economia pianificata (URSS, Cina, Europa orientale e altri) sono infatti autosufficienti dal punto di vista energetico, mentre i paesi in via di sviluppo, quando non produttori di petrolio, sono anch'essi colpiti dalla crisi, ma dispongono di minori strumenti economici e tecnologici per fronteggiarla.
Dopo il 1973 i paesi industrializzati a economia di mercato, che maggiormente sono colpiti dall'aumento dei prezzi petroliferi, avviano azioni di risparmio energetico, di sostituzione del petrolio con altre fonti primarie più a buon mercato, di ricerca e sviluppo: queste ultime per l'utilizzazione delle fonti cosiddette ‛alternative' (solare, eolica, mareomotrice, ecc.) e per la messa a punto di tecnologie che consentano un impiego più efficiente di quelle già in uso. Parallelamente, si dà nuovo impulso al reperimento di risorse indigene, anche le più remote, tanto più che anche quelle già note, ma abbandonate perché un tempo non convenienti, nel generale aumento del prezzo delle materie prime energetiche tornano a essere competitive. Per l'utilizzazione economica di queste ultime, ha un ruolo determinante il settore elettrico: l'apporto di energia delle piccole risorse idroelettriche viene immesso nelle grandi reti nazionali che ne assorbono il contributo e ne compensano la discontinuità; stessa funzione svolgono le reti elettriche nei confronti degli impianti alimentati dalle fonti solare, eolica, delle maree, ecc., caratterizzati nnch'essi da marcata discontinuità di produzione. Deciso impulso riceve l'attività di rinnovamento degli impianti idroelettrici di vecchia costruzione, e ne deriva un aumento della produzione annua, conseguente a una migliore utilizzazione delle acque e all'impiego di macchinari più efficienti; quando possibile, i lavori di rinnovamento prevedono l'aumento della capacità dei serbatoi nonché l'accumulo mediante stazioni di pompaggio, in modo da conferire più flessibilità di esercizio agli impianti e maggiore valore economico all'elettricità generata.
Come ogni sistema, anche quello energetico richiede un certo tempo - che si misura in anni - per adeguarsi a una mutata situazione esterna; ne segue che modifiche nella struttura della domanda e dell'offerta delle fonti primarie di energia non sono possibili nell'immediato. Di conseguenza tra il 1973 e il 1979 le azioni di risparmio e sostituzione del petrolio, avviate dai paesi consumatori, non riescono ad avere ancora sostanziale effetto sul mercato delle fonti energetiche. Infatti i consumi mondiali di petrolio continuano ad aumentare (v. tab. I) e a rappresentare, fino al 1979, una quota percentuale del totale (48%) non ridotta in misura significativa rispetto a quella del 1973 (50%); inoltre, durante questo arco di tempo, non diminuisce, se non lievemente, la dipendenza dalle importazioni di petrolio (v. tab. II) dell'insieme dei paesi industrializzati a economia di mercato e, all'interno di questi, i maggiori progressi conseguiti nell'area europea (v. tab. III) sono poco significativi per il permanere di un elevato tasso di dipendenza dal petrolio importato (85%).
Con i consumi mondiali in crescita, il controllo del mercato del petrolio rimane saldamente nelle mani dei 13 paesi dell'OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries, Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, che comprende Algeria, Ecuador, Gabon, Indonesia, Iran, ‛Irāq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Venezuela) la cui produzione, nel 1979, è ancora superiore al 49% del totale mondiale (v. tab. IV). Il mercato continua a rimanere in un equilibrio pericolosamente teso tra domanda e offerta. Quando tra la fine del 1978 e gli inizi del 1979, a seguito della rivoluzione in Iran, si blocca l'esportazione petrolifera da questo paese, l'equilibrio si rompe e i prezzi del petrolio salgono vertiginosamente (v. tab. V): nel triennio 1979-1981 il prezzo del petrolio saudita aumenta di circa il 170%; gli altri tipi di greggio, le cui differenze di prezzo rispecchiano la diversa qualità, seguono praticamente andamenti simili.
L'impennata dei prezzi influenza negativamente lo sviluppo di tutti i paesi consumatori. In ambito OCSE, ove nel 1980 il consumo di petrolio è superiore al 60% del totale mondiale, l'aumento del prezzo del barile rappresenta un grave ostacolo alla crescita economica; previsioni di sviluppo a lungo termine intorno al 4,5% medio annuo, formulate prima del 1973 e scese dopo la crisi dello stesso anno al 3-3,5%, subiscono, dopo il 1979, un'ulteriore riduzione: di fatto, tra il 1973 e il 1985 l'incremento medio annuo del prodotto interno lordo dei paesi industrializzati a economia di mercato è del 2,4% (v. tab. VI).
Nel 1980 i consumi mondiali di petrolio iniziano a scendere (− 4% rispetto al 1979) e continueranno a diminuire fino al 1985 (v. tab. I).
La riduzione dei consumi di energia e in particolare di petrolio non segue lo stesso andamento in tutte le aree geoeconomiche del mondo (v. tab. VII). Nei paesi dell'OCSE il tasso di incremento dei consumi di energia è sensibilmente minore rispetto a quello dei paesi a economia pianificata e dei paesi in via di sviluppo; i consumi di petrolio diminuiscono nei paesi industrializzati, ma aumentano nel resto del mondo, anche se in misura minore rispetto alle previsioni pre-crisi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo non produttori di petrolio.
2. Le economie di energia e la riduzione dell'intensità energetica nei paesi dell'OCSE
Nel corso dell'ultimo decennio la diminuzione dei consumi di petrolio nei paesi dell'OCSE (v. tab. VII) è determinata, oltre che da uno sviluppo delle attività economiche inferiore al previsto, anche da una generale riduzione dell'intensità energetica (espressa dal rapporto tra i fabbisogni totali di energia, in tonnellate equivalenti di petrolio, e il prodotto interno lordo, in migliaia di dollari) e dell'intensità petrolifera (idem, mutatis mutandis); i paesi dell'OCSE riescono cioè a ridurre la quantità di energia (e ancora di più quella di petrolio) utilizzata per produrre una unità di prodotto interno lordo (v. tab. VIII).
Gli elevati prezzi del petrolio, e delle altre materie prime energetiche trascinate più o meno dall'ascesa del costo del barile, rappresentano la maggiore spinta verso la riduzione dell'intensità energetica; in particolare, diminuiscono gli sprechi e, grazie all'adozione dei mezzi resi disponibili dal progresso tecnologico, viene contenuto, a parità di risultato economico, il consumo di energia in quasi tutti i settori di impiego. Comunque un cospicuo contributo alla riduzione dell'intensità energetica è fornito dai mutamenti nella struttura industriale dei paesi occidentali. Quest'ultima infatti, a causa della crisi, si va orientando verso la fabbricazione di prodotti che, a parità di valore, richiedono una minore quantità di energia; per contro si verifica una diminuzione delle produzioni ad alto contenuto energetico (acciaio, cemento, etilene, siderurgia, chimica primaria).
