ENERGIA RAGGIANTE
RAGGIANTE Sotto il nome di energia raggiante s'intende, a rigore, l'energia del complesso di radiazioni che si propagano mediante vibrazioni trasversali dell'etere cosmico e che hanno tutte le frequenze immaginabili, da meno di una al secondo a numeri incomprensibilmente grandi, esprimibili con 1014 per la luce e molto oltre per i raggi X, γ e cosmici. Essa comprende quindi le varie categorie di radiazioni, che la fisica studia in gran parte separatamente perché, sebbene siano tutte di una stessa natura, hanno tuttavia talune proprietà che le caratterizzano.
Ne fanno parte, enumerate per frequenze crescenti, le onde elettriche che servono in telegrafia e telefonia senza fili, lunghe da alcuni chilometri ad alcuni metri, altre onde elettriche, d'interesse scientifico, la cui lunghezza giunge ad alcuni decimi di millimetro, la parte ultrarossa dello spettro, comprese tra alcuni decimi di millimetro e 0,76 micron (μ), la luce compresa tra 0,76 e 0,38 μ, la parte ultravioletta dello spettro che giunge fino a 1,4 centesimi di μ, i raggi X fino a 5 milionesimi di μ, i raggi γ fino ad alcuni decimilionesimi di μ, e i raggi cosmici, ai quali si attribuiscono lunghezze d'onda ancora minori. La causa che origina le loro diverse proprietà fisiche è essenzialmente la frequenza o, ciò che per un dato mezzo di propagazione fa lo stesso, la lunghezza d'onda.
Per una consuetudine, la cui origine è nella storia della fisica, si suole comprendere sotto il nome di energia raggiante l'energia delle radiazioni, del campo che si trova oltre l'estremo rosso dello spettro. Fu William Herschel il quale scoprì che nello spettro solare il calore cresce dal violetto al rosso e si presenta anche notevolmente al di là del rosso (1800). Questa parte ha tuttavia una notevole estensione, e se nello spettro solare non giunge che a pochi μ di lunghezza d'onda, in alcune sorgenti artificiali è molto più estesa e si può dire che, andando nell'aria da 0,76 a ben 314 μ, si estende per oltre 10 ottave. L'energia raggiante comprende cioè il complesso di tutte quelle radiazioni invisibili e di lunghezza d'onda maggiore di quella che corrisponde all'estremo rosso, che noi sappiamo produrre col semplice riscaldamento dei corpi. Una volta questi raggi venivano chiamati raggi termici, e non è lontano il tempo in cui si riteneva che dal Sole venissero tre specie di raggi: i calorifici o termici, i luminosi, gli attinici; queste tre specie di raggi venivano nello spettro a sovrapporsi parzialmente; tutti si propagavano come la luce, ma nei primi era contenuta quasi la totalità dell'energia dello spettro, e perciò nello studio dell'energia raggiante, ci si occupò particolarmente di questi.
Sulla base di esperienze mal condotte o mal interpretate di E. Mariotte, di K. Scheele, di W. Herschel, si attribuì ai raggi termici una natura diversa da quella dei raggi luminosi e il fatto che il vetro è opaco per l'ultrarosso venne interpretato come una proprietà del calore raggiante prodotto al disotto dei 180° questa radiazione, col crescere della temperatura, si sarebbe trasformata da termica in luminosa. Così il fatto che raggi i quali hanno attraversato il vetro sono da altro vetro della stessa qualità meno assorbiti, veniva interpretato come dovuto ad una specie di polarizzazione che il primo vetro avrebbe prodotto sul fascio e che lo avrebbe reso più atto ad oltrepassare altro vetro della stessa qualità.
Fu merito grande di Macedonio Melloni (1798-1854) di avere con numerose ed eleganti esperienze e con la sua celebre opera La thermochrose ou la coloration calorifique (Napoli 1850), messo in chiaro l'identità della natura dell'energia raggiante con la luce. Da allora il progresso nello studio delle vibrazioni dell'etere ebbe un indirizzo più sicuro, potendosi trattare in egual modo i problemi relativi, tanto al calore raggiante, quanto alla luce, all'ultravioletto e alle altre radiazioni di frequenza minore. Ora lo studio di questo campo è così completo che forse nessun'altra parte della fisica lo supera, per la semplicità e l'esattezza delle leggi che lo governano e che i fisici, dal Melloni a oggi, hanno saputo scoprire.
L'opera di M. Melloni. - Le esperienze del Melloni, che hanno permesso di asserire che l'ultrarosso non è che luce a maggiore lunghezza d'onda, sono numerosissime. Esse furono in gran parte compiute a Parigi, durante il suo esilio, tra il 1832 e il 1837. Egli poté ottenere importanti risultati perché fece ricorso a un apparecchio molto più adatto e sensibile di tutti quelli che fino a lui avevano servito per gli studî del calore raggiante; cioè al notissimo termomoltiplicatore. Questo era costituito da una pila termoelettrica bismuto-antimonio, a molti elementi, che per quasi 50 anni fu l'apparecchio più sensibile che si prestasse a questo studio. La pila era unita a un adatto galvanometro di L. Nobili, molto sensibile: essa si prestava ugualmente bene allo studio sia di un fascio costituito di radiazioni di varie frequenze, esaminato nel suo insieme, sia delle singole radiazioni in cui questo si poteva decomporre per mezzo di un prisma. Nel primo caso si usava una pila con elementi distribuiti su una superficie quadrata, nel secondo caso su un segmento di retta; la prima si chiama pila superficiale, la seconda lineare.
Uno dei primi risultati ottenuti fu la dimostrazione che una stessa sostanza assorbe diversamente i complessi di radiazioni che sono emessi da sorgenti differenti, come avviene per la luce che è assorbita o riflessa (diffusa) diversamente da uno stesso corpo a seconda della sua composizione. Una stessa sorgente può essere portata a temperature diverse ed emette radiazioni diverse tanto in intensità quanto in specie, cosicché è varia la frazione che ne viene assorbita dalla stessa sostanza; il nerofumo assorbe egualmente le radiazioni calorifiche di qualunque sorgente; il salgemma per contro è perfettamente trasparente per tutte le specie di radiazioni. I raggi si propagano rettilineamente in un mezzo omogeneo, si riflettono come la luce e si rifrangono con la legge di Snellius (Willebrod Snell). Tutto ciò il Melloni provò facilmente col dispositivo noto col nome di banco del Melloni.
