Energia
L'inizio del 21° sec. ha visto un mutamento di tendenza nell'evoluzione dei prezzi del petrolio e, più in generale, di tutte le altre fonti energetiche naturali. Dopo un periodo di sostanziale diminuzione del prezzo del greggio, durato fino al 1998 (fig. 1), si è infatti osservato un suo successivo continuo aumento che ha fatto superare nel 2005 la barriera dei 70 $/barile, valore record se misurato in valuta corrente e molto vicino al massimo assoluto. Questo andamento dei prezzi, seguito tendenzialmente anche da quello di tutte le altre fonti energetiche, è stato provocato da differenti motivazioni geopolitiche: da una parte i timori sulla disponibilità di greggio sui mercati causati dalla grande instabilità del Medio Oriente, caratterizzata dalla ancora irrisolta questione israelo-palestinese, dalla seconda guerra tra gli Stati Uniti, alla guida di una coalizione di Paesi occidentali, e l'Irāq e, infine, dalle forti instabilità politiche di grandi produttori di petrolio quali il Venezuela e la Nigeria; dall'altra la rapida crescita economica e industriale di grandi Paesi quali la Cina e l'India che ha sostanzialmente modificato le caratteristiche della domanda di fonti energetiche facendone lievitare il prezzo. Secondo i vertici della International Energy Agency (IEA), pur manifestandosi nello stesso modo, le due cause di variazione dei prezzi hanno diverse caratteristiche. I timori di temporanee carenze di disponibilità si sono infatti ripetuti più volte e ai relativi incrementi di prezzo hanno fatto regolarmente seguito dei, seppur più lenti, aggiustamenti al ribasso. L'enorme fabbisogno energetico delle economie emergenti, cui si accompagna un altrettanto importante fabbisogno di tutte le risorse naturali, sta provocando modifiche strutturali alla dinamica dei prezzi per i quali è difficilmente prevedibile un'inversione di tendenza. A queste considerazioni di natura economico-politica va inoltre ad aggiungersi una difficoltà del sistema di raffinazione e distribuzione dei prodotti energetici, che negli stessi anni ha sostanzialmente raggiunto i limiti produttivi e che richiede un aggiornamento delle infrastrutture industriali i cui costi e i lunghi tempi di realizzazione contribuiscono al rialzo dei prezzi.
I consumi energetici mondiali sono stati anch'essi influenzati dai precedenti accadimenti e per essi si è registrato un continuo aumento che ha portato nell'anno 2000 a un consumo stimato in 370 EJ, equivalenti a oltre 170 milioni di barili di petrolio al giorno. La distribuzione geografica di tali consumi è tuttavia molto lontana dall'essere uniforme poiché gran parte di essi è concentrata nei Paesi più industrializzati (nel 2004 i 30 Paesi dell'OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, hanno consumato più del 53% dell'e. utilizzata nel mondo), ai quali si stanno aggiungendo Cina e India (i cui consumi energetici sono cresciuti, sempre nel 2004, rispettivamente del 15 e del 7,2%) e alcuni altri Paesi del Sud-Est asiatico. Tra questi due gruppi di nazioni si osservano tuttavia delle differenze sostanziali negli utilizzi energetici. Nei Paesi a più antica tradizione industriale, infatti, a un continuo aumento dei fabbisogni energetici si comincia ad associare una seppur più lenta diminuzione dell'intensità energetica (misurata in termini di e. a unità di PIL), principalmente collegata a considerazioni di carattere ambientale di cui si parlerà in seguito. Per quanto riguarda invece le economie emergenti, concentrate soprattutto sulla crescita del loro potenziale industriale, queste si mostrano ancora poco attente ai problemi di efficienza dei processi industriali e, di conseguenza, a rapidissimi incrementi dei fabbisogni energetici non si accompagnano ancora riduzioni delle intensità. Discorso a parte su questo argomento è quello relativo agli Stati Uniti, nei quali, pur in presenza di notevoli attività di sviluppo di tecnologie e interventi finalizzati all'efficienza dei processi industriali, la disponibilità di e. a costi relativamente contenuti ha contrastato, fino a tempi molto recenti, misure efficaci di riduzione dei consumi.