È difficile quantificare il risultato delle diverse cause, separare cioè quanto della riduzione dell'intensità energetica sia dovuto a risparmi seguiti a cambiamenti di abitudini e di comportamenti da parte dei consumatori, al fine di contenere la spesa energetica; a risparmi ottenuti mediante l'uso di apparecchiature più efficienti, rese disponibili dal progresso tecnologico; al mutamento delle produzioni industriali di cui si è detto sopra. La propensione al risparmio del consumatore e il migliore rendimento nell'utilizzazione dell'energia interagiscono inevitabilmente tra loro, producendo un effetto unico difficilmente scindibile. In Giappone, ad esempio, si valuta che, tra il 1979 e il 1984, il minore consumo di energia conseguito durante gli anni della crisi nel settore industriale sia da ascrivere per il 44% a mutamenti della struttura industriale e per il restante 56% a risparmio e maggiore efficienza; per gli Stati Uniti le analoghe percentuali, per il periodo 1972-1982, si ritiene che siano rispettivamente pari al 26% e al 74%. Questi valori, pur con tutta l'aleatorietà tipica di stime difficili, estese ad archi temporali diversi ed effettuate da ricercatori che hanno operato con criteri non identici, danno un ordine di grandezza dei risultati ottenuti nel settore industriale in alcune aree economicamente avanzate.
Diversa la situazione nel settore residenziale e commerciale, ove il consumo pro capite di energia registra un aumento che dipende principalmente da migliorati standard abitativi che compensano e superano i risparmi derivanti dall'adozione di apparecchi più efficienti e dalla riduzione della temperatura degli ambienti nel periodo invernale.
Nel settore dei trasporti, sempre con riferimento ai paesi dell'OCSE, nel periodo che va dal 1973 al 1983 si verifica una sensibile riduzione dell'intensità energetica (−10%). Anche in questo caso è difficile individuare per quali merci, e sotto quali spinte, si verifichino gli spostamenti relativi dal trasporto su gomma a quello su rotaia, o per nave, o per aereo, come pure quanto le variazioni dell'intensità energetica siano influenzate dall'aumentato valore in denaro delle merci trasportate. Certamente, il fatto che nel settore dei trasporti vi sia il maggior numero di ‛usi obbligati' del petrolio favorisce comportamenti orientati al risparmio e a investimenti, a breve e medio tempo di ritorno, per l'uso di veicoli più efficienti e di apparecchiature che consentano risparmi di combustibile. Nei trasporti terrestri, ad esempio, vengono compiuti sforzi sia di razionalizzazione degli spostamenti, al fine di ridurre i percorsi chilometrici a parità di risultati, sia di miglioramento dell'efficienza dei veicoli. Nell'insieme dei 21 paesi che fanno parte dell'IEA (International Energy Agency) si valuta che, tra il 1973 e il 1983, il consumo di energia per mezzo circolante si sia ridotto di circa il 20% e che tale risparmio sia dovuto per poco meno di 2/5 al minor numero di chilometri percorsi, e per i restanti 3/5 al miglioramento dell'efficienza dei motori e dell'aerodinamica delle carrozzerie.
Sempre a titolo di esempio, nel settore aereo alcune compagnie, su informazioni fornite ad hoc da sistemi di previsione e rilevamento meteorologico sempre più precisi, scelgono, quando possono, le loro rotte in funzione dei venti previsti, con sensibili risparmi di combustibile. Ulteriori risparmi si attendono dai nuovi motori per aereo di cui è attualmente in fase molto avanzata la progettazione.
Nel settore della conversione delle fonti energetiche, che comprende le industrie produttrici e/o distributrici di fonti di energia (gas, elettricità e prodotti petroliferi), non si verificano miglioramenti sensibili dell'efficienza energetica soprattutto perché questa era già molto elevata. Inoltre, il maggiore impiego del carbone nelle centrali elettriche determina, presso queste ultime, un aumento dei consumi dei servizi ausiliari di impianto.
3. La sostituzione del petrolio con altre fonti nei paesi dell'OCSE
Le differenze di prezzo tra il petrolio e le altre materie prime energetiche nonché ragioni di continuità e di sicurezza di approvvigionamento inducono, ove possibile, come già detto, a sostituire il petrolio con altre fonti. Il contributo relativo delle diverse fonti primarie al totale dei fabbisogni mondiali di energia varia infatti, dal 1973 in poi, a vantaggio del carbone, del gas naturale, del nucleare, delle fonti idraulica e geotermica (v. tab. I).
Tra le diverse aree geoeconomiche, tale mutamento è molto più evidente nei paesi dell'OCSE (v. tab. VII). In questi paesi un ruolo chiave, per quanto riguarda l'entità della sostituzione dei derivati del petrolio, è svolto dal settore elettrico, che si orienta verso l'impiego di combustibili meno costosi a parità di resa energetica (v. tab. IX).
Dal 1973 al 1979, infatti, il consumo di petrolio per la produzione di energia elettrica diminuisce in valore assoluto e ancor più in misura relativa (−22%) rispetto alle altre fonti (v. tab. X); invece, come già visto, negli stessi anni il fabbisogno totale di petrolio, sia nel mondo che nell'OCSE, continua ad aumentare (v. tab. I); la differenza di comportamento tra il sistema elettrico e le altre fonti di energia è da ascrivere a due fatti: il primo, che nel 1973 la tecnologia nucleotermoelettrica è già industrialmente affermata in molti paesi e il suo sviluppo può avere corso negli anni successivi; il secondo, che il settore elettrico, per la sua flessibilità intrinseca, riesce a impiegare notevoli quantità di carbone in tempi relativamente brevi. Tra il 1973 e il 1979 l'incremento dei fabbisogni di elettricità dei paesi dell'OCSE è soddisfatto per il 40% dal nucleare, per un altro 40% dal carbone e per il restante 20% dal gas e dalle fonti idroelettrica e geotermica; il contributo del petrolio diminuisce del 6%.
Tra il 1979 e il 1985, sempre nei paesi dell'OCSE, a un aumento del fabbisogno di 642 miliardi di kwh, a una riduzione della produzione da petrolio di 430 miliardi di kWh (−42%) e a una lieve flessione del gas (−27 miliardi di kWh) fanno fronte per il 58% la produzione nucleare, per il 32% il carbone e per il restante 10% la fonte idro- e geotermoelettrica.
