ELETTRICA, ENERGIA.
Sommario: Generalità (p. 637). - Centrali: Generalità (p. 638); Centrali termoelettriche con motrici a vapore (p. 638); Centrali geotermiche (p. 641); Centrali a due fluidi (p. 641); Centrali termoelettriche con motrici a combustione interna (p. 642); Centrali idroelettriche (p. 643); Generatori elettrici delle centrali (p. 652); Apparecchiatura delle centrali (p. 656); Sottostazioni elevatrici annesse alle centrali di produzione (p. 660); Centrali di conversione (p. 661); Esercizio delle centrali indipendenti e dei gruppi di centrali (p. 662); Studio dell'utilizzazione dei corsi d'acqua (p. 662). - Linee (p. 664). - Reti Di distribuzione (p. 668); Consumo dell'energia (p. 672). - Industria (p. 672); L'industria in Italia (p. 678); - Diritto (p. 684).
Generalità. - L'energia meccanica di cui per natura dispone l'uomo è ben poca. Un motore elettrico che assorba 1/4 di kWh di energia elettrica compie, all'incirca, il lavoro massimo che può esser compiuto in una giornata lavorativa da un uomo valido e di buona volontà il quale muova una macchina - p. es. un argano - rimanendo in condizioni da poter riprendere il lavoro per un gran numero di giorni successivi. Per brevi periodi e in condizioni particolarmente favorevoli, l'uomo è in grado di fornire un lavoro maggiore che, però, in una giornata lavorativa raramente supera quello d'un motore che assorba 0,8 kWh. Nelle società che sapevano utilizzare soltanto il lavoro umano e quello degli animali domestici - tenuto conto delle donne, dei vecchi e dei bambini che non potevano assolutamente fornire un lavoro paragonabile a quello dell'uomo valido - era molto se ogni abitante disponeva in media di 1/10 di kWh al giorno.
Fu soltanto nel secolo passato che la macchina a vapore cominciò a cambiare veramente la faccia del mondo, affiancando utilmente l'energia manuale; però soltanto nella grande industria, soltanto cioè dove era possibile, per il bisogno di potenze ingenti in brevissimo spazio, di provvedere localmente all'installazione e all'esercizio di un impianto motore.
Nel caso, poi, dell'energia idraulica, che l'uomo utilizzava da secoli, sebbene in scala ridotta, la necessità di rimanere attaccati con la macchina operatrice all'impianto motore confinava i mulini, le segherie, le cartiere nell'ombra e nell'umidità delle gole più anguste, e costringeva a lasciare inutilizzate le disponibilità di maggiore importanza.
Tutto ciò perché, se era risolto nelle sue linee fondamentali il problema della produzione dell'energia sia con macchine termiche sia con macchine idrauliche, il problema complementare della trasmissione e della distribuzione dell'energia prodotta era ancor lungi dall'essere risolto. Esso non poteva essere allora affrontato che meccanicamente e, pure nell'ambito d'un singolo stabilimento, con enorme sperpero d'energia e con un ingombro ancora maggiore. Chi voleva portare la macchina operatrice a qualche centinaio di metri dalla motrice doveva ricorrere a complicate trasmissioni a fune metallica, e a costosissime trasmissioni idrodinamiche per raggiungere l'eccezionale limite di qualche chilometro.
Con lo sviluppo crescente delle industrie s'incominciarono a utilizzare le reti di tubazioni del gas illuminante per alimentare motori a scoppio, di esercizio costoso e incomodo.
L'elettricità, a partire dagli ultimi decennî del secolo scorso (v. elettrotecnica), ha risolto definitivamente e completamente il problema di fornire l'energia a domicilio dell'utente e ha dato inoltre nuovo e più vigoroso impulso al passaggio dalla civiltà a base manuale alla civiltà a base meccanica dei giorni nostri.
Prima dell'avvento industriale dell'elettricità, per muovere un argano con una motrice posta a una certa distanza, sarebbe occorso munire motrice e argano d'una puleggia e riunire le due pulegge con una cinghia. Oggi, invece, si monterebbe sull'asse della motrice una dinamo, si accoppierebbe all'argano (preferibilmente attraverso un riduttore di velocità) un motore elettrico e si completerebbe il circuito fra generatore e motore con un conveniente numero di conduttori. Messo in funzione il gruppo generatore e avviato il motore tutto avverrebbe come quando motrice e argano erano accoppiati per cinghia: come allora, a seconda del carico da sollevare, la motrice tenderebbe ad essere più o meno frenata e, supposta costante la velocità per l'azione d'un adatto regolatore, svilupperebbe una potenza più o meno grande, ma automaticamente corrispondente a quella richiesta dall'argano.
In tal modo - sebbene con maggior complicazione di organi, maggiore spesa d'impianto, maggior onere di sorveglianza e di manutenzione - la distanza interposta può essere senza confronto maggiore e il cammino da coprire comunque accidentato; soprattutto il medesimo gruppo generatore può servire contemporaneamente a migliaia di lampade e di macchine diverse e, finalmente, ciascuna di queste macchine e di queste lampade può essere messa in funzione o fermata o spenta con la manovra più semplice e senza interferire praticamente col funzionamento delle altre. E se poi il gruppo finisce per diventare insufficiente, è possibile affiancargliene un secondo anche distante centinaia di chilometri, senza affatto variare le condizioni di utilizzazione delle macchine e delle lampade. Inoltre, l'indipendenza di funzionamento accennata permette di distinguere il consumatore dal produttore e dal distributore, tutto riducendosi, nel caso più comune, al pagamento da parte dell'utente dell'energia consumata.
Si è fatto incidentalmente parola di lampade, e difatti gl'impianti elettrici, come al loro tempo le distribuzioni del gaz, hanno iniziato la loro esistenza col servizio dell'illuminazione, che al principio era considerata un lusso, ma poi è diventata un'esigenza comune contribuendo potentemente allo sviluppo degl'impianti elettrici anche in quelle zone, dove difficilmente avrebbero potuto sorgere per mancanza di un'adeguata richiesta d'energia elettrica per forza motrice.
Questa attitudine dell'elettricità a trasmettere e a distribuire l'energia e a trasformarsi in seguito agevolmente in energia meccanica, in luce o in calore, permettendo la concentrazione della produzione dell'energia in centrali termoelettriche sempre più grandiose e l'utilizzazione di forze idrauliche, altrimenti trascurate perché o troppo ingenti o troppo remote, ha messo a disposizione del mondo civile quantitativi mai visti d'energia, non più soltanto a beneficio della grande industria, ma anche del più modesto artigianato e della generalità della popolazione.