Lo studio della trasmissione attraverso numerose sostanze gli fece vedere che la trasparenza rispetto ai raggi calorifici varia con la provenienza di questi, cioè con la natura e con la temperatura della sorgente, che dipende dalla sostanza attraversata e non è in relazione con la trasparenza di questa rispetto ai raggi luminosi. Perciò egli chiamò transcalescenza o diatermasia la trasparenza al calore raggiante, diatermica o anche diatermana la sostanza che si lascia attraversare dai raggi termici, adiatermica o anche adiatermana quella che è opaca, e, per l'analogia col comportamento delle sostanze trasparenti colorate con quelle variamente diatermiche, chiamò termocroiche le sostanze che si lasciano attraversare in misura diversa dai raggi provenienti dalle diverse sorgenti e atermocroiche quelle che si lasciano egualmente attraversare da tutti. Così, p. es., lo zolfo, il vetro, il quarzo, ecc. sono termocroiche; il salgemma è atermocroico perché si lascia attraversare completamente da tutte le radiazioni ultrarosse.
Lastre di salgemma gli servirono per provare che persino il corpo umano irradia calore il quale attraverso esse agisce sulla pila termoelettrica.
Egli trovò anche che vi sono sostanze opache alla luce e trasparenti per il calore oscuro, ossia diatermiche, e fra queste il vetro nero in spessore piccolo, le miche nere, il salgemma in uno stato particolare; altre ne furono trovate poi, come una soluzione alcoolica di tintura di iodio e l'ebanite sottile. Per contro, mentre l'acqua nello spessore di un decimetro è, si può dire, perfettamente trasparente per la luce ordinaria, essa è anche perfettamente adiatermica, perché basta uno spessore di due centimetri d'acqua per ridurre tutta l'energia raggiante che l'attraversa a un centesimo di quello che era l'energia incidente.
Che i raggi provenienti da una sorgente costituiscano un fascio eterogeneo, venne provato dal Melloni facendo variare lo spessore di una data sostanza termocroica e misurando la frazione di energia che veniva trasmessa. P. es. se la sorgente è un filo di platino portato a incandescenza nella fiamma dell'alcool, si ottiene che mm. 0,88 riducono la radiazione al 52,8%; ne segue che uno spessore decuplo dovrebbe praticamente annullare la radiazione, perché ogni millimetro la ridurrebbe a meno di metà; invece esso la riduce solo al 26%. Cioè, mentre basta uno spessore inferiore a 1 mm. per ridurre a metà la radiazione emessa dalla sorgente, ne occorrono ben 9 per ridurre a metà quella che ha già attraversato il primo millimetro.
Per comprovare anche più direttamente che, nel complesso, le sostanze si comportano rispetto al calore raggiante come rispetto alla luce, cioè si lasciano attraversare da alcuni raggi e da altri no, raggi diversi dall'una all'altra, egli studiò la trasparenza di alcuni vetri, pei raggi che giungevano a essi dopo aver attraversato sostanze diverse, e vide che uno stesso vetro è più o meno diatermico a seconda che i raggi abbiano attraversato salgemma o allume o vetro nero; proprio come avviene per la luce. Studiando poi le proprietà termiche e luminose di un raggio verde, egli trovò che esse variano di pari passo attraversando i corpi. Se quindi si tien conto che le proprietà termiche si osservano anche nel violetto e crescono gradatamente nello spettro a mano a mano che ci avviciniamo alla luce rossa, conservando sempre le stesse proprietà e proporzioni della luce, raggio per raggio, si può ben conchiudere col Melloni che le vibrazioni luminose sono calore raggiante visibile in virtù delle attitudini dell'occhio e che analogamente il calore raggiante è luce invisibile.
In seguito all'opera del Melloni si fecero rapidamente altri progressi. L'interferenza dei raggi oscuri venne ottenuta prima da J.-L. Fizeau e da P. Foucault nel 1847; questi fisici mostrarono che un termometro posto nelle frange d'interferenza luminose si riscalda nella parte luminosa e resta freddo nella parte scura. Anche col bolometro vennero ripetutamente mostrate le frange d'interferenza ottenute con l'ultrarosso, e così si misurarono le loro lunghezze d'onda, se ne ottenne la polarizzazione, si provò che nello spettro solare le righe di Fraunhofer si presentano anche nell'infrarosso e si riuscì persino a vederle, approfittando di una curiosa proprietà di certe lastre fluorescenti, e a fotografarle con lastre speciali, sensibili all'ultrarosso
Mezzi di ricerca. - Abbiamo già accennato all'apparecchio del Melloni che per mezzo secolo fu lo strumento più adatto per la sua grande sensibilità e per l'esattezza che consentiva nelle misure. La necessità di procedere a studî spettrometrici per i quali, data la loro estrema delicatezza, la pila lineare del Melloni risulta poco sensibile e poco pronta, a causa della sua grande massa che la rende molto inerte, e anche poco adatta per la sua notevole larghezza, indusse il fisico americano S. P. Langley al perfezionamento e all'adozione del bolometro già ideato da G. Svanberg. Questo delicatissimo apparecchio non è altro che una esilissima strisciolina di platino molto sottile, annerita, che costituisce uno dei lati di un ponte di Wheatstone. Esposta alla radiazione la strisciolina si scalda, la sua resistenza cresce e l'equilibrio del ponte viene turbato, di modo che se il galvanometro è molto sensibile e molto pronto si ha un insieme d'una delicatezza enorme, che ha permesso studî accuratissimi sugli spettri di assorbimento e di emissione, capace di rivelare anche la presenza di righe sottili di assorbimento e di quantità piccolissime di energia che sfuggirebbero alla pila lineare del Melloni. Il bolometro ora descritto è detto lineare, e per lo studio delle radiazioni totali, in sostituzione della pila superficiale del Melloni, venne trasformato da O. R. Lummer e F. Kurlbaum in bolometro superficiale, di enorme sensibilità, costituito da una fogliolina di platino sottilissima, annerita, ritagliata a greca, in modo da coprire un quadratino di uno o due cmq.