Per queste ragioni il settore elettrico, tra il 1973 e il 1985, contribuisce per circa un terzo (108 Mtep) alla totale contrazione (352 Mtep) dei consumi di petrolio dei paesi dell'OCSE; parallelamente il costo dell'elettricità diminuisce in valore relativo rispetto a quelli dei prodotti petroliferi e, pur in minor misura, del gas. Se a ciò si aggiunge il fatto che l'elettricità è la più pregiata e flessibile delle forme di energia, del tutto non inquinante nel luogo di utilizzazione, ci si spiega perché, nel periodo considerato, i fabbisogni lordi di elettricità dell'OCSE (coincidenti per quest'area geoeconomica con i valori di produzione dell'energia elettrica a meno, grosso modo, di una differenza inferiore allo 0,02%) siano aumentati del 36%, mentre quelli totali di energia (inclusa quella elettrica) sono cresciuti solo del 3,5%.
Un esame dell'evoluzione di tutte le fonti e forme di energia utilizzate direttamente dagli utenti, nell'ambito dell'OCSE, evidenzia la tendenza alla sostituzione del petrolio in tutti i settori finali di impiego (v. tab. XI), salvo i trasporti.
Nel settore dei trasporti la domanda di prodotti petroliferi è pressoché rigida; nel settore industriale la contrazione dei consumi di petrolio, tra il 1973 e il 1984, è stata di 120 Mtep (−32%) a fronte di un aumento del 4% dei consumi di carbone e del 16% di quelli di elettricità; l'incidenza del petrolio sul totale dei fabbisogni industriali è passata dal 37% del 1973 al 29% del 1984.
Andamento analogo si registra nei restanti settori (agricolo, commerciale, domestico e altri), ove si verifica una riduzione dei consumi di petrolio del 30% (−123 Mtep) a fronte di un aumento di quelli di carbone (+25%) e di elettricità (+52%).
Al di fuori dei paesi dell'OCSE non si osserva una contrazione dei consumi di petrolio che renda evidente una sostituzione degli stessi; tuttavia, rispetto al totale dei fabbisogni di energia, la minore incidenza di questa fonte - passata, dal 1973 al 1985, dal 30% al 28% nei paesi a economia pianificata, e dal 65% al 56% nei paesi in via di sviluppo - evidenzia la tendenza, in tutto il mondo, a privilegiare, quando possibile, l'impiego di altre fonti primarie.
4. La riduzione dei prezzi del petrolio
Come detto, a partire dal 1980 i consumi mondiali di petrolio iniziano a diminuire, i prezzi invece aumentano ancora per tutto il biennio 1980-1981. Poi, nel 1982, le quantità di greggio vendute al prezzo ufficiale, pari a quelle del 1981, si riducono sensibilmente e prevalgono le vendite al mercato libero con prezzi inferiori del 6-7% a quelli ufficialmente stabiliti.
Il perdurare degli aumenti del prezzo del petrolio nel biennio 1980-1981 è dovuto alla sostanziale tenuta del cartello dei 13 paesi dell'OPEC i quali, nel 1979, contribuiscono ancora per circa il 50% al totale della produzione mondiale. Solo nel 1982 tale quota scende al 35% (v. tab. IV). La discesa della domanda mondiale di petrolio e l'aumento dell'offerta derivante dall'incremento della produzione dei paesi dell'OCSE e di quelli a economia pianificata, come pure da nuovi produttori nei paesi in via di sviluppo, riducono fortemente la capacità dell'OPEC di controllare il mercato. Peraltro, le limitazioni che, in questi anni, l'OPEC impone alla propria produzione, per mantenere il livello dei prezzi, evidenziano differenze incolmabili fra gli interessi dei singoli paesi appartenenti all'Organizzazione, che si riflettono nelle scelte che ciascuno di questi ritiene più convenienti. Mentre i paesi che dispongono di cospicue riserve, la cui durata si protrae per molti decenni, non auspicano i maggiori aumenti del prezzo del petrolio, in quanto stimolerebbero, nel breve e medio termine, ulteriori azioni di sostituzione di questo combustibile da parte dei maggiori consumatori, i paesi che hanno minori riserve premono per ottenere il massimo guadagno nel breve e medio termine, al di là del quale la loro capacità produttiva si sarà esaurita o fortemente ridotta. D'altro canto, indipendentemente dall'entità delle riserve, mentre alcuni Stati arabi sostengono una politica di prezzi elevati come strumento di pressione nei confronti dei paesi occidentali, altri non ritengono opportuno assumere posizioni antioccidentali.
Nella situazione venutasi a determinare all'inizio del 1983, di sostanziale eccedenza dell'offerta rispetto alla domanda, i prezzi del petrolio si avviano verso una discesa che, inizialmente lenta, a partire dal gennaio 1986 diventa rapidissima tanto che, nell'aprile del 1986, il prezzo del barile tocca per alcuni giorni il minimo di 10 dollari. La precipitosa caduta è determinata principalmente dal comportamento dell'Arabia Saudita che, dall'agosto 1985, non è più disposta a difendere, praticamente da sola, il prezzo del petrolio sostenendo l'onere di ulteriori tagli alla propria produzione già ridotta al 25% della sua potenzialità. Non meno importante è la decisione, presa nel dicembre 1985 dai paesi dell'OPEC, di abbandonare la difesa dei prezzi pur di riconquistare la quota di mercato perduta nel corso degli anni ottanta.
Il mercato del petrolio continua a essere causa di instabilità; nel 1973 e nel 1979 lo era stato per l'eccesso dei bruschi aumenti dei prezzi, nella prima parte del 1986 lo è per l'eccessiva riduzione degli stessi.
La futura evoluzione dei prezzi del petrolio dipenderà dal comportamento dei paesi importatori; infatti se i paesi industrializzati a economia di mercato, che sono i maggiori consumatori di petrolio e i più dipendenti dalle importazioni, arresteranno la loro azione di risparmio e sostituzione del petrolio, favoriranno il permanere dello stato di instabilità del mercato energetico. La diminuzione dei prezzi del petrolio è stata determinata principalmente dalla riduzione dei consumi e dall'aumento delle produzioni extra OPEC le quali, però, sono quelle che presentano i maggiori costi di estrazione e traggono origine da riserve di entità ben minori di quelle degli operatori mediorientali (v. tab. XII). I primi a esaurire le loro riserve saranno proprio i paesi dell'OCSE e questo tornerà a indurre pericolose tensioni sul mercato del petrolio, perché saranno di nuovo pochi paesi, in regime pressoché di oligopolio, a soddisfare la domanda mondiale di questo combustibile il cui consumo, a livello mondiale, raggiungerà presumibilmente le 3.080 Mtep nel 2000, e che continuerà a essere pressoché insostituibile nel settore dei trasporti ancora per molti decenni. A titolo di esempio, appare utile considerare la situazione degli Stati Uniti i quali, nel corso del 1985, hanno consumato il 10% dei fabbisogni mondiali di petrolio, ma dispongono di riserve provate per poco meno di 8 anni, contro i 34 anni della media delle riserve mondiali e i 78 anni dei paesi dell'OPEC. Gli stessi Stati Uniti, malgrado la limitata entità delle loro riserve contribuiscono al totale della produzione mondiale di petrolio per circa il 18%. Se per ragioni strategiche essi decidessero di limitare la loro produzione (che attualmente copre circa il 70% del loro fabbisogno) e aumentare il volume delle loro importazioni, una crisi energetica sarebbe inevitabile.