Si pensi che, tenendo conto della sola energia prodotta negl'impianti elettrici - astraendo, quindi, da quella individualmente messa in giuoco con macchine termiche nella trazione a vapore, nella navigazione, nell'automobilismo, nell'aviazione - l'energia per abitante e per anno si avvicina in Italia a 300 kWh. Supera cioè quella che può sviluppare un uomo robusto, che ogni giorno faccia un'arrampicata di 4000 m., ed è certamente almeno decupla di quella sviluppata dal complesso della popolazione. Si pensi che il consumo medio annuo per abitante supera in alcuni paesi (soprattutto in conseguenza dell'esercizio di grandi industrie elettrochimiche), per es., in Svizzera, i 1000 kWh per abitante. Anche esteso il computo alla popolazione mondiale non si va lontano dai 100 kWh. Ciò spiega la profonda trasformazione che il mondo ha subito ad opera degl'impianti elettrici negli ultimi cinquant'anni.
Centrali.
Generalità. - La denominazione "centrale elettrica", riservata un tempo a un ambiente dove si provvedeva alla trasformazione d'energia meccanica in energia elettrica, è stata poi da alcuni applicata ad ambienti ed edifici dove si compiono anche altre operazioni, che hanno stretta attinenza con la produzione dell'energia: come la trasformazione di tensione, oppure la conversione di caratteristiche della corrente: p. es. la conversione di frequenza.
Qualunque sia la centrale e qualunque sia il tipo di corrente prodotta troveremo sempre una o più unità di macchinario, costituite da un motore atto a sviluppare energia meccanica e da una dinamo (ormai quasi sempre direttamente collegata) atta a trasformare l'energia meccanica in energia elettrica. Prima di uscire all'esterno, l'energia elettrica prodotta passa attraverso un complesso di apparecchiature e strumenti, le cui posizioni e indicazioni sono rilevabili da segnali che si raccolgono sopra un quadro, affinché facile e contemporanea possa esserne l'ispezione da parte del personale incaricato. Quasi sempre si trovano nelle centrali trasformatori o convertitori atti a dare all'energia elettrica prodotta le dovute caratteristiche.
Centrali termoelettriche con motrici a vapore. - Il vapore d'acqua tiene il primo posto nella generazione per via termica dell'energia elettrica. Si costituiscono le grandi centrali a vapore non tanto in vicinanza dei luoghi di consumo, quanto in località dove siano minimi gli oneri per il trasporto del combustibile e per la provvista delle grandi masse d'acqua occorrenti per la vaporizzazione e la condensazione. Si preferiscono, quindi, le immediate vicinanze dei grandi porti, o le rive di fiumi importanti o addirittura le adiacenze delle miniere di combustibile, quando vi si dispone di sufficiente quantità d'acqua.
Combustibili. - I combustibili più usati sono il carbone, la nafta e la lignite.
Il carbone oggi spesso viene ridotto in polvere prima di essere adoperato, ma la polverizzazione esige impianti complementari di costo non indifferente. La nafta rende facile la condotta del fuoco; il suo uso, però, non è sempre più economico di quello del carbone. La lignite è conveniente solo per centrali situate in prossimità dei giacimenti; in Italia, dove essa costituisce quasi l'unico combustibile disponibile, alimenta qualche impianto.
Caldaie. - Il tipo di caldaia quasi esclusivamente oggi adoperato è quello a tubi d'acqua (v. caldaia), che presenta il vantaggio di produrre forti quantità di vapore, pure occupando uno spazio relativamente ristretto; di poter esser messo in pressione assai rapidamente; di prestarsi bene alle variazioni di carico o anche a forti sovraccarichi momentanei; di dare un buon rendimento e una notevole sicurezza contro i pericoli di scoppio. Le caldaie sono normalmente corredate di surriscaldatori di vapore.
Mentre fino a pochi anni fa il vapore veniva impiegato a una pressione massima di circa 16 atmosfere e con un surriscaldamento intorno ai 300 gradi, si è sviluppata recentemente la tendenza (per migliorare il rendimento del ciclo termico) di spingere la pressione e il surriscaldamento più in alto. Sono oggi normali impianti alla pressione di 30 ÷ 40 atmosfere, con surriscaldamento intorno ai 400 gradi. Di là da questi valori il miglioramento del rendimento del ciclo termico è meno sentito e s'incontrano notevoli difficoltà per la diminuzione di resistenza che i materiali metallici - specialmente l'acciaio - presentano oltre i 400 gradi.
Di uso normale sono i dispositivi per l'alimentazione automatica del combustibile. In impianti di qualche importanza si rende automatica anche la riempitura delle tramogge che alimentano le griglie, ponendo nella parte superiore della sala caldaie i silos del carbone, dai quali il combustibile scende nelle tramogge delle singole caldaie per mezzo di ampî tubi di lamiera.
Per utilizzare almeno in parte il calore ancora posseduto dai gas che abbandonano la caldaia e ridurre al minimo le cosiddette perdite al camino, vennero fino a oggi largamente adoperati gli econowmizzatori, apparecchi costituiti da fasci di tubi collocati nei condotti del fumo e attraversati dall'acqua d'alimentazione della caldaia. Si ottiene così di ridurre la temperatura dei gas alla base del camino a 150 − 180 gradi. Recentemente però si tende a preferire, soprattutto nel caso delle alte pressioni, l'estrazione dalle motrici d'una certa quantità di vapore che abbia già compiuto una parte del suo lavoro e utilizzare, per il preriscaldamento dell'acqua d'alimentazione, le calorie di vaporizzazione che altrimenti andrebbero perdute nel condensatore.
Nei condotti del fumo si collocano dei preriscaldatori per l'aria occorrente alla combustione. Il rendimento termico complessivo risulta così sensibilmente migliorato.
Accessorî importantissimi delle caldaie sono le pompe d'alimentazione d'acqua; generalmente centrifughe, le quali vengono mosse elettricamente o parte elettricamente e parte a vapore per maggior sicurezza. La potenza richiesta da queste pompe si può ritenere pari all'i ÷ 1,5% di quella complessiva della centrale.
Si cerca di ottenere (spesso con schermi a tubi d'acqua, i quali servono altresì a ricuperare calore e ad aumentare la superficie riscaldata della caldaia) che le ceneri si depositino a una temperatura inferiore a quella del loro punto di fusione. Esse poi vengono allontanate dal ceneraio con mezzi meccanici, p. es. coclee, e trasportate a rifiuto con appositi vagonetti o, più modernamente, con sistemi idraulici o pneumatici.
Quando la centrale si trova entro centri abitati - specialmente se si fa uso, come combustibile, di carbone polverizzato - è necessario eliminare le ceneri dal fumo, o mediante sistemi a ciclone, o con sistemi a umido o anche con metodi elettrostatici.
Quasi tutte le recenti centrali sono munite di tiraggio meccanico.