Radiometro. - È noto il radioscopio di W. Crookes, il caratteristico mulinello che si vede in tutte le vetrine di ottica. C. Pringsheim nel 1883 ne ricavò uno strumento delicato di misura, riducendolo a 2 alette annerite, di cui una colpita dalle radiazioni, sospese a un filo esilissimo, fornite di specchietto di riflessione e tenute nel vuoto; E. F. Nichols e H. Rubens lo perfezionarono nella sospensione, che fu fatta in filo di quarzo e con altri particolari accessorî utili per la sicurezza delle misure. Questo strumento non ha bisogno del galvanometro, ma la sua sensibilità dipende dalla rarefazione dell'aria, che pertanto bisogna sorvegliare con cura.
Altro strumento delicato è il microradiometro, nel quale un'unica saldatura di una pila termoelettrica è esposta alla radiazione; la pila è chiusa in corto circuito su una spira immersa in un campo magnetico intenso, e, con essa, costituisce l'equipaggio mobile di uno dei soliti galvanometri. A. Amerio propose l'adozione della pressione di radiazione come misura assoluta e indipendente dalla rarefazione dell'aria, e B. Del Nunzio l'applicò usando gli apparecchi che servono per misurare detta pressione; il dispositivo è tuttavia meno sensibile dei precedenti.
Considerazioni generali. - Principio di Kirchhoff. - Corpo nero. - L'energia raggiante può essere generata in varî modi: o scaldando un corpo, o eccitandolo elettricamente (scariche nei gas rarefatti), o mediante altra radiazione (fluorescenza), o per azione chimica (fosforescenza), o per attrito (triboluminescenza). Nelle attuali condizioni si è saputo fare uno studio teorico rigoroso solo del primo modo, che costituisce l'emissione per temperatura; tutti gli altri vengono detti emissione per luminescenza. Le considerazioni seguenti valgono per tutte le radiazioni dell'etere emesse per temperatura. Se un fascio di radiazioni colpisce la superficie di separazione di due mezzi, si divide in tre parti: una è rimandata nel primo, una prosegue nel secondo e lo attraversa, la terza viene assorbita. Se prendiamo come unità l'energia incidente, indichiamo con r l'energia riflessa, con t l'energia trasmessa e con a quella assorbita, si ha
e se consideriamo corpi opachi, per i quali è t = 0,
La frazione a vien chiamata potere assorbente, la frazione r potere riflettente del corpo considerato.
I valori di a e di r dipendono dalla natura dei corpi: il nerofumo ben vellutato ha il potere assorbente più grande che si conosca: o,98; l'argento speculare il più piccolo: 0,02; quindi il nerofumo rimanda indietro per diffusione solo 0,02 dei raggi che riceve e l'argento 0'98. Diciamo che mentre il primo è il corpo dotato del massimo potere assorbente, il secondo è quello che ha il massimo potere riflettente. Non esiste dunque un eorpo naturale che abbia un potere assorbente uguale all'unità, vale a dire che assorba completamente tutti i raggi. Un tal corpo sarebbe più nero del nerofumo e lo si chiama perciò corpo assolutamente nero. Se esso non esiste, noi lo possiamo fare con tutta facilità, almeno con quell'approssimazione che vogliamo. Immaginiamo infatti una cavità a pareti annerite internamente con nerofumo, e attraverso una piccola apertura mandiamovi un fascio di raggi. Il fascio, colpendo la parete interna, verrà in massima parte assorbito, in piccolissima parte diffuso; la parte diffusa verrà a sua volta quasi completamente assorbita e, solo per il rimanente diffusa, e così di seguito, finché tutta l'energia entrata sarà stata assorbita, a meno di quella piccola frazione della luce diffusa che è uscita attraverso la piccola apertura. Con potere assorbente 0,9 basteranno sei riflessioni perché l'energia residua sia ridotta a un milionesimo, in quanto alla parte che esce attraverso l'apertura, la possiamo ridurre a una quantità trascurabile; quindi avremo un corpo tanto più nero quanto più nere saranno le pareti e più piccola l'apertura rispetto alla superficie interna. Questo corpo è nero a pareti assorbenti.
Si potrebbe anche avere una cavità sferica internamente speculare, con una pallina annerita nel centro della sfera. Attraverso una piccola apertura entri dell'energia diretta sulla pallina: questa ne assorbe gran parte, il resto va alla parete che la rimanda a essa, e così di seguito. Si ha un corpo nero a pareti speculari. Possiamo averne subito un'idea considerando ciò che avviene della radiazione che si stabilisce entro una cavità qualsiasi a pareti assorbenti, tenute a temperatura uniforme.
Consideriamo precisamente una cavità cilindrica (fig.1) e supponiamo che abbia le due basi A e B perfettamente nere ad una stessa temperatura elevata e la parete laterale perfettamente riflettente. Il sistema sia perfettamente isolato. Se anche tutto ciò non si possa nella pratica verificare a perfezione, i risultati non vengono infirmati. Le due pareti si scambiano energia e tutta quella che da A va verso B è assorbita da questa base, come A assorbe quella che B le invia. Ciò richiede che A e B irradiino sempre la stessa quantità di energia, altrimenti una si raffredderebbe e l'altra si scalderebbe, ciò che è un assurdo termodinamico.