L'industria petrolifera è riuscita in questi anni, attraverso la ricerca, non solo a ricostituire le riserve consumate, ma ad ampliarle, tanto che le riserve provate di petrolio sono passate dagli 88 miliardi di tonnellate del 1975 ai 95 del 1985, ma lo sforzo di ricerca è stato sostenuto dall'elevato prezzo del barile che, per garantire ritorno economico ai nuovi investimenti, dovrebbe, secondo stime di esperti del settore, rimanere al di sopra dei 18 $. Negli anni recenti le spese per la ricerca e lo sviluppo di nuove risorse hanno seguito di fatto l'andamento dei prezzi petroliferi (v. tab. XIII).
Inoltre, riduzioni eccessive dei prezzi petroliferi potrebbero minacciare le produzioni con i più elevati costi di estrazione o di qualità inferiore - come già detto, tutte extra OPEC - che verrebbero a trovarsi fuori mercato. I paesi industrializzati dovranno pertanto continuare a perseguire le politiche di risparmio e di sostituzione, senza che il costo del petrolio scenda al di sotto dei limiti di guardia per quanto attiene alla garanzia di profitto per i nuovi ritrovamenti e alla conseguente convenienza di finanziare la ricerca di ulteriori riserve.
5. L'evoluzione delle fonti e dei mezzi impiegati per soddisfare i fabbisogni di energia e di elettricità
Si è visto come le crisi petrolifere abbiano condotto a un mutamento nella struttura delle fonti primarie chiamate a soddisfare i fabbisogni di energia. Ma gli anni del recente passato hanno anche determinato un'evoluzione nei mezzi e nelle prospettive di impiego delle singole fonti, che ha riguardato principalmente: a) l'uso più efficiente e/o più economico dei combustibili fossili e dell'uranio; b) i mezzi per l'impiego di fonti precedentemente trascurate per ragioni di economicità o scarsa compatibilità ambientale; c) la ricerca e la realizzazione di impianti dimostrativi per l'utilizzazione delle cosiddette energie alternative (solare, eolica, delle maree, ecc.).
In quanto segue si esporrà una breve sintesi dei principali risultati raggiunti e delle opzioni più valide emerse dall'esperienza dell'ultimo decennio.
a) Il risparmio energetico
A quanto già detto a proposito della riduzione dell'intensità energetica, nell'insieme dei paesi dell'OCSE, si deve aggiungere qualche considerazione sulle prospettive di ulteriore sviluppo di questa risorsa virtuale, considerati gli attuali minori prezzi del petrolio che potrebbero indurre a un rallentamento delle azioni di risparmio energetico: nel Regno Unito, nella Germania Federale e in Francia, ad esempio, nel 1984 e nel 1985 si sono verificati lievi incrementi dell'intensità energetica che fanno pensare a una controtendenza rispetto agli altri paesi dell'OCSF.
Peraltro, tensioni che potrebbero riapparire verso la metà degli anni novanta fanno pensare alla necessità di continuare a incentivare le economie di energia nel settore residenziale, ove pochi sono i risultati finora ottenuti; nel settore dei trasporti, il più dipendente dal petrolio, che può ancora trarre consistenti benefici economici da una riduzione dei consumi specifici dei vari mezzi di trasporto; nel settore industriale ove, pur con i risultati già ottenuti, c'è ancora spazio per ulteriori miglioramenti. Vanno inoltre sottolineati i consistenti vantaggi ambientali, soprattutto nelle città, che deriverebbero dai minori consumi per il riscaldamento degli ambienti e per la circolazione automobilistica.
b) Le fonti alternative
Le fonti solare ed eolica hanno destato nel decennio trascorso notevole interesse; per esse, tuttavia, non sono ancora state superate le difficoltà per ridurre l'incidenza dell'elevato costo di installazione per unità di energia prodotta, derivante principalmente dalla naturale, bassa densità dell'energia resa disponibile da queste fonti e di conseguenza dalle notevoli dimensioni dei relativi impianti rispetto alla loro potenza utile. Gli anni trascorsi hanno evidenziato la scarsa economicità e le difficoltà di esercizio delle centrali elio-elettriche, costituite da un campo di specchi che riflette e concentra la radiazione solare su una caldaia installata su una torre posta nel punto di convergenza degli specchi. Ciò è stato confermato anche dall'esercizio, dal 1981, di una centrale di questo tipo, da 1.000 kW di picco, realizzata ad Adrano (Catania) nel quadro di un programma di ricerca della Comunità Europea.
Hanno invece raggiunto in molti casi la competitività economica i pannelli solari per la fornitura di acqua calda a bassa temperatura, quale può essere quella richiesta a uno scaldabagno; il maggiore ostacolo a una loro più ampia diffusione risiede nell'elevato costo di impianto e di installazione, tanto che negli anni trascorsi la loro realizzazione è stata incentivata, in molti paesi, mediante contributi statali, al fine di stimolare risparmi nel consumo di idrocarburi e di elettricità.
Sviluppi incoraggianti si attendono dalla generazione fotovoltaica, già preferibile quando si tratti di sostituire batterie ad alto costo per apparecchiature di misura o di calcolo o quando si debbano alimentare piccole utenze molto lontane dalle reti elettriche nazionali. Sono in corso in tutto il mondo attività di studio e di ricerca per ridurre il costo sia dei pannelli fotosensibili che delle relative strutture di sostegno, che incidono per più della metà sul costo totale di impianto. Né si deve dimenticare il costo dell'accumulo di energia, reso necessario dall'esigenza di compensare la grande discontinuità della radiazione solare ed evitare così all'utente isolato dalla rete interruzioni nell'alimentazione di energia.
Negli Stati Uniti si prevede di riuscire a portare il costo del kWh fotovoltaico a 15 centesimi di dollaro verso la fine degli anni novanta. Proprio per questo, non è prevedibile che questi impianti possano dare contributi sensibili prima del 2000.
Promettenti appaiono le prospettive dell'energia eolica, anche se comporta una tecnologia molto più sofisticata di quanto si pensi nonché problemi ambientali quali il rumore delle parti rotanti, l'eventuale disturbo delle grandi eliche in moto alle trasmissioni televisive, l'impatto sul paesaggio, il pericolo derivante dalla rottura delle eliche in movimento. Molti di questi problemi possono essere di minore importanza nel caso di piccoli impianti, specie se decentrati, ma diventano rilevanti per quelli di maggiore potenza.