Nelle installazioni moderne ogni caldaia è munita di numerosi strumenti che indicano, oltre la pressione e il livello dell'acqua, le temperature dei gas di combustione, del vapore e dell'acqua in varî punti, i tenori di CO3, CO, N, H al camino, le depressioni al focolaio, la produzione di vapore, il consumo di carbone. Spesso, oltre agli strumenti indicatori, raccolti presso i fuochisti se ne montano i corrispondenti registratori presso il capo della centrale. Vanno pure diffondendosi rapidamente varî dispositivi per rendere automatico il governo delle caldaie, in relazione con le fluttuazioni del carico.
Per far fronte inoltre alle fluttuazioni stesse senza che il rendimento ne risenta eccessivamente, si adottano talvolta accumulatori di vapore nei quali durante i periodi di basso carico viene immagazzinata acqua surriscaldata sotto pressione, dalla quale (nei momenti di punte del carico) si sviluppa vapore che va alle motrici, in aggiunta di quello prodotto dalle caldaie.
Motrici a vapore. Per potenze fino a 500 ÷ 1000 kW vengono usate con eguale convenienza sia motrici a stantuffo, sia turbine. Per potenze superiori tengono incontrastato il campo le turbine.
Fra le motrici a stantuffo sono generalmente preferite (salvo speciali esigenze di spazio) le macchine orizzontali a doppia espansione, per lo più munite di distribuzione a valvole comandate e provviste di condensatore.
Le turbine a vapore hanno di fronte alle motrici a stantuffo i seguenti vantaggi: rendimento notevolmente maggiore; possibilità di concentrare in una sola macchina potenze rilevantissime; ingombro molto minore; costo e spese di esercizio minori; velocità maggiore e quindi più adatta a un diretto accoppiamento con le generatrici elettriche; grande prontezza ed esattezza di regolazione; coppia motrice uniforme e quindi nessuna necessità di speciali masse formanti volano e nessun fenomeno perturbatore nella marcia in parallelo delle generatrici elettriche.
Regolatori delle turbine a vapore. - Debbono presentare un alto grado di sicurezza e di sensibilità, per contenere gli scarti di velocità della macchina entro limiti assai ristretti e ciò allo scopo di rendere possibile una buona regolazione della tensione prodotta dalla generatrice elettrica. I moderni regolatori non permettono, per variazioni brusche di carico dal massimo a vuoto, scarti di velocità superiori al 2,5%.
I regolatori inoltre non devono presentare oscillazioni intorno alla posizione finale d'equilibrio, ciò che potrebbe favorire le cosiddette "oscillazioni pendolari" dei generatori elettrici e rendere difficile o impossibile la marcia di essi in parallelo con altri.
Al regolatore nomiale è aggiunto di solito un regolatore di sicurezza, il quale chiude completamente l'ammissione del vapore quando la velocità della turbina supera un determinato limite (generalmente il 10% oltre il valore normale).
Infine per poter effettuare le manovre di parallelo dei generatori elettrici e la divisione del carico fra di essi (per le quali operazioni occorre agire volontariamente sul numero dei giri della turbina) il regolatore è sempre munito di un dispositivo per la regolazione a mano.
È tendenza moderna di dividere in due o più cilindri le turbine a vapore di potenza superiore ai 20.000 kW circa, e ciò sia per ragioni costruttive, sia per migliorare il rendimento del complesso. I cilindri possono essere coassiali o paralleli. Questa disposizione è preferita in America e ad ogni modo s' impone quando la potenza complessiva superi i 60.000 kW circa, onde non avere alberi troppo lunghi.
Con questi aggregati si sono raggiunte potenze enormi. Citiamo: il gruppo da 160.000 kW costruito dalla Brown-Boveri per la centrale di Hell Gate a New York alimentato a 18,6 atmosfere e 325 gradi, costituito da 2 cilindri affiancati entrambi a reazione: uno ad alta pressione a 1800 giri e da 75.000 kW, l'altro a bassa pressione a 1200 giri e da 85.000 kW; e il gruppo da 208.000 kW costruito dalla Gen. Electric Company per la centrale di Hammond sul lago di Michigan negli Stati Uniti, alimentato a 42 atmosfere e composto di 3 cilindri affiancati rispettivamente ad alta, media e bassa pressione tutti a 1800 giri, il primo da 76.000 kW, gli altri due da 66.000 kW ciascuno. È questa l'unità più potente costruita sinora. In questi gruppi a ogni cilindro corrisponde un generatore elettrico.
In Italia, dove la produzione di energia elettrica è essenzialmente affidata alle centrali idrauliche, non si è sinora sentita la necessità di macchine così potenti: la nostra maggiore turbina a vapore è quella della fabbricazione Franco Tosi della centrale di Turbigo (fig. 3) alimentata a 26 atmosfere e 375 gradi e costituita da tre cilindri coassiali agenti su un solo albero e su un unico generatore elettrico da 30.000 kW a 1500 giri.
Condensatori. - Nelle moderne centrali sono quasi esclusivamente impiegati condensatori a superficie, sia perché permettono di spingere il vuoto a un grado più elevato (sino al 98%) sia perché con essi è possibile usare per la refrigerazione anche acqua impura, per es. quella di mare, senza contaminare l'acqua di condensazione, che normalmente torna in caldaia.
I condensatori a superficie richiedono tre pompe per il loro funzionamento: una, detta di circolazione, per l'acqua di refrigerazione, un'altra, detta del condensato, per estrarre l'acqua di condensazione e infine una terza pompa o un eiettore per estrarre l'aria dal corpo del condensatore. La continuità del funzionamento di queste pompe deve essere garantita nel modo migliore, quindi spesso esse sono azionate, anziché elettricamente, mediante piccole turbine a vapore e ciò affinché i condensatori siano indipendenti dalla parte elettrica della centrale. La potenza occorrente per le pompe dei condensatori è relativamente notevole; essa può andare sino al 2 ÷ 3% della potenza complessiva della centrale.
La quantità d'acqua occorrente per la refrigerazione è ingentissima; essa può salire sino a 100 litri per kg. di vapore condensato, o, in altri termini, a 100 litri/1″ per ogni 1000 kW funzionanti. Nei casi nei quali il rifornimento di queste grandi masse d'acqua non sia agevole, è necessario raffreddare, per utilizzarla di nuovo, quella che ha già servito nel condensatore. Si adoperano a tale scopo torri refrigeranti, nelle quali l'acqua proveniente dal condensatore viene immessa dall'alto e cade, frazionandosi molto minutamente, attraverso mattoni forati fra loro sfalsati o graticci in legname, in modo da presentare una grande superficie di contatto all'aria che giunge dal basso e, spesso, anche lateralmente. Per facilitare la circolazione dell'aria si dispongono superioremente uno o due camini di tiraggio o, in basso, un ventilatore.
Il ciclo termico si svolge così continuamente attraverso un circuito chiuso, nel quale occorre unicamente immettere una piccola quantità d'acqua (al massimo il 5% di quella corrispondente alla produzione del vapore) per compensare le inevitabili fughe. Quest'acqua supplementare, prima di essere inviata in caldaia, viene di solito depurata o meglio distillata. Inoltre, per diminuire le corrosioni di carattere chimico che altrimenti si avrebbero specialmente negli economizzatori, si estende attualmente l'uso di degassificare tutta l'acqua d'alimentazione, facendola passare attraverso strati di ferro molto ossidabile o estremamente suddiviso.