Le riserve disponibili di fonti energetiche naturali non sono aumentate in modo sensibile negli anni a cavallo del passaggio di secolo. Il ritmo delle nuove scoperte ha seguito un andamento sostanzialmente in linea con quanto registrato negli anni precedenti. La scoperta di nuovi giacimenti non ha modificato in modo sostanziale la distribuzione geopolitica delle riserve energetiche: nel 2004, per quanto riguarda il petrolio, queste continuano a essere concentrate nel Medio Oriente (che ne detiene oltre il 60%), e per quanto riguarda il gas naturale sempre in Medio Oriente con il 40,65% e nella Federazione Russa con oltre il 26%. Si ritiene che la produzione mondiale non abbia ancora raggiunto il picco di Hubbert (dal nome del geologo americano M.K. Hubbert che per primo ha studiato la storia dello sfruttamento di un giacimento petrolifero). Dai suoi studi è emerso che lo sfruttamento nel tempo di un campo petrolifero, così come di altre risorse minerarie, è caratterizzato da un andamento tipico che raggiunge un massimo nella produzione oltre il quale l'accumularsi delle attività estrattive provoca un depauperamento del giacimento che ne incrementa i costi estrattivi determinando un rallentamento dello sfruttamento e il successivo declino della produzione. Alla fine del 2004, il rapporto tra le riserve note e i consumi consolidati prevedeva una disponibilità di ca. 40 anni per quanto riguarda il petrolio, 70 anni per quanto riguarda il gas naturale e oltre 150 anni per il carbone. La disponibilità di fonti energetiche naturali, pur non destando un'immediata preoccupazione, obbliga tuttavia alla ricerca di soluzioni alternative che possano affiancarsi e successivamente sostituire le attuali fonti di origine fossile. L'andamento dei prezzi registratosi nel quadriennio 2002-2005 ha reso, peraltro, nuovamente competitivo lo sfruttamento di giacimenti prossimi all'esaurimento, per i quali le più onerose operazioni di estrazione avevano sconsigliato l'utilizzo negli anni conclusivi del 20° secolo.
La distribuzione non omogenea delle risorse energetiche ha enorme influenza sulle politiche economiche delle nazioni e questo tema è stato approfonditamente affrontato dalla Commissione europea nel Libro verde - Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico (2000). Nel documento viene analizzata con preoccupazione la grande debolezza del sistema energetico continentale che, non possedendo risorse naturali in quantità soddisfacente, dipende per oltre il 50% dei suoi fabbisogni dall'estero con una tendenza continua alla crescita verso il 70%. Questa circostanza rappresenta una debolezza strategica che, pur non potendo essere contrastata per mancanza di fonti naturali, consiglia l'adozione di interventi finalizzati allo sviluppo di tecnologie efficienti e di soluzioni alternative. Le linee guida di queste politiche prevedono lo sviluppo contemporaneo di diverse soluzioni che consentano tra l'altro un maggiore utilizzo di fonti rinnovabili e la transizione verso l'utilizzo dell'idrogeno.
Sostenibilità ambientale del sistema energetico
La sostenibilità complessiva dell'utilizzo delle fonti energetiche naturali, sia su scala locale (inquinamento ambientale) sia su scala globale (riscaldamento dell'atmosfera terrestre, protezione dalla radiazione solare), rappresenta un tema di fondamentale interesse. La produzione di e. elettrica e meccanica (tra le forme di e. più comunemente utilizzate a partire da combustibili naturali) è infatti causa di emissioni inquinanti con effetti negativi sulla salute dell'uomo e sull'ambiente. Gli sforzi compiuti per cercare di contrastare tali effetti negativi, particolarmente problematici nelle aree urbane, oltre a guidare gli sviluppi della tecnologia hanno avuto un notevole impatto sulle caratteristiche qualitative dei prodotti energetici destinati ai differenti settori di utilizzo. Particolarmente significativo, a tal fine, è lo sviluppo della normativa relativa alla qualità dei combustibili per l'autotrazione che stabilisce per la benzina e il gasolio standard molto stringenti sulla composizione (contenuto di zolfo, benzene, idrocarburi policiclici aromatici). Le specifiche sulla qualità dei combustibili liquidi hanno implicazioni notevoli sui processi di raffinazione del petrolio.