Molti sono stati gli impianti realizzati in diversi paesi, di taglia variabile da alcune decine di kW fino a 4 MW. Tuttavia, come già detto, anche per la fonte eolica il problema più difficile è quello di ridurre il costo di impianto, ancora troppo elevato perché l'energia possa essere generata a costi competitivi rispetto a quella prodotta dalle centrali termoelettriche a carbone. Mentre queste ultime hanno, però, potenze dell'ordine di 300-600 MW, la taglia economica di una singola unità eolica dovrebbe essere compresa tra 1 e 3 MW.
Considerata la grande variabilità della velocità del vento, va sottolineato che una produzione massiccia di energia eolica comporta impianti di accumulazione di energia con potenza all'incirca pari a quella di tutti i generatori azionati dal vento.
Per quanto riguarda l'utilizzazione delle maree, pochi sono stati i progressi compiuti per ridurre gli elevati costi di impianto, e i maggiori progetti che erano allo studio sono attualmente in una fase di stallo per ragioni o economiche o di impatto ambientale.
Quanto detto conferma le previsioni formulate anche anni addietro secondo cui, almeno fino al 2000, il contributo delle fonti solare, eolica e delle maree sarà, se non trascurabile, molto esiguo rispetto al totale dei fabbisogni mondiali.
c) L'energia idraulica
L'energia idraulica continua a essere in ogni paese la fonte privilegiata per la produzione di energia elettrica.
Nei paesi industrializzati del mondo occidentale le risorse idroelettriche sono purtroppo in gran parte già utilizzate, fatta eccezione di paesi quali il Canada, la Norvegia e pochi altri. È infatti canadese la più grande delle nuove realizzazioni nell'ambito dei paesi dell'OCSE; si tratta dell'utilizzazione delle acque della Grande Rivière che sfocia nella baia di James: è terminata la prima fase dei lavori, che prevedeva la costruzione di tre centrali per una potenza complessiva di 10.300 MW e una produzione annua di 62 miliardi di kwh.
Nei paesi che ne sono dotati, gli impianti idroelettrici assumono un ruolo particolarmente importante che si aggiunge a quello della produzione di energia. Infatti in un sistema elettrico il fabbisogno è caratterizzato da una variabilità tale che la massima potenza richiesta nella punta mattutina o pomeridiana è dell'ordine del doppio di quella minima che si verifica a notte inoltrata. La produzione termoelettrica e ancor più quella nucleare non consentono, senza qualche difficoltà tecnica e senza sacrificio dell'economia della produzione, di seguire l'andamento mutevole del carico. Di qui l'importanza del ruolo svolto dall'accumulazione notturna e festiva (perché i giorni festivi sono caratterizzati da basso carico) negli impianti idroelettrici a serbatoio e dalla restituzione diurna, specie nelle ore di punta, di tale energia.
Spesso all'accumulazione naturale nei serbatoi si aggiunge quella ottenuta impiegando l'energia delle cosiddette ‛ore vuote' (che sono le ore di basso carico) per sollevare l'acqua da un serbatoio a un altro a quota superiore, mediante stazioni di pompaggio, e utilizzare la stessa acqua, questa volta in discesa, per produrre energia nelle cosiddette ‛ore piene' (che sono quelle di maggior carico).
L'Italia, seguita dal Giappone, è, in senso relativo, il paese che possiede il maggiore equipaggiamento di stazioni di accumulazione dell'energia (v. tab. XIV).
Sempre nell'ambito dei paesi industrializzati, grazie ai progressi delle tecniche di telecomando e controllo automatico, si è perseguito lo sviluppo di piccole risorse idroelettriche, per lo più utilizzate in impianti completamente automatizzati, senza alcun bisogno di presidio.
Diverse, per molti aspetti, le prospettive delle risorse idroelettriche di molti paesi in via di sviluppo. Negli ultimi dieci anni si è assistito all'entrata in servizio di numerosi impianti, tra cui basti citare l'impianto di Inga (1981) sul fiume Zaire, della potenza di 1.400 MW, e quello di Itaipù (1983) in Brasile; quest'ultima centrale, della quale sono entrati in servizio i primi quattro gruppi per complessivi 2.860 MW, quando completata (1990), sarà la più potente centrale idroelettrica del mondo (12.600 MW).
Le risorse idroelettriche non ancora utilizzate, nei paesi in via di sviluppo, sono rilevanti; quella idraulica si rivela la fonte più affidabile, più economica e più sicura per promuovere lo sviluppo economico, industriale e sociale di questi paesi.
Le vicissitudini subite dal mercato energetico e le difficoltà in cui si sono trovati i paesi in via di sviluppo non produttori di petrolio dimostrano ampiamente la convenienza, per quelli che ne dispongono, di sviluppare le proprie risorse idroelettriche indigene, le quali rappresenterebbero per essi lo strumento principale per mettersi al riparo da eventuali crisi energetiche, così come lo è la risorsa nucleare nei paesi industrializzati. Le eventuali difficoltà, principalmente di ordine finanziario e tecnico, potrebbero essere superate mediante una stretta collaborazione internazionale che potrebbe essere di grande utilità sia per i paesi fornitori di tecnologia che per quelli in via di sviluppo.
Per questi ultimi ha rilievo anche l'utilizzazione delle piccole risorse idroelettriche le quali, per il basso investimento, possono ritenersi più adeguate alle capacità finanziarie di questi paesi e potrebbero fornire piccole ma essenziali quantità di energia elettrica, capaci di dar luogo a un miglioramento della qualità della vita in piccole comunità.
Nei paesi a economia pianificata sono particolarmente rilevanti i potenziali tecnicamente utilizzabili dell'URSS e della Cina; numerosi impianti sono entrati in servizio in questi paesi durante l'ultimo decennio.
Tra il 1975 e il 1984 la potenza e la produzione degli impianti idroelettrici dell'Unione Sovietica sono passate rispettivamente da 40.000 a circa 60.000 MW e da 126 a 203 miliardi di kWh; in Cina i corrispondenti valori sono passati, nello stesso arco di tempo, da 13.400 a 24.000 MW e da 48 a 87 miliardi di kWh.
d) I combustibili fossili
Gli anni trascorsi hanno visto, in tutto il mondo, un deciso ritorno all'impiego del carbone, il cui consumo tra il 1973 e il 1985 è aumentato di circa il 32%. Consistente anche l'incremento dei consumi di gas (+36%), soprattutto nei paesi a economia pianificata (+124%) e nei paesi in via di sviluppo (+78%); è invece lieve l'aumento nei paesi dell'OCSE (+1%), ove il gas non è per tutti fonte indigena ed è considerato materia prima privilegiata per la petrolchimica e per tutti quegli usi in cui appare consigliabile ridurre l'inquinamento atmosferico. Anche per questi pregi il prezzo del gas, tra il 1973 e il 1985, è aumentato in quasi tutti i paesi dell'OCSE in misura maggiore del prezzo del carbone.