Schema generale delle installazioni. - La disposizione generale delle installazioni relative alla parte termica in una grande centrale a vapore moderna si può così riassumere. In prossimità della via d'acqua o del raccordo ferroviario che serve la centrale, sorgono il deposito del carbone e i relativi impianti e servizî per lo scarico, la pesatura e l'immagazzinamento di esso. Tali operazioni si fanno sempre meccanicamente e spesso automaticamente. Da questo cosiddetto parco carbone il combustibile, sempre meccanicamente, viene portato agli apparecchi frantumatori che lo riducono a una pezzatura adatta per le griglie ad alimentazione automatica, oppure, se viene usato polverizzato, ai relativi impianti. Di qui, con elevatori meccanici, il carbone passa ai silos collocati superiormente alla sala delle caldaie, dai quali cade per gravità nelle tramogge di caricamento antistanti alle griglie mobili.
Uno speciale corpo di fabbrica comprende la sala caldaie e i locali per le pompe d'alimentazione, gli apparecchi per la distillazione dell'acqua, quelli per la sua degassificazione e il suo preriscaldamento e tutti i servizî accessorî alla condotta del fuoco. Adiacente al fabbricato delle caldaie, ma in generale separata da una costruzione di passaggio, è la sala macchine che contiene le turbine e i generatori elettrici ed è servita da una potente gru a ponte. Si usa oggi tenere i pavimenti della sala caldaie e della sala macchine alquanto sollevati, lasciando lo spazio per collocare al livello del suolo il locale per i condensatori, sotto alle rispettive turbine,e quello dei cenerai sotto le rispettive caldaie. Si evita così lo scavo di grandi camere sotterranee (dato che i condensatori hanno sempre dimensioni enormi) e si rende più facile e meno costoso il servizio di estrazione e di allontanamento delle ceneri. Sotto ai condensatori passano i canali per l'adduzione e lo scarico dell'acqua di circolazione, che hanno sempre dimensioni notevoli dovendo convogliare portate di parecchi metri cubi al secondo.
Le ossature dei fabbricati sono generalmente in ferro nelle centrali estere; in Italia si preferisce per lo più il cemento armato.
Come esempio di grande centrale termoelettrica moderna descriveremo brevemente quella di Turbigo della Società Idroelettrica Piemonte, entrata in esercizio nel 1928 (figg. 3-6).
Essa sorge sulle rive del Naviglio Grande, dal quale viene derivata l'acqua necessaria per la condensazione e per gli altri servizî. Il carbone giunge per ferrovia attraverso apposito binario di raccordo e viene scaricato per mezzo d'una grande gru a cavalletto scorrevole. La centrale è destinata ad avere una potenza totale di 12o.000 kW, con 4 gruppi da 30.000 kW ciascuno e 8 caldaie. È però finora in esercizio un solo gruppo, servito da due caldaie. Queste sono del tipo Humboldt Breda a tubi subverticali, ciascuna da 2000 mq. con surriscaldatore da 700 mq. ed economizzatore da 1200 mq. La produzione oraria di vapore (a 30 atmosfere e 400°) può giungere sino a 90.000 kg.
Attualmente viene bruciato carbone ordinario su griglia meccanica ad alimentazione dal disotto; le cose sono però predisposte in modo da potere in seguito adoperare carbone polverizzato. I camini sono a tiraggio indotto. L'alimentazione delle caldaie è regolata automaticamente. L'acqua d'alimentazione viene preriscaldata con vapore estratto dalla turbina e poi degassificata. La turbina, della quale si sono già date le caratteristiche, è accoppiata direttamente a un alternatore da 30.000 kW, 11.500 V, 50 periodi, 1500 giri. Il condensatore è a superficie con 2800 mq.; esso richiede 2250 litri d'acqua al 1″.
Nei paesi ricchi di carbone le centrali a vapore hanno assunto proporzioni colossali. Citiamo fra le altre quella di East River (New York) costruita per una potenza di 700.000 kW, con turbine da 60.000 e 160.000 kW, alimentata a 26 atmosfere e 370°, e quella Klingenberg (Rummels burg presso Berlino) prevista per una potenza definitiva di 540.000 kW, con turbine da 80.000 e 10.000 kW, alimentate a 33 atmosfere e 400°.
Rendimenti e consumi delle centrali a vapore. - In questi ultimi anni si sono realizzati grandi progressi. Il rendimento del ciclo termico teorico si è avvicinato al 45%; le caldaie hanno raggiunto l'86%, le turbine l'87%: ne risulta un rendimento termico totale maggiore del 33%. Ad esso (tenuto conto del rendimento del generatore elettrico) corrisponde un consumo pratico di circa 3000 calorie per kWh prodotto (ossia di grammi 440 di carbone da 7000 calorie). Tenuto conto dell'energia occorrente per i servizî ausiliarî (circa il 6% di quello prodotto dalla centrale), si giunge a un consumo inferiore a 500 grammi di carbone per ogni kWh. Il consumo di vapore, con le pressioni e temperature ora in uso corrente, si aggira intorno ai 4 kg. per kWh. S' intende che questi dati si riferiscono a funzionamenti continui e con carico normale.
Costo d'impianto. - Il costo d'impianto d'una centrale termica a vapore è compreso oggi tra le 1000 e le 2000 lire per kW installato: di tale costo il 30% può attribuirsi alle opere murarie e il 70% alle caldaie e ai macchinarî.
Centrali geotermiche. - La prima centrale geotermica è sorta a Larderello in Toscana, e utilizza i soffioni boraciferi (v. borace).
Tali soffioni, che si sprigionano parte naturalmente, parte attraverso apposite trivellazioni, emettono vapore d'acqua a pressione assai bassa (circa due atmosfere assolute) misto, oltre che a sali di borace, a forti quantità di varî gas: anidride carbonica, idrogeno solforato, elio e altri. All'atto delle prime utilizzazioni dei soffioni a scopo di forza motrice, non si ritenne possibile né depurare il vapore, né, tanto meno, immetterlo, così come era, nelle turbine, sia per le forti corrosioni alle quali i gas avrebbero dato luogo, sia perché sarebbe stato quindi necessario estrarre i gas stessi dal condensatore con pompe di enormi dimensioni. Si utilizzò quindi il vapore naturale come mezzo riscaldante per generare (entro appositi vaporizzatori) vapore puro, atto all'alimentazione delle turbine. Successivamente si riuscì ad ottenere la depurazione del vapore naturale con mezzi relativamente semplici e si abbandonarono le complicazioni dei vaporizzatori.