Se chiamiamo potere emissivo di un corpo l'energia che esso emette per centimetro quadrato, possiamo dire che due corpi assolutamente neri devono sempre avere lo stesso potere emissivo. Lo indicheremo con E. Immaginiamo ora di sostituire la base A con un'altra A′ non nera. Sia e il suo potere emissivo. Essa per ogni cmq. irradierà verso B l'energia e che B assorbe integralmente, ma B continua a mandarne la solita quantità E. Di questa A′ ne assorbe aE e ne emette e; dunque, perché non vi siano variazioni di temperatura, deve essere
ossia
vale a dire il rapporto fra il potere emissivo di un corpo e il suo potere assorbente è uguale al potere emissivo del corpo perfettamente nero; in conseguenza esso è un rapporto che non dipende dalla natura del corpo. Osserviamo che dell'energia E che cade su A′ questa ne riflette la frazione rE, e pertanto si deve avere
ciò che è identicamente vero perché
e che da A′ va verso B l'energia
Vale a dire che tanto in un senso quanto nell'altro procede la radiazione E, come se entrambe le basi fossero nere. Lo stesso avviene se anche la base B non è assolutamente nera. Se infatti in luogo della base B nera ne poniamo una B′ non nera, ma alla stessa temperatura, essa irradierà verso A′ col potere emissivo e′; ora A′ continua a emettere e, quindi per non raffreddarsi deve ancora assorbirne quanto prima, ossia aE, cioè la base A′ continua a ricevere dalla B′ l'energia E, che essa, come abbiamo già visto, rimanda a B′. A sua volta, B′ ne assorbe a′E e riflette r′E, cioè in tutto ne manda verso A′
come si era visto dovesse avvenire. Ne risulta una conseguenza molto importante, che cioè entro al cilindro immaginato, anche se le basi non sono assolutamente nere, si propaga la radiazione stessa che si avrebbe se esse e tutto il cilindro fossero perfettamente assorbenti. Si noti che una delle basi potrebbe essere perfettamente speculare: la cosa non cambierebbe affatto. E che la parete laterale potrebbe essere sostituita da una superficie assorbente alla temperatura T. Si presentano così di nuovo i due tipi di corpi neri, a pareti assorbenti e a pareti speculari, come già avevamo visto per l'assorbimento. La relazione
costituisce il principio di G. R. Kirchhoff che è fondamentale per l'emissione di temperatura: il potere emissivo di un corpo qualunque è direttamente proporzionale al suo potere assorbente, e poiché il potere assorbente massimo è quello del corpo assolutamente nero, questo avrà anche il massimo potere emissivo. Importantissimo è il fatto che il principio di Kirchhoff vale anche per le singole radiazioni in cui può scompori l'energia che viene irradiata da un corpo, per cui indicando con l'indice λ le grandezze solite, riferite all'onda di lunghezza λ, si ha
vale a dire anche il rapporto fra il potere emissivo di un corpo qualunque, per una qualunque lunghezza d'onda, e il suo potere assorbente per la stessa onda, è costante ed è uguale al potere emissivo che il corpo perfettamente nero ha per la stessa lunghezza d'onda. Esso non dipende che dalla temperatura del corpo. Un corpo nero emette dunque, sia totalmente, sia per le singole radiazioni, più energia di qualunque altro corpo.
Pressione della luce. - Dimostriamo ora una proprietà generale, propria di tutte le radiazioni tanto trasversali quanto longitudinali. Essa fu trovata teoricamente da A. Bartoli e da C. Maxwell per vie diverse.
Si abbia un cilindro a pareti speculari, con le basi assorbenti A e B (fig. 2); queste abbiano le temperature T1 e T2 tali che
Un tramezzo si perfettamente speculare, che immagineremo possa scorrere senza attrito e a perfetta tenuta, divida il cilindro in due ambienti; a sinistra regnerà la radiazione corrispondente alla temperatura T1, a destra quella corrispondente alla T2. Chiamiamo densità della radiazione la quantità di energia contenuta nell'unità di volume. A sinistra avremo la densità d1, a destra d2 e naturalmente sarà
Introduciamo ora vicino alla base B un altro schermo s2, come il precedente. Il cilindro sarà diviso in tre parti: a sinistra regnerà la densità d1, a destra la d2, mentre nel centro resterà imprigionata l'energia con la densità d2. E ora spostiamo lo schermo s2 verso s1. Nello spazio di destra la base B ristabilirà la densità d2 che altrimenti diminuirebbe per l'aumento di volume; nella parte centrale la densità andrà creseendo fino a raggiungere il valore d1. Raggiunto questo valore togliamo lo schermo s2 e continuiamo a spostare s2 a sinistra; la radiazione aumenterebbe di densità se non ci fosse la sorgente A che assorbe l'eccesso, perciò essa si mantiene alla densità d1. Allorché lo schermo s2 è giunto al posto che prima era occupato da s1 fermiamolo. Il sistema è ritornato nelle condizioni iniziali, però del calore è passato dalla sorgente B alla sorgente A. Ma, per l'ipotesi fatta, questa è più calda e perciò del calore passa dal freddo al caldo, ciò che è assurdo pensare senza che ci sia un compenso. Il Bartoli pensò che questo fosse dovuto al fatto che per spostare lo schermo si facesse un lavoro, ossia si vincesse una pressione esercitata su di esso dalla radiazione. Questa pressione viene detta di Bartoli-Maxwell o anche pressione di radiazione.
È facile vedere che quando la radiazione sia egualmente distribuita in tutte le direzioni, questa pressione è i 2/3 della densità dell'energia incidente allorché si tratti di una superficie riflettente e 1/3 se si tratta di pareti assorbenti. E, se si tien conto che l'energia riflessa si aggiunge all'incidente nello spazio davanti la superficie colpita, la pressione è 1/3 della densità dell'energia che si trova davanti la superficie colpita.
Il Bartoli tentò inutilmente di verificare con l'esperienza questa deduzione. Vi riuscì P. Lebedeu nel 1900 con un apparecchio di cui si comprende presto il funzionamento. Un sistema di alette, come nel radiometro, è sospeso a un filo di quarzo; alcune sono annerite, altre sono speculari; il sistema è fornito del solito specchietto per l'osservazione e si trova in un'ampolla di vetro nella quale si può fare un vuoto molto spinto. Finché la rarefazione non è molto avanzata, si osserva il solito effetto radiometrico, quindi prevale la forza che agisce sulla superficie annerita, ma poi, oltrepassato un certo limite, l'effetto radiometrico diminuisce fino a diventare trascurabile e prevale la pressione la quale è maggiore sulla superficie riflettente anziché su quella assorbente, per cui la rotazione s'inverte.