L'economicità del carbone e la disponibilità di consistenti riserve in vari paesi hanno stimolato in tutto il mondo la ricerca per un impiego più esteso di questo combustibile limitando al massimo i danni all'ambiente.
Nei paesi dell'OCSE gran parte dell'incremento nei consumi di carbone e di altri combustibili solidi è stato assorbito dalla produzione di energia elettrica. Sostenuta è stata pertanto in questi anni la ricerca al fine di controllare gli effluenti immessi nell'atmosfera e trovare impiego per le ceneri risultanti dalla combustione.
Un modo per soddisfare queste richieste è quello di procedere alla trasformazione sotterranea del carbone in gas, ma si è ancora lontani dalla messa a punto di un procedimento affidabile.
Un'altra tecnologia volta soprattutto a limitare le emissioni di ossidi di azoto e zolfo e a consentire anche l'utilizzazione di carboni di bassa qualità, perfino rifiuti, è quella della cosiddetta combustione ‛in letto fluido'. Tale processo viene realizzato mediante un contenitore all'interno del quale il carbone, senza necessità di polverizzazione, viene mescolato a particelle solide inerti e soffiato verso l'alto da una corrente d'aria mentre brucia a temperature comprese tra 700 e 900 °C. Da un lato la temperatura relativamente bassa consente di limitare la formazione degli ossidi di azoto, e dall'altro la possibilità di aggiungere additivi, ad esempio carbonato di calcio, permette di ridurre la quantità di diossido di zolfo nei fumi. Gli impianti dimostrativi che sono stati realizzati consentiranno di accertare la validità di questa tecnologia.
Sono in corso di avanzamento anche studi e sperimentazioni per la realizzazione di miscele di carbone con olio e soprattutto con acqua, nell'intento di estendere, in quantità consistenti, l'impiego del carbone a caldaie progettate per funzionare con olio combustibile, e trasportare, anche per distanze di qualche decina di km, un combustibile che, pur essendo a base di carbone, ha le caratteristiche di un fluido e può quindi essere convogliato in tubature, con vantaggi anche per l'ambiente.
In questi ultimi anni si è rivelato più conveniente l'uso di miscele acqua-carbone. Studi ed esperienze sono in corso per definire le caratteristiche chimiche e fisiche ottimali di queste miscele, con e senza l'uso di additivi, e per mettere a punto bruciatori alimentabili indifferentemente con fluido acqua-carbone o con olio combustibile e che siano in grado di passare dall'uno all'altro in tempi relativamente brevi.
Per quanto riguarda la captazione delle ceneri, sono in corso positive sperimentazioni con nuovi filtri elettrostatici alimentati con impulsi che, con consumi ridotti rispetto a quelli degli attuali precipitatori, consentono di trattenere maggiori quantità di ceneri.
In molti paesi sono stati messi a punto sistemi per la desolforazione dei fumi al fine di ridurre le conseguenze delle cosiddette ‛piogge acide'. Tali sistemi incidono sul costo del kWh prodotto, in una misura che in Italia si valuta intorno al 15%.
Il prevedibile aumento dei consumi di carbone pone pertanto problemi la cui soluzione è per alcuni più vicina, per altri molto più lontana. E comunque impossibile limitare l'immissione nell'atmosfera di grandi quantità di diossido di carbonio (CO2): a parità di calore reso, la combustione del carbone rilascia infatti una quantità di CO2 superiore del 25 e del 75% a quelle rispettivamente corrispondenti del petrolio e del gas.
L'immissione di sempre maggiori quantità di CO2 nell'atmosfera potrebbe, secondo l'opinione degli esperti, dare inizio al cosiddetto ‛effetto serra', in conseguenza del quale la superficie della terra aumenterebbe di temperatura e gran parte del ghiaccio delle calotte polari si scioglierebbe con aumento del livello dei mari, per cui si avrebbero forti alterazioni del clima.
e) La fonte nucleare
Al momento della crisi petrolifera la tecnologia nucleare era già matura e disponibile per fornire energia elettrica in quantità ragguardevoli e a costi nettamente concorrenziali: questo le ha consentito di sostituire rilevanti quote di consumi petroliferi.
Nel 1973 la fonte nucleare contribuiva al totale dei fabbisogni mondiali di energia per 44 Mtep, rappresentando solo lo 0,8% di tutta l'energia consumata nel mondo; nel 1985 i corrispondenti valori sono saliti a 325 Mtep e al 4,7%.
Per avere un'idea dell'importanza di questo contributo, basti pensare che la produzione nucleare nel 1985 è stata pari, in termini di tonnellate equivalenti di petrolio, al 39% della produzione OPEC di greggio nello stesso anno.
Dalla prima crisi petrolifera a oggi la potenza elettrica del totale degli impianti nucleari del mondo è passata da 46.000 MW nel 1973 a circa 260.000 MW nel giugno del 1986 (v. tab. XV). Il maggior numero dei nuovi impianti è entrato in servizio nei paesi dell'OCSE, ma tra questi si notano sostanziali differenze legate alla maggiore o minore dipendenza dal petrolio, a situazioni energetiche precostituite, alla disponibilità di consistenti riserve di carbone, a problemi di accettabilità del nucleare da parte dell'opinione pubblica.
Le ragioni dello sviluppo della produzione nucleare discendono anche da alcune caratteristiche intrinseche di questa fonte, evidenti soprattutto in un momento di crisi. Infatti la fonte nucleare permette di contare su una notevole sicurezza di approvvigionamento dell'uranio, e inoltre l'elevata densità di energia del combustibile uranio consente di trasportare questa materia prima, anche con i mezzi più costosi, con trascurabile incidenza sul costo finale del kWh. Allo stesso modo, e per la stessa ragione, scorte di combustibile sono possibili senza necessità di occupare spazi rilevanti e con tenue aggravio economico. La fonte nucleare, peraltro, richiede un elevato investimento di capitale, mentre il costo del combustibile incide molto poco sul costo totale del kWh; perciò, nei paesi nei quali l'uranio non è fonte indigena, la quota del costo del kWh dipendente dalle importazioni è molto limitata, cosicché l'economia della fonte nucleare è molto prossima a quella della fonte idroelettrica.
f) Il rallentamento nella costruzione di nuove centrali nucleari
Purtroppo nel 1979, negli Stati Uniti, si è verificato un incidente presso la centrale di Three Mile Island. Non vi sono state vittime e la diffusione di radioattività nell'ambiente è stata tale da non porre alcun problema per la salute della popolazione.