Le turbine a reazione ricevono il vapore alla pressione di 1,25 atmosfere assolute; esse dipendono quindi interamente dal vuoto del condensatore.
A Larderello sono attualmente installate tre turbine di questo tipo da 2750 kW ciascuna, a 3000 giri. Le acque provenienti dalla condensazione del vapore naturale vengono impiegate per l'estrazione dell'acido borico, del quale si ottengono giornalmente 500 kg. Altro sottoprodotto è il carbonato ammonico. Recentemente poi si è arrivati, con speciali accorgimenti nella scelta dei materiali, a costruire anche turbine che utilizzano il vapore naturale senza alcuna depurazione. Esse sono ad azione, a due salti di velocità, con scappamento libero nell'atmosfera e hanno la potenza di 650 kW.
Centrali a due fluidi. - Fra le stesse temperature estreme, il rendimento del ciclo a vapore surriscaldato è minore del rendimento di quello a vapore saturo. Volendo però adottare questo ultimo ciclo con il vapor d'acqua, si arriverebbe ben presto a pressioni enormi, non compatibili con la pratica, non solo per la resistenza meccanica dei macchinarî, ma anche per l'accresciuta densità del vapore, la quale fa aumentare notevolmente le cosiddette "perdite per effetto ventilante" nella turbina. È nata allora l'idea di ricorrere a un altro liquido, il quale ad alta temperatura abbia pressioni di vapore saturo non troppo elevate. La preferenza è stata data al mercurio. Esso viene fatto evaporare in un particolare tipo di caldaia; il vapore quindi aziona una turbina costruita con speciali accorgimenti e infine si condensa cedendo il suo calore di vaporizzazione a un secondo fluido che è l'acqua. Il vapor d'acqua così generato viene a sua volta utilizzato nei modi soliti. Il rendimento teorico d'un tale ciclo arriva al 55%.
Un impianto del genere è in funzione da qualche anno a Hartford negli Stati Uniti. In esso il vapore di mercurio viene prodotto alla pressione di 3,5 atmosfere e alla temperatura di 450°; dalla sua condensazione si ricava vapore d'acqua alla pressione di 14 atmosfere e alla temperatura di 195°. La potenza della turbina a vapore di mercurio è di circa 1900 kW, quella della turbina a vapore di acqua di circa 1000 kW.
Altre installazioni di maggiore potenza sono in corso. Nonostante però i buoni risultati raggiunti, questi impianti, cosiddetti a due fluidi, debbono ancora considerarsi nella fase sperimentale. Non ultima difficoltà, oltre a quelle costruttive, è per essi quella economica, relativa all'approvvigionamento delle forti quantità di mercurio occorrenti.
Centrali termoelettriche con motrici a combustione interna. - Per trasformare energia termica in elettrica si ricorre altresì ai numerosi tipi oggi esistenti di motori a combustione interna propriamente detti: sia a due sia a quattro tempi. I motori a due tempi hanno maggiore uniformità di marcia (vantaggio questo assai importante per l'accoppiamento a generatrici elettriche) e una potenza specifica della cilindrata teoricamente doppia; hanno, però, fra gli altri, l'inconveniente di esigere una pompa di lavaggio. Caratteristica dei motori a combustione interna è l'incapacità di uno spontaneo avviamento. Ad esso si provvede generalmente mediante aria compressa.
Per il raffreddamento occorrono 40 ÷ 50 litri d'acqua all'ora per i motori a scoppio e 20 ÷ 30 per quelli Diesel, per ogni kW di potenza.
Dei motori a scoppio (fig. 7), quelli a gas illuminante, gas d'acqua, gas d'aria, benzina e petrolio, hanno, per la generazione di energia elettrica, importanza limitatissima e non si applicano che per piccole potenze. Maggiore interesse hanno i motori a gas naturali (in America una decina di centrali, con una potenza di 25.000 kW complessivi, usano tali gas) e quelli a gas d'alti forni, presso gli stabilimenti siderurgici; di essi si sono costruiti esemplari della potenza di circa 10.000 kW.
Importanza ancora maggiore hanno i motori a gas povero o analogo (ottenuto dal trattamento delle antraciti e soprattutto delle ligniti) i quali sono assai diffusi specialmente in Germania e stanno affermandosi anche in Italia. Queste grandi motrici a gas sono di solito a quattro tempi e a doppio effetto e con disposizione a 4 cilindri orizzontali a due a due in tandem paralleli. Esse hanno raggiunto potenze fino a 15.000 kW.
Assai più usati di quelli a scoppio sono i motori Diesel, normalmente a più cilindri verticali allineati (fig. 8). Se ne costruiscono tipi a quattro e a due tempi, però con una certa preferenza per questi ultimi nel caso di grandi potenze.
Per le grandissime potenze viene oggi spesso adottata la disposizione a doppio effetto, sia a due sia a quattro tempi; con essa si è giunti alla potenza di circa 1500 kW per cilindro con i 2 tempi e di oltre 1000 kW con i 4 tempi.
Il rendimento termico totale dei motori Diesel è assai elevato, raggiungendo facilmente il 33 ÷ 35%: laddove il consumo d'olio combustibile (da 10.000 calorie per chilogrammo) può scendere fino a 250 ÷ 260 grammi per ogni kWh prodotto.
La massima potenza raggiunta dai Diesel destinati alla generazione d'energia elettrica è quella di 11.250 kW del motore a 9 cilindri a due tempi, doppio effetto, 94 giri al minuto, installato nella centrale di Neuhof, presso Amburgo.
Confronto fra le turbine a vapore e i motori a combustione interna agli effetti dell'applicazione a centrali elettriche. - Si può anzitutto dire che tutti i motori a combustione interna hanno l'inconveniente di una coppia motrice periodicamente variabile e richiedono quindi l'uso di pesanti e ingombranti volani. Inoltre il loro basso numero di giri obbliga alla costruzione di generatori elettrici di grandi dimensioni e quindi più costosi. Infine l'irregolarità dell'azione motrice può dar luogo a difficoltà nella marcia in parallelo dell'alternatore accoppiato.
Limitando poi il confronto fra le turbine e i Diesel si deve notare che a vantaggio dei Diesel stanno: il minore ingombro (non richiedendo essi né caldaie, né condensatori, né impianti per il carbone); la rapidissima messa in marcia (qualità questa preziosissima per le centrali di riserva); un consumo d'acqua enormemente minore; una maggiore maneggiabilità e un minor costo di trasporto del combustibile da essi usato; un maggior rendimento termico. A favore delle turbine stanno: la maggior potenza unitaria raggiungibile; la maggior capacità di sovraccarico; il minor consumo di lubrificanti. Il costo d'impianto è pressoché uguale nei due casi, sicché in definitiva (salvo che si tratti di centrali di grande potenza o che occorra una riserva pronta a entrare in servizio istantaneamente) il più delle volte la scelta fra turbine e Diesel dipende più che altro dal costo in luogo dei combustibili rispettivamente impiegati.