Altri fisici cercarono di eliminare l'effetto radiometrico, che in generale è di gran lunga prevalente. Così G. F. Hull procedette disponendo, in luogo di ogni aletta, 4 vetrini da microscopio paralleli, i due esterni puliti e scostati dai due interni di pochi decimi di mm.; dei due interni l'uno è argentato da una parte, l'altro annerito, e la faccia argentata e la faccia annerita sono in contatto. I raggi, dopo aver attraversato un sistema di lenti, colpiscono il primo vetrino e lo attraversano, si riflettono sull'argento del secondo vetrino e tornano indietro; oppure colpiscono la faccia annerita e ne sono assorbiti. In entrambi i casi l'effetto radiometrico che si manifesta o sulla superficie di argento o su quella di nerofumo è annullato dal fatto che le molecole del gas residuo rimbalzano sulla superficie riscaldata, la respingono, ma vengono a battere contro il vetrino anteriore e vi esercitano una forza eguale e contraria. J. H. Poynting utilizzò la riflessione totale. L'Amerio si servì del diverso comportamento della luce polarizzata nella riflessione sul vetro, a seconda cioè che sia polarizzata nel piano d'incidenza o nel piano perpendicolare. Nel primo caso la luce si riflette tutta, nel secondo passa tutta; nel primo caso essa esercita la sua pressione, nel secondo no. Così gli effetti radiometrici venivano eliminati. Altro metodo dell'Amerio consiste nel far riflettere la luce su una superficie cilindrica, girevole intorno al proprio asse mediante sospensione con filo di quarzo; la superficie è ottenuta con lamina sottile di alluminio e l'incidenza è eccentrica; in questo modo l'effetto radiometrico che è normale alla superficie, non avendo nessuna componente tangenziale, non contribuisce alla rotazione medesima la quale è esclusivamente dovuta alla componente tangenziale della pressione della luce. Le misure fatte hanno confermato i valori teorici di 1/3 e di 2/3 della densità incidente, a seeonda che la superficie colpita sia assorbente o riflettente; ciò fa sì che p. es. la radiazione che giunge dal sole produca una pressione di circa mezza dine per mq. di superficie assorbente, ossia di 6,3 × 105 tonnellate sulla terra, il che non è altro che circa 10-21 della forza di gravitazione, cioè è assolutamente trascurabile.
Leggi teoriche della radiazione. - Legge di Stefan-Boltzmann. - La pressione della luce, dimostrata teoricamente dal Bartoli e dal Maxwell e confermata sperimentalmente, è fondamentale per la teoria della radiazione. Infatti un grande progresso si fece allorché si tenne conto di essa e si applicarono alle radiazioni per temperatura i principî della termodinamica. Si abbia un volume v racchiuso tra pareti speculari e contenenti una radiazione di densità ρ e pressione p. L'energia posseduta dal sistema è una funzione del volume e della temperatura ed è data dal prodotto vρ. Una quantità dQ di calore infinitesima, ceduta al sistema, iaccia variare il volume della quantità dv e l'energia interna di dU. Si avrà
ma
quindi
e la variazione di entropia sarà:
Poiché il differenziale dell'entropia è esatto, sarà soddisfatta la nota condizione
ossia
da cui semplificando e separando le variabili
e infine integrando
Dunque la densità dell'energia cresce con la quarta potenza della temperatura assoluta. Questa è la densità della radiazione nera racchiusa nell'ambiente considerato ed è anche la densità dell'energia irradiata da un corpo assolutamente nero, portato alla temperatura T. La legge dimostrata era stata scoperta da G. Stefan, facendo l'esame di certe esperienze di G. Tyndall, la dimostrazione teorica si deve a L. Boltzmann e si chiama perciò legge di Stefan-Boltzmann.
La sua dimostrazione teorica, rigorosa, le ha dato importanza di legge fondamentale per l'irradiamento totale nell'emissione per temperatura. Essa ha liberato il campo dalle numerose altre leggi empiriche ed errate di I. Newton, P. L. Dulong e A. Petit, D. Rossetti, ece., e sebbene valga solo per il corpo nero, è una guida importantissima nello studio delle radiazioni di temperatura dei corpi reali. Infatti, posto
e ammesso che il corpo sia in un ambiente nero a temperatura t, ciò che si può pensare facilmente, si ha che tra corpo e ambiente avviene uno scambio di energia nella quantità
nella quale il termine correttivo q = σt4 svanisce rapidamente col crescere della temperatura del corpo irradiante. Infatti per t = 0° C. ossia 273° assoluti, e per T = 100° C., ossia 373° assoluti, si ha T4 = 192.108 e t4 = 55.10,8 e cioè il termine correttivo è circa 1/4 dell'altro, ma per T= 500° C., cioè 773 assoluti, si ha già T4 = 3570,108 cosicché il termine in t4 è ridotto a 1/60 dell'altro. Ora spesso noi riusciamo a ottenere nell'industria, dei corpi neri: p. es. la bocca di un forno la cui temperatura sia uniforme è un corpo nero e la radiazione che ne esce, emessa da tutti i corpi contenuti nel forno, è una radiazione nera che segue la legge di Stefan-Boltzmann.
Se il corpo non è chiuso in cavità a temperatura uniforme, ma è libero, può darsi che sia dotato di un potere assorbente indipendente dalla temperatura, e allora la sua radiazione crescerà ancora in ragione della quarta potenza della temperatura e sarà solo questione di una differenza nella costante di emissione che si potrà determinare studiando il potere assorbente del corpo. Meno facile è la cosa quando il potere assorbente non sia costante, ciò che porta ad ammettere la seguente relazione
dove a è un esponente superiore a 4 se il potere assorbente cresce con la temperatura, ciò che si verifica in generale, altrimenti è minore di 4. P. es. per il platino si ha all'incirea α = 5.
La costante della legge di Stefan-Boltzmann fu determinata con molta cura da varî fisici. Le prime determinazioni importanti sono di F. Kurlbaum e consistettero nell'esporre alle radiazioni reciproche due corpi neri, uno freddo e uno caldo, dei quali le temperature erano ben note; egli ottenne per σ il valore
Altre furono fatte da G. Féry, E. Bauer e M. Moulin, M. Drecq, L. Puccianti, M. Kahanowicz, con risultati compresi fra 5,3.105 e 6,5.105. Dalla loro discussione risulta che il valore più probabile è
Per il carbone risulterebbe σ = 2,95.105, per tutte le temperature, mentre per altri corpi bisogna variare il valore della potenza di T, per mantenere σ costante.