L'unità è stata però disattivata e non riprenderà servizio. Il danno economico è stato rilevante: si valuta a 2/3 del costo di impianto, in quanto parte del macchinario è stata recuperata e utilizzata in altre centrali. Oltre a ciò, la Nuclear Regulatory Commission, l'organo di controllo sulle attività di costruzione ed esercizio delle centrali americane, sulla base degli insegnamenti derivati dall'incidente ha imposto in breve volgere di tempo norme di sicurezza più restrittive di quelle previste nei progetti iniziali, con la conseguenza di rilevanti lievitazioni dei costi e dei tempi di costruzione dei nuovi impianti, anche di quelli già in cantiere. A ciò si sono aggiunti gli aggravi economici derivanti da incertezze normative. Tutto ciò ha determinato negli Stati Uniti - il paese col maggior numero di impianti nucleari in servizio - un raffreddamento nei confronti della fonte nucleare. Peraltro, a svantaggio del nucleare, negli Stati Uniti, opera anche la circostanza di una disponibilità indigena molto ampia di carbone a buon mercato.
In altri paesi, quali la Francia, il Canada, il Belgio, i programmi nucleari si sono sviluppati regolarmente. In altri ancora si sono verificati dei rallentamenti. In Italia un referendum ha avuto esito contrario al nucleare; lo stesso era già avvenuto in Svezia, dove tuttavia le dodici centrali costruite rimarranno in servizio fino al 2010 e continuano a fornire un contributo prezioso all'economia elettrica svedese.
Il caso della Francia è per molti aspetti esemplare. In questo paese infatti è stata adottata una standardizzazione spinta degli impianti e la realizzazione e l'esercizio degli stessi sono nelle mani dell'Électricité de France (EdF). Questo consente di fare in ogni centrale un'esperienza valida anche per tutte le altre, con vantaggi per la sicurezza, l'addestramento del personale e la circolazione delle informazioni. L'elevato livello di standardizzazione delle centrali nucleari francesi ha consentito anche di ridurre i costi e i tempi di costruzione degli impianti, così che oggi il kWh nucleare francese è tra i meno costosi al mondo.
Ad aggravare una certa situazione di stallo nella costruzione di nuovi impianti, si è verificato nell'aprile 1986, nella IV unità della centrale di Cernobyl, in Russia, il più grave incidente della storia della produzione di energia elettrica da fonte nucleare.
La violazione di fondamentali norme di esercizio (in mancanza di tali trasgressioni l'incidente non sarebbe avvenuto) ha provocato la distruzione del nocciolo del reattore e il rilascio intorno alla centrale e nell'atmosfera di parte degli elementi radioattivi in esso contenuti. L'incendio della grafite contenuta nel nocciolo del reattore e la colonna di fumo che se ne è levata hanno causato il trasporto anche a grande distanza degli elementi radioattivi.
Chi fosse interessato a più ampi dettagli sull'argomento potrà fare riferimento agli interventi dei vari esperti alla Conferenza Post accident review on the Chernobyl accident, indetta dall'AIEA e tenutasi a Vienna dal 25 al 29 agosto 1986. A essa hanno partecipato attivamente anche esponenti dell'Unione Sovietica.
Qui interessa sottolineare che dal resoconto della Conferenza di Vienna sono emerse alcune circostanze che inducono a escludere ogni estrapolazione di quanto è avvenuto a Cernobyl ai reattori in esercizio e in costruzione nel mondo occidentale; si tratta infatti di un tipo di reattore che è stato realizzato e impiegato soltanto in Unione Sovietica e che, a differenza delle unità progettate in Occidente, è intrinsecamente instabile e presenta notevoli insufficienze nel sistema di protezione. Queste e altre circostanze riconosciute dagli esponenti russi nella Conferenza di Vienna e confermate dai provvedimenti che gli stessi progettisti sovietici stanno prendendo per i loro impianti dello stesso tipo inducono a escludere, come già detto, la possibilità che un evento simile a quello di Černobyl possa ripetersi nei reattori in servizio e in costruzione nel mondo occidentale.
g) Le centrali nucleari del prossimo futuro
L'utilizzazione della fonte nucleare negli ultimi dodici anni ha registrato sviluppi nella progettazione e realizzazione di nuovi impianti intesi soprattutto a conseguire due obiettivi: primo, estendere le applicazioni dell'energia nucleare a usi diversi da quello della produzione di elettricità; secondo, aumentare l'utilizzazione dell'uranio, dal quale con i reattori attuali si estrae solo l'1% del contenuto energetico.
Poiché gran parte dei consumi mondiali di energia (40%) è destinata alla produzione di calore, risulta particolarmente conveniente riuscire a coprire parte di questi fabbisogni con la fonte nucleare. Nell'Unione Sovietica, già da tempo, alcuni reattori nucleari sono destinati a fornire calore per riscaldamento di ambienti o per dissalazione di acqua marina, oltre che elettricità. Negli Stati Uniti è stato terminato lo studio di un reattore, della potenza di circa 50 MW termici, da impiegare per riscaldamento urbano. Studi analoghi sono stati compiuti in altri paesi. In ambito OCSE una delle iniziative più interessanti è quella dell'industria canadese che sta per mettere in servizio, presso il Centro di ricerche nucleari di Whiteshell, un reattore dimostrativo da 2 MW termici, denominato Slowpoke esso ha caratteristiche intrinseche di sicurezza (il raffreddamento del nocciolo avviene per circolazione naturale dell'acqua) e, se le sperimentazioni previste avranno successo, potrà essere impiegato commercialmente per riscaldamento di ambienti, fornitura di calore industriale a bassa temperatura e produzione di energia elettrica.
Per quanto riguarda la domanda di calore per usi industriali ad alta temperatura, è di notevole rilievo la messa in servizio, nel dicembre 1985, del reattore prototipo tedesco THTR-300, della potenza di 300 MW elettrici, raffreddato con elio che entra nel nocciolo alla temperatura di 250 °C e ne esce a 750 °C. Se il funzionamento di questo prototipo sarà soddisfacente, si addiverrà a realizzazioni già allo studio, di taglia sia inferiore (100 MWe) che superiore (500 MWe) in grado di fornire, in cogenerazione, sia energia elettrica che calore ad alta temperatura.
Con riguardo alle realizzazioni in atto, e soprattutto alle prospettive per il futuro anche non molto lontano, hanno particolare rilievo i reattori surrigeneratori o autofertilizzanti.
Essi si caratterizzano per il fatto che nel loro nocciolo avviene la conversione dell'uranio naturale in plutonio, dalla cui fissione deriva la produzione di energia.