Centrali idroelettriche. - Accanto alla generazione per via termica dell'energia elettrica, riveste grande importanza, nella economia odierna, la generazione per via idraulica. Si sfrutta in tal caso la caduta d'una certa massa d'acqua derivandola o da un corso d'acqua o da un serbatoio cui segue un canale a pelo libero o una condotta in pressione.
La potenza elettrica ricavabile da un'installazione idraulica è data in kW dall'espressione: η. QH/102 nella quale Q rappresenta la portata in litri al secondo, H il salto in metri, η il rendimento complessivo delle condotte forzate, delle turbine e dei generatori elettrici. Tale rendimento può, nei moderni grandi impianti, raggiungere e superare l'80%, mediamente però è del 70 ÷ 75%.
Serbatoi. - Per un dato impianto, la potenza ottenibile dipende da un'unica variabile: la portata; poiché il salto e il rendimento, se la caduta non è bassissima, possono ritenersi costanti. Ora i deflussi naturali cambiano con sbalzi specialmente forti da una stagione all'altra; per conseguenza, se l'installazione è sufficiente solo per la portata di magra (come generalmente si usava fare un tempo), molt'acqua va perduta durante il periodo di morbida e di piena. Se invece è proporzionata per una portata vicina alla massima, per una gran parte dell'anno una porzione del macchinario rimane inattivo o lavora a carico assai ridotto e quindi con pessimo rendimento, a meno che non sia costituito da unità eccessivamente piccole, il che riesce antieconomico per altri rispetti. Inoltre la richiesta dell'energia da parte della massa degli utenti varia da ora ad ora della giornata e da un periodo all'altro dell'anno, con legge del tutto differente da quella secondo la quale variano le portate. In queste condizioni l'utilizzazione delle forze idriche sarebbe oltremodo scarsa. Per migliorarla si è ricorsi alle costruzioni di serbatoi, i quali hanno l'ufficio di raccogliere l'acqua quando essa è eccedente ai bisogni, per restituirla, insieme alle portate naturali, quando essa scarseggia.
Accumulazione idraulica. - Un altro modo di migliorare la produzione d'energia d'una installazione idroelettrica è quello di ricorrere a un impianto d' accumulazione. Nelle ore in cui sulla rete alla quale la centrale è allacciata vi è poco carico, si utilizza l'energia disponibile, e che proviene da impianti sprovvisti di serbatoio (o da un bacino che ha raccolto lo scarico di questa), per pompare da un corso d'acqua situato presso la centrale ad un altro bacino assai più elevato, per poi, nelle ore di maggior carico, ricuperare in parte l'energia così spesa, lasciando ricadere attraverso le turbine l'acqua accumulata. Le pompe sono di solito azionate dallo stesso generatore elettrico, il quale, durante il lavoro d'accumulazione, passa a funzionare da motore: a un estremo del suo albero è direttamente collegata la turbina, all'altro la pompa. Una stessa condotta forzata serve al flusso nei due sensi (figura 9). In alcuni impianti d'accumulazione l'acqua viene invece presa da un corso d'acqua lontano dalla centrale: occorre allora una speciale stazione adibita alla pompatura. Il sistema ha un rendimento complessivo basso, all'incirca del 40%, ma in molti casi costituisce l'unica possibilità d'accumulare dell'energia che altrimenti andrebbe perduta.
Una delle prime applicazioni del genere si è avuta in Italia con l'impianto di Viù (Torino) costruito fino dal 1910, il quale solleva acqua dalla Stura a un serbatoio sopraelevato di 150 m., mediante una pompa di 3.000 kW. In Germania, specialmente, gl'impianti d'accumulazione sono oggi assai diffusi: una delle maggiori installazioni è quella di Herdecke (Vestfalia) nella quale sono installate 4 pompe della potenza complessiva di 100.000 kW che sollevano 49 mc. al 1′′ a 164 metri di altezza.
Più caratteristico ancora è l'impianto di accumulazione idraulica di Niederwartha presso Dresda con 8 gruppi di 15.000 kW (costituiti da un alternatore avente da un lato una turbina a reazione, dall'altro una pompa centrifuga) per utilizzare l'eccedenza di due grandiose centrali termiche a lignite (Böhlen e Hirschfelde) spingendo acqua dall'Elba in un serbatoio di 2 milioni di mc. a 160 m. di altezza. L'energia così accumulata serve a coprire le punte dei diagrammi di carico della rete di tutta la regione industriale attorno a Dresda.
Schema generale delle installazioni. - In base a quanto è stato detto, lo schema generale di un'installazione idroelettrica dovrà comprendere la derivazione da un corso d'acqua o da un serbatoio (stagionale, settimanale, giornaliero) cui fa seguito un canale a pelo libero (all'aperto o in galleria) oppure una condotta in pressione (tubazione metallica o galleria). Il canale a pelo libero sbocca in un serbatoio di carico dove si innestano le condotte forzate; invece negl'impianti muniti di condotta in pressione l'innesto delle condotte forzate avviene in corrispondenza d'un pozzo piezometrico - o vasca di oscillazione - destinato a impedire la propagazione di un eventuale colpo d'ariete.
Le turbine, i generatori elettrici e i relativi accessorî sono contenuti nell'edificio che riceve propriamente il nome di centrale.
Ad esso fa seguito il canale attraverso cui l'acqua si scarica dopo avere azionato le turbine. Il canale di scarico è spesso munito di stramazzo misuratore delle portate e può essere, a seconda delle condizioni topografiche, più o meno lungo e svolgersi in galleria o allo scoperto. Esso per lo più restituisce direttamente l'acqua al corso che è stato sfruttato; in alcuni casi però (e cioè quando la stessa acqua è successivamente riutilizzata per azionare altri impianti o per irrigare) il canale di scarico fa capo a un cosiddetto bacino di compenso, il quale ha lo scopo di rendere le portate a valle della prima centrale il più che sia possibile indipendenti dal funzionamento di questa.
Non di rado la centrale sorge in fregio al corso d'acqua o al bacino di compenso e allora il canale di scarico è ridotto al minimo o addirittura non esiste.