Legge del coseno o di Lambert. - Se un corpo è esposto a un fascio di raggi, ne assorbe una quantità che dipende dall'area colpita. Se quindi ϕ è l'angolo compreso fra la normale alla superficie e la direzione dei raggi, detta I la loro intensità, e supposto che tutta la superficie sia sempre investita dal fascio, la quantità incidente è
Ammesso che il potere assorbente a non dipenda dall'inclinazione, la quantità assorbita sarà:
In generale per i corpi, p. es. per il platino e per il tungsteno, il potere assorbente dipende dall'inclinazione, ma per alcuni corpi, a es. il carbone, no. Così un filo di platino e di tungsteno hanno un potere assorbente massimo normalmente e minimo tangenzialmnente, invece il carbone assorbe ugualmente in tutte le direzioni.
Per un corpo nero è sempre a = 1, quindi
ossia l'assorbimento è proporzionale al coseno dell'angolo di incidenza. Per il principio di Kirchhoff il potere emissivo è proporzionale al potere assorbente, quindi, detto E il potere emissivo in direzione normale ed Eϕ nella direzione ϕ, si ha
ossia il potere emissivo del corpo nero è proporzionale al coseno dell'angolo fatto dalla normale alla superficie con la direzione dei raggi emessi.
Per quanto si è detto circa i poteri assorbenti, questa legge vale per il carbone dove E indichi il suo potere emissivo, e infatti il cratere del carbone positivo la segue molto bene; . mentre, essa non, e più vera per i corpi nei quali il potere assorbente varii con l'angolo d'incidenza e per essi l'emissione sarà data da
come si verifica nell'emissione del platino e del tungsteno.
Legge del quadrato della distanza. - Si verifica molto facilmente, direttamente ricorrendo a una piccola sorgente e ponendo la pila termoelettrica a distanze varie: le deviazioni del galvanometro sono in ragione inversa dei quadratî delle distanze; o anche indirettamente facendo cadere, come fece il Melloni stesso, mediante un cono riflettente i raggi provenienti da una parte della sorgente, o mediante uno specchio concavo parte dell'immagine della sorgente sulla pila termoelettrica. Finché la distanza è tale che il prolungamento del cono non esca dalla superficie della sorgente o che tutta la pila termoelettrica sia sempre coperta dall'immagine di essa, supposto che questa abbia temperatura uniforme, le deviazioni della pila sono indipendenti dalla distanza, perché col crescere di questa, mentre diminuisce con la legge del quadrato l'intensità della radiazione, aumenta, pure nella stessa misura, l'area della sorgente i cui raggi colpiscono la pila.
Legge di Kirchhoff-Clausius. - G. R. Kirchhoff prima, nel 1860 e poi R. Clausius dimostrarono che il potere emissivo e il potere assorbente sono proporzionali al quadrato dell'indice di rifrazione del mezzo ambiente.
Icilius Quintus verificò sperimentalmente questa legge paragonando l'emissione del rame annerito e caldo nell'anidride carbonica e nell'idrogeno. Lo stesso fece M. Smolukowsky de Smolan.
Applicazioni della pressione della luce. - Alla pressione della luce si attribuisce una grande importanza in molti fenomeni che avvengono nell'universo. Essa appare come la forza antagonista dell'attrazione universale, e si può dire che, mentre questa è la causa della formazione degli astri e ne regola i moti, quella li disfà, allorquando la loro temperatura è sufficientemente elevata. Infatti è facile calcolare che se si ha una particella di peso specifico 1, nera, col diametro di un μ, la pressione della luce solare è superiore all'attrazione esercitata dal sole, e poiché entrambe variano col quadrato della distanza dal sole, la pressione si manterrà sempre superiore all'attrazione, e perciò la particella, qualora fosse libera da ogni altra azione, si allontanerebbe sempre più dal sole con moto accelerato. Un moto radiale di materia vicino al sole è mostrato dai pennacchi della corona solare; questi sono costituiti da particelle in moto di avvicinamento o di allontanamento, sulle quali si riflette e si diffonde la luce solare. Esse possono abbandonare il sole, raggiungendo altri corpi celesti; attraversando o penetrando nell'atmosfera terrestre dànno luogo a variazioni dell'elettricità atmosferica, a fenomeni magnetici, alle aurore polari. La pressione della luce respinge la chioma delle comete dal sole, sicché la chioma segue la cometa nel moto di avvicinamento all'astro centrale e la precede nel moto di allontanamento. Se ciò che noi abbiamo detto come prodotto della pressione della radiazione solare lo estendiamo a tutte le stelle, molte delle quali hanno una radiazione molto più intensa del sole, vediamo che la pressione della luce deve avere effettivamente un'importanza immensa nell'evoluzione dell'universo.
Legge di Draper. - La teoria di Kirchhoff portava alla conclusione che è sintetizzata dal suo principio. Egli la spinse oltre e ritenne di poterne ricavare ciò che l'esperienza quotidiana insegna. Quando noi scaldiamo un corpo, esso emette sempre più intensamente l'energia raggiante di tutte le frequenze; ma mentre cresce l'energia emessa, si presentano continuamente nuove radiazioni, per cui a poco a poco il corpo da scuro diventa incandescente: prima rosso, poi giallo, poi bianco e allo spettroscopio si vede crescere l'intensità dei varî calori e contemporaneamente allungarsi lo spettro dalle due parti, ma di più verso l'azzurro, il violetto e poi anche l'ultravioletto. Il Kirchhoff riteneva che, col crescere della temperatura, nuove radiazioni venissero emesse, le stesse per tutti i corpi, e con intensità proporzionali ai loro poteri emissivi.