La riduzione delle emissioni di CO2 si è resa peraltro necessaria a causa della sua enorme produzione da tutti i processi di generazione di e. che fanno ricorso a fonti naturali fossili. Gli ultimi decenni del 20° sec. sono stati infatti caratterizzati da una crescente attenzione al ruolo di questo gas nella determinazione di modifiche del clima terrestre. Il ruolo della CO2 nella definizione della opacità dell'atmosfera terrestre alla radiazione infrarossa, ipotizzato dal fisico-chimico svedese S.A. Arrhenius nel suo pionieristico lavoro del 1896, unitamente alle osservazioni più recenti della evoluzione della sua concentrazione atmosferica (misurata in aria o ricostruita attraverso l'esame di campioni profondi di ghiaccio artico e antartico), aumentata negli ultimi cento anni di poco meno di 100 ppmv (parti per milione in volume) hanno catalizzato l'attenzione sulle emissioni di questa sostanza, così come di altri composti con analogo effetto (metano ecc.). Il Protocollo di Kyoto (1997) costituisce la sintesi delle strategie individuate su scala globale per la riduzione delle emissioni in atmosfera di gas serra. Secondo quanto previsto da questo accordo i Paesi sottoscrittori sono impegnati a ridurre almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990 le principali emissioni antropiche di gas serra nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012. L'Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto con la l. 1 giugno 2002 nr. 120, impegnandosi a ridurre le proprie emissioni atmosferiche di gas serra del 6,5% . Il dibattito sull'attuazione del Protocollo di Kyoto è stato uno dei motori principali della evoluzione del mondo energetico a cavallo del passaggio di secolo favorendo da una parte miglioramenti delle tecnologie esistenti e lo sviluppo di nuove tecnologie, stimolando dall'altra politiche di risparmio energetico. Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, novanta giorni dopo la sua firma da parte della Russia, cinquantacinquesimo Paese a ratificarne l'adozione consentendo il superamento della soglia minima prevista per la sua attuazione automatica.
La stabilizzazione della concentrazione atmosferica di CO2 è, infatti, una questione principalmente legata all'e. e ai suoi differenti utilizzi. Nel corso del 20° sec. la popolazione mondiale si è quadruplicata mentre i consumi di e. hanno subito un incremento pari a ca. 16 volte. Nello stesso periodo la concentrazione atmosferica di CO2 è passata da ca. 290 a ca. 370 ppmv. Disegnare scenari possibili per la successiva evoluzione di questi valori è molto difficile poiché richiede ipotesi su processi molto complessi quali, per es., lo sviluppo economico, la distribuzione di fonti energetiche, le nuove scoperte. A prescindere da quali siano gli andamenti tendenziali, il compito di organismi soprannazionali quali la UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) è quello di determinare quali possano essere i valori limite per non provocare pericolose interferenze con il sistema naturale che regola il clima della Terra. Tra questi effetti vale la pena di citare l'innalzamento della temperatura media dell'atmosfera, l'innalzamento del livello del mare provocato dallo scioglimento dei ghiacci e la modifica della circolazione termoalina provocato dalla variazione della salinità dell'acqua marina.
Il passo fondamentale per comprendere l'entità di tali sforzi è evidente se si considerano gli impieghi attuali di e. e se ne delineino scenari evolutivi non particolarmente pessimistici che prevedano una crescita dei fabbisogni del 2-3% all'anno accompagnati tuttavia da una contemporanea riduzione della intensità di impiego di tale e. (frutto delle azioni di contenimento in atto). La potenza necessaria per far fronte ai fabbisogni di e. mondiale e generata attraverso fonti primarie è dell'ordine dei 12 TW dei quali circa l'85% derivato da combustibili fossili. Con i profili di crescita ipotizzati, il rispetto di limiti alla concentrazione atmosferica di CO2 su livelli accettabili richiede la disponibilità, entro la metà del 21° sec., di una capacità produttiva comparabile con quella esistente e derivata da fonti energetiche o processi privi di emissioni di tale componente. Questo processo di riduzione delle emissioni è estremamente oneroso e richiederà presto interventi ben più drastici di quelli previsti dall'attuale Protocollo di Kyoto che agiscano sui processi esistenti di generazione di e., incrementandone l'efficienza, e contemporaneamente favoriscano lo sviluppo di tecnologie innovative che possano associarsi a quelle esistenti e, successivamente, sostituirle.