Come esempio di moderna centrale idroelettrica, si descriverà brevemente quella di Galleto nei pressi di Terni. È interessante premettere che la costruzione di questa centrale è stata studiata dalla Terni, Soc. per l'industria e l'elettricità, ai fini dello sfruttamento integrale di un grande bacino, quello dei fiumi Nera e Velino, di una superficie di kmq. 4300 e un contributo idrico medio di circa 25 l./sec. kmq. (fig. 10). Lo sfruttamento è basato, oltre che sulla costruzione della centrale di Galleto, della potenza di 300 mila kW, posta alla confluenza del Velino nel Nera, sulla costruzione della centrale di Narni della potenza di 110 mila kW e di altre 4 centrali di potenza molto minore. Due di queste sono situate nell'alta valle del Nera, e cioè la centrale di Visso, della potenza di 15 mila kW, e, più a valle, quella di Triponzo, della potenza di 5 mila kW. Per assicurare lo sfruttamento integrale, uno sbarramento del Nera, a valle dello scarico della centrale di Triponzo, devia le acque in un canale che le convoglia, unitamente a quelle di parecchi affluenti del Nera, nel lago di Piediluco (fig. 11) da cui è alimentata la centrale di Galleto. Le due centrali rimanenti sono quella sul Salto in località Balze di Santa Lucia, della potenza di 6000 kW; e quella sul Turano in località Porticciola, della potenza di 9000 kW. Allo stato attuale dei lavori sono in funzione solamente la centrale di Visso, entrata in esercizio nel 1928, e quella di Galleto per metà della potenza prevista. Presto entrerà in esercizio anche la centrale di Triponzo di cui è già ultimata la costruzione. Gli altri impianti debbono ancora essere iniziati.
La centrale di Galleto (figg. 12-20) deve poter fornire energia a tre diverse tensioni: 10.000, 70.000 e 135.000 volt. Essa sorge come si è detto alla confluenza del Velino nel Nera ed utilizza un bacino imbrifero di 3526 kmq., con un salto di 205 m. e una portata massima di 180 mc./sec.; la potenza totale installata, a impianto terminato, raggiungerà i 300.000 kW. È costruita ed è in funzione solo metà della centrale. La parte prospiciente il fiume costituisce l'edificio macchine ed è costituita da tre piani: a livello del terreno è situata la sala macchine, in corrispondenza del supporto di spinta superiore dei 4 gruppi generatori ad asse verticale finora installati, che emergono dal pavimento solo con l'estremità superiore, dove è montata l'eccitatrice verticale. Longitudinalmente scorrono due gru a ponte da 85 tonnellate. Il piano inferiore comprende gli alternatori; nel piano ancora sottostante sono situate le turbine, le tubazioni d'arrivo, le valvole; inferiormente a questo piano sono ricavate le gallerie di scarico. Gli alternatori, costruiti dal Tecnomasio Italiano, sono del tipo protetto, autoventilante, con ventilazione in ciclo chiuso; l'aria di circolazione viene raffreddata in refrigeranti ad acqua collocati in un locale adiacente a quello degli alternatori. Questi possono funzionare a 45 ÷ 50 periodi, con un numero di giri al minuto che varia da 337 a 375. La potenza sviluppata in servizio continuativo per tensione compresa fra 8300 e 10.100 V, frequenza 45, cos ϕ = 1 ÷ o,7, è di 35000 kVA; alla tensione 10.100 V, frequenza 45, cos ϕ = 0,8 è di 43.000 kVA. Alla frequenza 50, con tensione tra 8900 e 10.800 V si possono avere uguali prestazioni. Le turbine, del tipo Francis, di costruzione De Pretto-Escher Wyss, sono a ruota unica ad asse verticale: potenza 37.000 kW, portata 22,5 mc./sec., salto netto 197 metri; giri al minuto 375 ÷ 337 Esse sono munite di regolatore a pressione d'olio con due servomotori che manovrano l'anello di comando del distributore; il regolatore comanda contemporaneamente anche lo scarico sincrono della turbina, proporzionato in modo da poter smaltire l'intera portata della turbina onde limitare per quanto possibile le sovrapressioni nella condotta e nei pozzi piezometrici.
La parte posteriore dell'edificio è adibita ai trasformatori e ai circuiti elettrici. Al piano corrispondente a quello della sala macchine sono posti i quattro trasformatori e gl'interruttori di macchina. Al piano superiore corrono le sbarre a 135.000 V; in un locale posto allo stesso livello, addossato alla fronte posteriore dell'edificio, sono collocate l'apparecchiatura e le sbarre a 70.000 V; nel piano inferiore a quello delle sbarre ad alta tensione, sono disposte le sbarre a 10.000 V e inferiormente a questo è il piano di servizio coi refrigeranti per l'olio dei trasformatori. Le linee escono dalla parte più alta dell'edificio.
Dei trasformatori, forniti dalla Società San Giorgio, due sono trifasi a due avvolgimenti, del tipo in olio con raffreddamento a circolazione esterna; potenza continuativa 43.000 kVA, rapporto di trasformazione a vuoto 10.800/143.300 V; collegamento a triangolo sulla bassa e a stella sull'alta tensione. Gli altri due sono a 3 avvolgimenti, del tipo trifase in olio, con raffreddamento a circolazione forzata d'olio in refrigerante esterno ad acqua e cassone di tipo autoclave; potenza continuativa 43.000 kVA, frequenza 45 o 50 periodi. L'avvolgimento primario è a 10.100 V, il secondario a 73.500 V, il terziario a 155.000 ÷ 116.000 V. Il primario è collegato a triangolo; gli altri due a stella.
Ai servizî ausiliarî della centrale provvedono gruppi generatori autonomi costituiti ciascuno da turbina Pelton ed alternatore trifase da 1050 kVA.
Classificazione degl'impianti in relazione al salto utilizzato. - Si usa distinguere le installazioni idroelettriche in impianti a bassa, media e alta caduta. Si possono considerare basse le cadute fino a 20 m., medie quelle fra 20 e 200 m. e alte le superiori. Ognuna delle tre categorie offre caratteristiche tipiche per quanto concerne sia le opere idrauliche sia le turbine.
Impianti a bassa caduta. - Gl'impianti a bassa caduta ricavano in generale il salto (o almeno la massima parte di esso) unicamente dallo sbarramento. La centrale sorge per lo più in prosecuzione della diga o di fianco a essa: mancano quindi il canale derivatore e quello di scarico e le condotte forzate, poiché l'edificio stesso delle macchine fa da separazione fra le acque a monte e a valle del salto. A questa tipica disposizione fanno eccezione i casi nei quali la centrale, anziché direttamente il corso d'acqua naturale, sbarra un canale da esso derivato, il quale pertanto funziona da derivatore a monte della Gentrale e da scaricatore a valle di essa. Anche con tale disposizione non si hanno condotte forzate, le quali in ogni modo raramente s'incontrano in questa categoria di installazioni.
Rarissimamente possono crearsi grandi serbatoi stagionali a servizio degl'impianti a bassa caduta, perché occorrerebbero capacità colossali, non ottenibili praticamente.