Il Draper ne dedusse che tutti i corpi avrebbero dovuto cominciare a emettere le radiazioni luminose alla stessa temperatura e quindi diventare tutti luminosi raggiunta questa temperatura. Egli fece delle esperienze ponendo corpi dotati di varî poteri emissivi in una canna di ferro, che scaldò gradatamente su un fornello. Vide che tutti i corpi posti nell'interno della canna e le pareti di questa diventavano luminose contemporaneamente. Ma l'esperienza era mal condotta: l'insieme costituiva un vero corpo nero e quindi essa indicava soltanto che varî corpi, posti in una cavità a pareti assorbenti, emettevano tutti come corpi neri. È ovvio che un corpo diventi visibile quando la quantità di luce che emette supera la soglia della visibilità, e questo minimo viene raggiunto tanto più presto quanto maggiore è il potere emissivo; è ciò che è stato provato da varie esperienze, tra le quali quelle di Amerio, secondo cui il corpo nero sarebbe visibile per un occhio ben assuefatto all'oscuro a 410°, il platino platinato a 422°, il platino pulito a 443° l'oro a 460°, l'argento a 469°.
Distribuzione dell'eneagia nello spettro. - Risulta dalle esperienze di S. P. Langley e di altri che, se si studia come è distribuita l'energia nello spettro di un solido, si trova che essa parte da zero per onde brevi (fig. 3), cresce con la loro lunghezza fino a un massimo e poi decresce tendendo a zero. Gli estremi dello spettro si spostano verso l'esterno col crescere della temperatura, mentre il massimo cresce d'intensità si sposta verso il violetto. Il problema fu tentato teoricamente da molti fisici e per un certo tempo sembrava che l'importanza della deduzione stesse nell'importanza del risultato stesso, di per sé certo molto grande, di determinare cioè con esattezza la distribuzione dell'energia nello spettro del corpo nero; in seguito si vide che si trattava di un problema che involgeva alcune delle basi stesse delle nostre concezioni fisiche, le sottoponeva a una revisione profonda e finiva poi per scardinarle, sostituendole con nuove e più feconde concezioni. Non riferiamo pertanto tutti i tentativi più o meno fortunati, e cominciamo senz'altro dai risultati più importanti ottenuti da W. Wien nel 1894
Consideriamo un cilindro a pareti perfettamente speculari nel quale sia rinchiusa una radiazione nera avente la temperatura T. Nel cilindro regnerà una certa pressione e una certa densità di energia. Si sposti una delle basi del cilindro, diminuendo il volume; aumenterà la densità dell'energia, quindi aumenterà la sua temperatura per la legge di Stefan, mentre diminuirà la lunghezza d'onda per l'effetto Doppler (v.); cosicché il nuovo spettro avrà un'altra distribuzione dell'energia: il massimo sarà spostato verso le lunghezze d'onda minori. Più precisamente W. Wien dimostrò che, indicando con λm la lunghezza dell'onda che è emessa col massimo di energia, il prodotto λmT deve essere costante; il suo valore per λ espresso in μ e T in scala assoluta centesimale è λmT = 2900. Tale massimo deve poi crescere in ragione della quinta potenza delle temperature assolute, o anche, per la relazione precedente, in ragione inversa della quinta potenza della lunghezza d'onda corrispondente. Egli pervenne infine alla relazione
cioè che l'energia emessa è funzione della quinta potenza della temperatura assoluta, o della lunghezza d'onda e del prodotto λT. Il Wien credette poi di potere stabilire la legge seguente:
dove C e c sono due costanti ed e è la base dei logaritmi naturali. Per parecchi anni questa espressione venne considerata esatta, per quanto nella sua deduzione venissero trovati alcuni errori, ma le esperienze di Lummer e Pringsheim mostrarono che è soltanto approssimata.
Se infatti consideriamo come varia l'energia con la quale è emessa un'onda di lunghezza costante al crescere della temperatura, secondo la legge di Wien si dovrebbe avere
da cui
e se quindi si prendono come variabili
la linea rappresentatrice dell'andamento dell'energia in funzione della temperatura, o isocromatica, è una retta. Orbene, le esperienze sopraddette di Lummer e Pringsheim, fatte nel 1899, provarono che le isocromatiche sono curve, specialmente pronunziate per grandi valori di λT (secondo F. Paschen, fino a che questo prodotto non superi 3000, la legge di Wien va abbastanza bene). Essi si servirono di un corpo assolutamente nero, fatto con un tubo di carbone da lampade ad arco, che portavano all'incandescenza con la corrente elettrica e guardavano nel senso dell'asse, attraverso strette aperture. In seguito ai loro risultati fu necessario abbandonare la legge di Wien.
M. Planck arrivò presto alla sua celebre formula che è molto affine a quella di Wien
dove
e v = 3.1010 cm./sec. è la velocità della luce nel vuoto,
Questa legge ha avute tutte le conferme, ma per giungere a essa il rlanck, pure partendo dai classici principî della teoria elettromagnetica della luce, dovette fare un'ipotesi arditissima e piena di conseguenze. Egli considerò il corpo nero come un insieme di oscillatori elettrici, ma, contro ogni concetto del suo tempo, ammise che l'energia irradiata non variasse con continuità, bensì solo di quantità finite. Ogni oscillatore irradia una quantità di energia proporzionale alla frequenza, tale che
dove h è la costante della formula precedente. Così nacque la teoria dei quanti, che accolta dapprima con palese ostilità si impose a poco a poco, e ora si può dire che trionfi in tutti i campi delle radiazioni dell'etere.
L'impossibilità di dedurre una forma che soddisfacesse ai risultati sperimentali, senza ricorrere all'idea della discontinuità dell'emissione, risultò palese dopo varî tentativi, tra i quali quelli di H. Lorentz. Questi lo portarono nel 1908 alla seguente espressione
secondo la quale l'energia irradiata a una certa temperatura deve crescere con la quarta potenza della frequenza. Nessun risultato sperimentale appoggia questa deduzione, né è possibile ammettere per le grandi frecluenze un decrementv tale del potere assorbente da rendere impossibile la costituzione di un corpo che per esse sia abbastanza nero. Per conseguenza fu necessario ammettere la validità della legge di Planck e accettare l'ipotesi dei quanti, indispensabile per la sua logica deduzione.