Inoltre, a differenza di quanto avviene nei reattori oggi impiegati, nei surrigeneratori sono i neutroni veloci a determinare le reazioni che assicurano la continuità della conversione anzidetta.
Orbene, la quantità di plutonio così prodotto non solo eguaglia, ma supera quella consumata per la produzione di energia: quindi in questo tipo di reattori alla produzione di energia è associata quella di una quantità di combustibile - come detto per la conversione dell'uranio naturale - la quale non soltanto è sufficiente a produrre l'energia richiesta, ma rende disponibile un margine per la carica iniziale di combustibile di altri reattori della generazione successiva.
Il risultato finale può enunciarsi dicendo che, a parità di consumo di uranio naturale, i reattori surrigeneratori consentono di disporre di una quantità di energia che è di oltre 60 volte quella ottenibile dai reattori della generazione oggi largamente impiegata. Con ciò la durata delle riserve di uranio accertate nel mondo si prolunga nei secoli e l'energia nucleare si avvicina di molto a una risorsa rinnovabile.
I surrigeneratori, dopo lunga sperimentazione, hanno raggiunto una fase di sviluppo testimoniata dalla realizzazione di due impianti dimostrativi da 250 MW rispettivamente in Francia e in Inghilterra, di altri due da 300 e 600 MW nell'Unione Sovietica e di un impianto - il maggiore del mondo - da 1.200 MW, realizzato in Francia ma frutto della collaborazione della stessa con l'Italia, la Germania Federale e il Benelux.
A questo punto va sottolineata la necessità di una stretta collaborazione internazionale nel campo dei reattori surrigeneratori, che è conditio sine qua non per il loro sviluppo, in ragione dell'impegno di risorse finanziarie, di mezzi tecnici e di capacità umane che porrebbe a dura prova una singola nazione. L'impianto di Creys-Malville, in Francia, dimostra che tale collaborazione è possibile ed è in grado di dare frutto.
h) La fusione
Per il futuro più lontano si deve anche far cenno dei progressi realizzati nel cammino verso la fusione, cioè verso la produzione di energia in modo simile a quanto avviene nelle stelle.
Dopo un'estesa sperimentazione, soprattutto negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Unione Sovietica, la realizzazione di maggior rilievo in campo europeo è stata la costruzione del JET (Joint European Torus) sostenuta dalla Comunità Europea con un contributo alle spese totali dell'80%.
Il JET è stato costruito a Culham, presso Oxford, in Gran Bretagna, ed è stato avviato nel giugno del 1983: durante la prima fase di funzionamento si sono raggiunte temperature di circa 40 milioni di gradi centigradi e densità del plasma pari a circa 1/3 dei valori richiesti per arrivare alla ignizione, cioè alla reazione che si autosostiene. Per quanto riguarda le future possibilità di trarre energia dalla fusione si può affermare che le probabilità che le ricerche in corso conducano a un risultato industrialmente accettabile sono fortemente aumentate, ma quando una realizzazione è ancora condizionata dall'acquisizione di conoscenze legate a risultati sperimentali ogni previsione è impossibile. Restano ancora elementi di incertezza e problemi che troveranno soluzioni adeguate soltanto quando la sperimentazione sulle macchine attualmente operanti e su quelle che seguiranno consentirà, tra l'altro, di conoscere il comportamento di materiali soggetti a sollecitazioni di natura ed entità del tutto insolite nonché le leggi che governano il plasma nelle condizioni richieste per la ignizione.
Si può pertanto ragionevolmente ritenere che una produzione commerciale di energia da fusione non potrà raggiungersi prima dei prossimi 30 anni.
6. Le previsioni sui futuri fabbisogni di energia
Le previsioni sui futuri fabbisogni di energia e su come essi saranno soddisfatti richiedono la valutazione dello sviluppo demografico mondiale, del probabile o auspicato tasso di sviluppo economico e sociale, della struttura delle fonti energetiche più adatta per rispondere a criteri di sicurezza, economicità e continuità di approvvigionamento.
Questi ultimi parametri a loro volta devono tenere conto sia delle riserve disponibili di materie prime energetiche (v. tabb. XII, XVI, XVII e XVIII) sia della maturità già raggiunta o raggiungibile in un tempo più o meno lungo dalle diverse tecnologie che le utilizzano.
Alla luce anche di quanto detto precedentemente, vengono esposte altre tabelle (v. tabb. XIX, XX, XXI e XXII) le quali indicano i fabbisogni di energia ed elettricità e la composizione della struttura delle fonti destinate a soddisfarli, per le diverse aree geoeconomiche del globo.
In particolare, alla base delle previsioni indicate sono le ipotesi che tra il 1985 e il 2000 la popolazione mondiale cresca del 26% e che lo sviluppo economico proceda secondo un ritmo del 2,5% all'anno.
Valutati i fabbisogni, nell'indicare la struttura delle diverse fonti, si è tenuto conto della necessità di ridurre i consumi di petrolio soprattutto nei paesi dell'OCSE, che sono quelli che hanno le possibilità tecnologiche e finanziarie per utilizzare la fonte nucleare, lasciando che un maggiore consumo di petrolio possa aver luogo nei paesi in via di sviluppo. Ciò in quanto la tecnologia relativa all'utilizzazione del petrolio è la più semplice e la meno onerosa finanziariamente. D'altro canto, nei paesi in via di sviluppo sembrano più opportuni grossi impegni finanziari per incrementare, quando ve ne sia la disponibilità, l'utilizzazione della più sicura delle fonti indigene, quella idroelettrica.
Si è anche tenuto conto dell'aumento della penetrazione dell'energia elettrica (rapporto percentuale tra la quantità delle fonti primarie trasformate in energia elettrica e il totale dei fabbisogni di fonti primarie), che passerà dal 31% del 1985 al 37% del 2000 (44% nei paesi dell'OCSE), e ciò in quanto il vettore elettrico è, e sempre più sarà, lo strumento privilegiato di trasferimento dei contenuti energetici della fonte nucleare e del carbone.
In questi ultimi anni le incertezze riguardanti lo sviluppo economico dei paesi più industrializzati e il mercato delle fonti energetiche hanno reso sempre più difficile fare previsioni per il futuro. Malgrado ciò, valutare i futuri probabili consumi delle diverse fonti di energia è una sfida alla quale non ci si può sottrarre e che ha in ogni caso una sua utilità anche quando si sa di fare ipotesi e previsioni nell'incertezza. Va da sé che una periodica revisione delle previsioni si rende indispensabile.
Le previsioni indicate rappresentano in qualche modo anche degli obiettivi, poiché indicano la via per garantire all'economia mondiale uno sviluppo economico moderato ma stabile, al riparo da crisi che, anche quando non pregiudicano il conseguimento degli obiettivi proposti, comportano sempre per il conseguimento degli stessi un maggior consumo di risorse.
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