Possibili fonti energetiche primarie candidate per una produzione di e. con le caratteristiche appena indicate sono ancora i combustibili fossili associati con processi di decarbonizzazione, le fonti rinnovabili quali il solare, l'eolico e le biomasse, e il nucleare (fusione, fissione o ibrido fissione-fusione). Interventi secondari che possano essere di ausilio al raggiungimento di tali obiettivi sono, oltre all'incremento dell'efficienza dei processi esistenti, la diffusione di vettori energetici privi di carbonio quale l'idrogeno, la realizzazione di sistemi di trasporto dell'e. elettrica ad altissima efficienza e, infine, più complessi e futuristici interventi di geoingegneria caratterizzati tuttavia da maggiori problemi dal punto di vista della fattibilità tecnica. Ognuno di questi interventi presenta aspetti positivi, difficoltà tecnologiche e limitazioni strutturali alle sue potenzialità. Per questa somma di motivi è, ormai, opinione comune che nessuno di essi rappresenti la soluzione unica e che il raggiungimento degli obiettivi richieda l'impiego e lo sviluppo di tutte le alternative.
La possibilità di utilizzo delle fonti energetiche fossili in combinazione con processi finalizzati alla cattura della CO2 prodotta rappresenta una soluzione estremamente interessante nel breve periodo poiché consentirebbe di sfruttare le ancora imponenti riserve di questi combustibili. Il fondamento di tale tipologia di intervento prevede che il carbonio contenuto nel combustibile, prima o dopo la sua ossidazione ma comunque dopo che ne sia stato sfruttato il contenuto energetico, venga separato e immagazzinato in qualche bacino che ne consenta uno stabile stoccaggio. Tra i candidati a tale ruolo ci sono le falde acquifere profonde, i pozzi petroliferi e i bacini di gas naturale nei quali i gas contenenti l'anidride carbonica possono essere insufflati. Tra l'altro questa tecnica ha l'ulteriore vantaggio, risultando pertanto già sfruttata, di incrementare la pressione del giacimento favorendo l'estrazione del combustibile fossile residuo (EOR, Enhanced Oil Recovery). Gli studi sulla sottrazione dell'anidride carbonica prevedono anche soluzioni differenti: la formazione di prodotti chimici solidi che fissino stabilmente il carbonio, nonché il confinamento in bacini marini a grande profondità o nei cosiddetti acquiferi salini. Ognuna di queste soluzioni porta tuttavia con sé alcuni rischi di diffusione all'indietro dei reagenti che potrebbero quindi rendere solo parzialmente efficiente l'intervento. Nel caso di immissione marina a grande profondità a tali rischi si associa quello di una possibile modificazione dei livelli di acidità dell'acqua. Per contro, nelle acque marine ha luogo uno dei processi naturali di rimozione della CO2 atmosferica che porta alla formazione di carbonati stabili. Tali processi sono oggetto di approfonditi studi per cercare di accelerarne la cinetica che non è sufficientemente veloce.
I processi di cattura del carbonio, per quanto oggetto di molteplici studi, non sembrano tuttavia essere facilmente applicabili alla produzione di e. in motori di piccola potenza quali quelli caratteristicamente utilizzati per il trasporto. La maggiore efficacia di tali processi si ottiene quindi con la loro adozione in impianti di generazione centralizzata che producano un qualche vettore energetico (elettricità o idrogeno) che poi possa essere efficientemente distribuito.