Dai risultati sperimentali e dalla legge di Planck si ricava una delle buone deduzioni del numero N di Avogadro. Infatti, tra le varie costanti che compariscono nella deduzione della formula di Planck, c'è la relazione
dove h = 6,55.10-27; R = 8,31.107 erg/sec. = costante dei gas; v 3 = × 1010; λm T = 2900 e si ottiene
Si può pure studiare quale sia il rendimento luminoso di una sorgente nera, definendolo come il rapporto tra l'energia irradiata sotto forma di luce e la totale energia irradiata dalla sorgente, ossia
e ne risulta un andamento crescente con la temperatura assoluta fino a un massimo, che si ha verso 7200° (si noti che questa è all'incirca la temperatura del sole). Questo massimo ammonta al 56,6%. Il risultato è importante, perché distoglie dall'idea di poter avere sorgenti di luce vantaggiose ricorrendo ai corpi neri, non potendosi per ora pensare di giungere a temperature così elevate. Alla temperatura del cratere dell'arco voltaico questo rendimento è già solo del 29%. Caratteristica è questa conseguenza; se si considera l'energia irradiata per le onde più brevi fino a quella che è emessa col massimo, si trova che essa è sempre un quarto dell'energia totale.
Radiazioni a grande lunghezza d'onda. - Un metodo che ebbe notevole influenza sul progresso di questo capitolo della fisica fu quello scoperto da H. Rubens e E. F. Nichols nel 1897. Il potere riflettente di un corpo dipende dall'indice di rifrazione n e dall'angolo di incidenza; per incidenza normale è
che per il vetro crown, essendo n = 1,5, è o,04; esso cresce con l'angolo d'incidenza. Ora n è alla sua volta legato col potere assorbente, e precisamente cresce notevolmente in vicinanza deìla zona di assorbimento, per cui in questa regione cresce anche, in modo anormale, il potere riflettente. Se per conseguenza mandiamo un fascio di raggi a riflettersi contro una certa inclinazione su due superficie levigate di due lamine di salgemma disposte parallelamente, in modo che i raggi passino dall'una all'altra ripetutamente, data la generale piccolezza di n, dopo 5 o 6 riflessioni il fascio si è ridotto praticamente a zero, salvo che per quei raggi che, essendo fortemente assorbiti dal salgemma, vengono fortemente riflessi. Cosicché del fascio dopo le varie riflessioni rimangono quei raggi che sono più fortemente riflessi. Il loro insieme costituisce i cosiddetti raggi residui. Le misure interferenziali fatte sui raggi riflessi dal salgemma hanno dato come lunghezza d'onda 51,2 μ, per cui questa sostanza, che pareva atermocroica, mentre è perfettamente trasparente per tutta la luce e l'ultrarosso fino a 13 μ, comincia per questi raggi a presentare una leggiera opacità che cresce e raggiunge il massimo per λ = 51,2 μ; con la silvina il massimo si ottiene per λ = 61,1; col bromuro di potassio 86,5; con l'ioduro di potassio 96,4.
Raggi di maggiore lunghezza d'onda vennero dimostrati con altro metodo da H. Rubens e R. W. Wood. Questi fisici, concentrando i raggi di una reticella Auer con lente di quarzo attraverso fogli di carta nera, riuscirono a mostrare col radiometro l'esistenza di radiazioni oscure le cui onde erano lunghe 108 μ. Per esse il nerofumo risultò trasparente. Con lo stesso metodo H. Rubens poté dimostrare che una lampada a vapore di mercurio in quarzo, fortemente eccitata, emette raggi di lunghezza d'onda di 314 μ, che sono i più lunghi che si conoscano tra le radiazioni termiche. È molto importante l'osservare che il Nichols è riuscito con scariche oscillatorie a ottenere onde di 200 μ, di modo che c'è l'intervallo compreso fra 200 e 314 μ che si può ottenere tanto con riscaldamento, quanto con le scariche elettriche!
Altra conferma della natura elettromagnetica dell'infrarosso venne ottenuta da Rubens e Nichols col metodo dei raggi residui, eseguendo questa bellissima esperienza. Facendo riflettere un fascio di energia raggiante su lamine di fluorina, essi ottennero un fascio omogeneo di onde lunghe 24,4 μ, che polarizzavano facendole riflettere su una lastra di vetro, indi lo mandavano sopra un particolare riflettore che le rinviava su un radiometro. Il riflettore era fatto con tanti rettangoletti d'argento, lunghi 24,4 μ larghi 5,5 μ. Se le vibrazioni avvenivano parallelamente alla maggiore lunghezza, venivano in gran parte riflesse; se avvenivano perpendicolarmente, la parte riflessa era minima; ciò come se le striscioline fossero tanti risuonatori elettrici, adatti alla lunghezza d'onda di 24,4 μ, e le vibrazioni riflesse dalla fluorina fossero oscillazioni elettriche di questa lunghezza d'onda.
Pirometria. - Un'importante applicazione delle leggi teoriche delle radiazioni per temperatura è stata l'estensione della scala delle temperature. Infatti, dimostrata teoricamente la validità della legge di Stefan-Boltzmann
deduciamo
che ci permette di dedurre le temperature dalla misura dell'energia inadiata da un corpo nero, senza limitazione nella temperatura stessa che non sia imposta dalla sorgente e con una grande esattezza, perché gli errori della misura del calore Q si riducono a un quarto nella deduzione della temperatura. È precisamente l'applicazione di questa legge alla radiazione totale della fotosfera solare che ha permesso ad A. Amerio di dedurre per questa la temperatura di 6830°. Altra estensione si fa mediante la legge di Wien
applicando la quale allo spettro della fotosfera solare si è dedotto T = 6900. E infine si può applicare ognuna delle due leggi della distribuzione dell'energia nello spettro di Wien o di Planck, il che si può fare indifferentemente nella pratica, perché esse sono equivalenti fino a quando il prodotto λT non superi 3000. Sulla legge di Stefan-Boltzmann sono fondati i cosiddetti pirometri a radiazione totale (v. pirometro): e sulle due ultime leggi sono fondati i varî tipi di pirometri ottici nei quali viene esaminato l'andamento di una isocromatica.