Prospettive di un sistema energetico a idrogeno
Tra i vettori energetici l'idrogeno è un composto oggetto di grande interesse. Il dibattito sul futuro energetico a livello mondiale e sul ruolo che l'idrogeno potrebbe assumere è stato senz'altro uno degli elementi caratterizzanti l'ultimo passaggio di secolo. L'idrogeno rappresenta infatti una perfetta alternativa ai combustibili tradizionali in quanto, se bruciato o direttamente ossidato in dispositivi quali le celle a combustibile non emette inquinanti pericolosi né gas che contribuiscano all'effetto serra. Inoltre, è caratterizzato dalla più elevata densità di e. per unità di massa (il suo potere calorifico inferiore è pari a 120 MJ/kg) ed è disponibile in grandi quantità poiché contenuto in gran parte delle molecole che costituiscono la materia organica e inorganica. L'idrogeno, tuttavia, non è un combustibile come il carbone o il petrolio ma è piuttosto un vettore energetico e in quanto tale deve essere prodotto a partire da altre fonti energetiche. Questo aspetto, pur rendendo tecnicamente assai complesso lo sviluppo di un'economia energetica fondata su questo elemento, ne rappresenta anche uno dei maggiori potenziali. Se si esamina, per es., il grafico di fig. 2 si può osservare come l'idrogeno sia un vettore caratterizzato da un'enorme versatilità in quanto può essere prodotto a partire da un gran numero di fonti energetiche primarie sia fossili sia rinnovabili oltre che attraverso l'e. nucleare. Una volta prodotto, il suo utilizzo è altrettanto versatile e può avvenire sia nei sistemi di generazione di e. convenzionali sia nelle celle a combustibile.
L'idrogeno può essere prodotto attraverso differenti processi quali: l'elettrolisi dell'acqua, la riformulazione di idrocarburi più complessi mediante calore ed eventualmente vapore d'acqua, la gassificazione e la pirolisi di idrocarburi ma anche di biomassa, processi termochimici che facciano utilizzo di calore reso disponibile da qualche fonte a basso costo (e. nucleare o solare concentrata) e infine la produzione biologica con utilizzo di alghe e batteri. Ognuna di queste tipologie presenta possibili benefici ma anche barriere tecnologiche. La valutazione della tecnologia di produzione più vantaggiosa richiede pertanto che venga effettuata una completa valutazione dei costi energetici e degli impatti complessivi sull'ambiente.
La diffusione su larga scala dell'idrogeno richiede inoltre che venga opportunamente sviluppata la tecnologia che ne consenta l'immagazzinamento e la distribuzione. Come detto, l'idrogeno è caratterizzato da un'elevata densità energetica per unità di massa ma, qualunque sia il suo stato di aggregazione, da ridotta densità volumetrica. L'immagazzinamento dell'idrogeno per un suo utilizzo diffuso presenta quindi aspetti critici, sia per quanto riguarda l'efficienza di stoccaggio (misurata come rapporto tra la quantità di idrogeno immagazzinata e il peso del serbatoio), sia per quanto riguarda la sicurezza. La forma di immagazzinamento più indicata dipende molto dal tipo di applicazione. L'uso di idrogeno in pressione è prassi abbastanza consolidata nelle applicazioni industriali per le quali si è in grado di ottenere condizioni di funzionamento efficienti e affidabili. L'idrogeno può, inoltre, essere conservato senza grandi problemi tecnici anche in grandi serbatoi in pressione. La possibilità di immagazzinare e. a bordo di veicoli in quantità sufficiente a garantirne l'autonomia richiesta è, invece, ancora lontana dal raggiungimento di una piena maturità tecnologica. Nella tabella sono indicati alcuni valori caratteristici per la densità energetica dell'idrogeno.
Tipologie di immagazzinamento disponibili. - L'utilizzo di serbatoi in pressione di dimensioni più o meno grandi è una tecnologia abbastanza diffusa per pressioni dell'ordine di 20 MPa che consentono tuttavia di immagazzinare quantitativi modesti di idrogeno. La linea di sviluppo per questi dispositivi prevede quindi l'utilizzo di pressioni sempre maggiori (70 MPa) per le quali la densità energetica volumetrica del gas diventa simile a quella dell'idrogeno liquido sebbene ancora inferiore a quella dei combustibili tradizionali. Per queste applicazioni lo sforzo tecnologico è diretto verso la realizzazione di recipienti leggeri in grado di assicurare le richieste esigenze di resistenza meccanica. I materiali utilizzati a tali fini sono quindi compositi con fibre di carbonio e materiali polimerici.
L'immagazzinamento dell'idrogeno sotto forma liquida richiede il raggiungimento di temperature di ca. 20 K. In queste condizioni la densità di e. per unità di volume diventa molto più elevata ma è richiesto un notevole esborso energetico per il raffreddamento del fluido (pari a circa un terzo del contenuto energetico iniziale). L'idrogeno liquido viene conservato a una pressione leggermente superiore a quella atmosferica (0,6 MPa) e non presenta quindi grandi difficoltà dal punto di vista strutturale, ma richiede serbatoi in grado di garantire nel miglior modo possibile l'isolamento termico dall'esterno che, in ogni caso, non è perfetto richiedendo un lento, ma costante, rilascio di piccoli quantitativi di idrogeno in atmosfera e il conseguente svuotamento del serbatoio anche in assenza di utilizzo.
Una forma molto efficiente di stoccaggio è quella consentita da alcuni metalli i quali, in condizioni opportune, sono in grado di assorbire l'idrogeno all'interno del loro reticolo atomico. Questi materiali (lantanio, magnesio, ferro ecc.) permettono di ottenere per l'idrogeno una notevole densità energetica a unità di volume, mentre ne diminuiscono, anche sensibilmente, la densità su base massica. Il rapporto tra massa di idrogeno immagazzinato e massa dell'idruro metallico non riesce ancora a superare valori dell'ordine del 5%.
Altrettanto efficienti nell'immagazzinamento sono idruri chimici quali il NaBH (boroidruro di sodio, solido a temperatura ambiente, solubile in acqua fredda e instabile in acqua calda), che può prender parte a processi reversibili e molto efficienti di immagazzinamento e rilascio dell'idrogeno.
Un'ultima tipologia di immagazzinamento di grande potenzialità e oggetto di intensi studi è quella che prevede l'utilizzo di nanotubi di carbonio che, grazie alla loro struttura molecolare, permettono ad atomi di idrogeno di essere catturati all'interno del reticolo e quindi rilasciati in condizioni opportune. Questa tecnologia è molto promettente, sia per la densità energetica che può essere realizzata, sia per il costo che a regime potrebbe essere molto contenuto. Tali obiettivi non sono tuttavia stati ancora raggiunti.
Infrastrutture di trasporto e sviluppo delle celle a combustibile. - La possibilità di utilizzo dell'idrogeno quale vettore energetico è tuttavia legata al contemporaneo sviluppo di una infrastruttura di distribuzione capillare con una diffusione analoga a quella delle reti esistenti per l'e. elettrica, per il metano e per i combustibili per il trasporto (benzina, gasolio ecc.). La realizzazione di una tale infrastruttura comporta, oltre a immense problematiche finanziarie, la necessità di sviluppare soluzioni tecniche e procedure per un utilizzo sicuro dell'idrogeno.
Gli usi dell'idrogeno, come detto, sono molti e permettono di ipotizzare una sostituzione piuttosto completa delle altre forme di energia. Un ruolo particolarmente importante in questo processo di sostituzione è quello connesso allo sviluppo delle celle a combustibile. Questa tecnologia, nelle sue differenti configurazioni, è caratterizzata dall'avere una elevata efficienza nella conversione dell'e. potenziale chimica dell'idrogeno in e. elettrica e rappresenta, senz'altro, uno strumento fondamentale per accelerare la transizione verso una possibile economia energetica fondata sull'idrogeno. L'uso delle celle a combustibile alimentate con idrogeno permette infatti di produrre e. con grande efficienza (recuperando in parte il gap provocato dall'esigenza di produrre l'idrogeno a spese di un'altra fonte energetica) senza provocare emissioni inquinanti significative e può pertanto rappresentare anche una soluzione tecnica molto efficace per quanto riguarda il trasporto. Quest'ultimo, infatti, assorbe gran parte dei consumi di e. ed è uno dei principali attori nella determinazione dell'inquinamento atmosferico con particolare riferimento alle aree urbane.
La disponibilità di celle a combustibile per la produzione di e. in applicazioni stazionarie e mobili è quindi aspetto di grande importanza per la possibile diffusione dell'idrogeno quale vettore energetico.
Energia da fonti nucleari
Fusione. - Da molti anni la ricerca di fonti energetiche alternative ha indicato nello sviluppo di processi di produzione di e. a partire da reazioni nucleari una possibile soluzione ai problemi di disponibilità delle fonti energetiche e inquinamento ambientale. La scelta della fusione come fonte di e., per la quale si attende tuttavia ancora una soluzione tecnologica affidabile che ne consenta un'ampia diffusione, è motivata da molti fattori relativi alla disponibilità di combustibile di base per le reazioni (deuterio e trizio), alla maggiore sicurezza intrinseca del processo (questo deve essere necessariamente confinato e alimentato altrimenti si estingue), alla possibilità di annullare il trasporto di sostanze radioattive necessarie per il funzionamento delle centrali e alla minore se non nulla produzione di rifiuti radioattivi dei quali dover realizzare lo stoccaggio per centinaia di anni (il residuo della fusione è l'elio che, come i combustibili di base, non è radioattivo).
Il processo di fusione ad alta temperatura, dimostrato su scala di laboratorio, ha avuto nel 2005 un notevole spunto a seguito della individuazione del sito di costruzione di un prototipo di generatore a fusione su scala quasi industriale nell'ambito del progetto internazionale ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) che ha come oggetto lo sviluppo di gran parte delle soluzioni tecnologiche necessarie per una futura centrale elettrica a fusione su scala reale. Tale prototipo verrà costruito in Francia a Cadarache, vicino ad Aix-en-Provence, e si prevede possa essere operativo a partire dal 2016.
Il Tokamak ITER, alto 24 m e largo 30 m, sarà più piccolo di una centrale elettrica convenzionale. Produrrà e. termica con una potenza massima di 500 MW, in un plasma di fusione toroidale con un volume di ca. 800 m3 contenuto mediante forti campi magnetici. L'impianto offrirà una dimostrazione della produzione di e. per una durata prolungata, nella prospettiva finale di un funzionamento a regime costante.
Il reattore ITER produrrà e. in quantità da cinque a dieci volte superiore alla quantità necessaria per mantenere il plasma a temperatura di fusione (100 milioni di gradi Celsius), dimostrando in tal modo la fattibilità dell'e. di fusione e della combustione continua. Fisici e ingegneri potranno sviluppare e ottimizzare le tecnologie, i componenti e le strategie di regolazione per le successive centrali a e. di fusione.
L'evoluzione dell'efficienza della infrastruttura di trasporto
Un campo di ricerca di grande interesse per l'evoluzione del sistema di generazione e utilizzo dell'e. è rappresentato dallo sviluppo di superconduttori che possano operare a temperatura prossima a quella ambiente. La superconduttività è una proprietà per la quale alcuni materiali si comportano da conduttori a elevatissima efficienza (ridotte perdite ohmiche) in range di temperatura molto bassi. La disponibilità di analoghi materiali che possano operare a temperatura più vicina a quella atmosferica potrebbe consentire lo sviluppo di soluzioni tecnologiche per la produzione di e. che non debbano tenere conto della distanza tra l'impianto di generazione e l'utilizzatore finale. Esempi di questa evoluzione sono l'utilizzo completo del potenziale idroelettrico dei grandi fiumi quali il Congo o il Rio delle Amazzoni, lo sviluppo del potenziale di e. solare fotovoltaica dei deserti, la collocazione di campi di sfruttamento dell'e. eolica collocati in alto mare per ridurne l'impatto visivo. L'e. così prodotta potrebbe essere efficacemente trasferita su grandi distanze senza sostanziali perdite di trasmissione.
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