Gl'impianti a bassa caduta sono caratterizzati dalle ingentissime portate che utilizzano; essi sorgono pertanto sui grandi corsi d'acqua e hanno perciò trovato vasta applicazione sui maggiori fiumi dell'Europa centrale e dell'America. In Italia invece se ne hanno pochi esempî, dei quali il più notevole è quello di Mori, sull'Adige, della potenza complessiva di quasi 19.000 kW ottenuta con un salto di circa 10 m. e una portata di 200 mc. al 1′′. Fra i maggiori impianti a bassa caduta oggi esistenti citiamo quello di Keokuk sul Mississippi (Stati Uniti) della potenza complessiva di 220.000 kW suddivisa fra 30 turbine, che sfrutta un salto variabile da 6 a 11 m. e una portata massima di 2700 mc. al 1″ e quello recentissimo di Schwörstadt (Basilea) sul Reno, della potenza complessiva di 116.000 kW suddivisa tra 4 turbine, che sfrutta un salto massimo di 11 m. e una portata che giunge a 1250 mc. al 1″.
Impianti a media e alta caduta. - In collegamento con gl'impianti a caduta media e alta si trovano di frequente serbatoi stagionali, non solo perché è qui più facile stabilirli, ma anche perché la grandissima variabilità di portata dei corsi d'acqua montani, rende più sentita la necessità della regolazione.
Gl'impianti riproducopo per lo più lo schema generale esposto precedentemente. Talvolta però essi offrono qualche particolarità. Così non di rado, per le medie cadute, lo sbarramento crea sia il salto sia il serbatoio stagionale. La centrale in tal caso può essere incorporata con la diga, se questa è di tipo vuoto: mancano allora vere e proprie condotte forzate, poiché l'acqua arriva alle turbine direttamente, percorrendo cunicoli che attraversano lo sbarramento. È di questo genere l'impianto del Tirso in Sardegna (caduta m. 56, potenza complessiva kW 24.000, portata mc. 50 al 1″, capacità utile del serbatoio 347.000.000 di mc.; fig. 23). Oppure la centrale si trova ai piedi della diga, ma da essa separata: l'acqua allora vi giunge percorrendo prima una breve galleria che attraversa lo sbarramento (o una delle sue spalle rocciose) e poi le condotte forzate. Sono questi i casi degl'impianti di Eguzon in Francia (caduta m. 56, potenza complessiva kW 55.000, portata 100 mc. al 1′′, capacità utile del serbatoio 54.000.000 di mc.) e di Suviana presso Bologna (caduta m. 83, potenza complessiva kW 41.000 portata, mc. 60 al 1″, capacità utile del serbatoio 36.000.000 di mc.).
Una disposizione assai originale, e che si presta specialmente per le medie cadute, è quella con centrale sotterranea, scavata nella roccia. L'acqua, che proviene da un serbatoio stagionale o da un'ordinaria derivazione sovrastanti, giunge alle turbine attraverso a una condotta metallica in galleria verticale o a un pozzo forzato in roccia, di profondità corrispondente al salto utilizzato, e si scarica attraverso un canale sotterraneo, che in generale risulta assai lungo. Alla centrale si accede mediante un pozzo (destinato altresì all'aerazione) servito da ascensore. Fra i vantaggi di questa disposizione oltre la sicurezza contro offese belliche, vi è quello d'una buona protezione contro avverse condizioni atmosferiche; essa ha, perciò, avute le prime applicazioni nei paesi scandinavi. Classica è la centrale di Porjus (Svezia) oltre il Circolo Polare, della potenza di 58.500 kW, che sfrutta un salto di 55 m. Caso forse unico, il canale di scarico è in pressione e molto lungo per addurre le acque al disotto dei ghiacci che trovansi all'esterno. Ciò ha richiesto la creazione di camere d'espansione sul canale di scarico per rendere possibile il funzionamento dei regolatori delle turbine. Esempî notevoli sono altresì quelli del Coghinas e del Flumendosa (Sardegna; fig. 24) con centrali rispettivamente profonde 70 e 140 m., della potenza di 26.500 e 25.000 kW, alimentate da serbatoi della capacità utile di 242.000.000 e 50.000.000 di mc.
Dato che a un kilogrammetro per secondo corrispondono 9,8 watt, la relazione fondamentale per la trasformazione dell'energia meccanica in elettrica e viceversa è:
A interruttore aperto, ma col generatore in funzione, la corrente e la coppia sono zero e il motore fermo, ma l'arrivo della linea è in tensione: la corrente è quindi pronta a scattare con la semplice chiusura dell'interruttore, come un fluido sotto pressione è pronto ad acquistare velocità non appena aperta la saracinesca; in entrambi i casi si mette in gioco energia.
Nella realtà la potenza erogata dal motore primo è superiore a quella richiesta dall'argano, e le potenze elettriche rispettivamente erogate dall'alternatore e assorbite dal motore sono intermedie e disuguali, perché nelle due trasformazioni reciproche d'energia e nella linea si hanno perdite, che si aggiungono alla potenza utile nel caricare il motore primo. Dato che i rendimenti degli organi interposti fra argano e motore primo siano rispettivamente dell'85, del 92 e del 94%, il rendimento globale è 0,85 × 0,92 × 0,94 × 100 = 73,5%, ciò che vuol dire che, richiesti p. es. dall'argano 10 kW, la potenza che il motore primo deve sviluppare deve esser pari a 10 : 0,735 = 13,6 kW.
È da rilevare nei riguardi della buona utilizzazione dell'impianto, che con la contemporanea azione dei circuiti riuniti nel sistema trifase, la potenza trasmessa non è più oscillante, ma rimane anche nell'ambito del periodo costante.
Non solo nel caso d'un carico equilibrato (cioè apparecchi d'utilizzazione trifasi, quali i motori a induzione), ma anche se i carichi sono squilibrati (se p. es. si tratta di lampade non esattamente suddivise tra le tre fasi) si deve egualmente verificare l'annullamento della somma delle correnti in una sezione qualunque della linea, perché a monte i conduttori si riuniscono necessariamente in nodi, intorno a ciascuno dei quali la somma delle correnti deve annullarsi (primo principio di Kirchhoff); naturalmente questo non può avvenire che col sacrificio dell'eguaglianza delle tensioni, ciò che non permette di tollerare squilibrî eccessivi.
Questa considerazione fa in genere preferire alla semplice inserzione delle lampade fra i fili di fase (fig. 48) - che presuppone soltanto il congruo adattamento delle lampade alla tensione disponibile - l'inserzione delle lampade stesse fra l'uno o l'altro dei fili di fase, con un'equa partecipazione di ciascuno, e un filo di ritorno comune, il cosiddetto filo neutro allacciato al centro della stella del generatore, che perciò non ammette altro avvolgimento (fig. 49): si raggiunge così anche l'altro vantaggio di utilizzare per le lampade la tensione stellata anziché la concatenata (cioè tra fase e neutro anziché tra fase e fase), e quindi, per una medesima tensione alle lampade, la possibilità d'una tensione di distribuzione di tanto più elevata - da 1 a √3 - da realizzare, malgrado la presenza d'un quarto conduttore, un'ulteriore considerevole economia di materiale. Perciò la gran maggioranza della distribuzione per luce si fa col sistema trifase a quattro fili, distribuendo quanto più uniformemente è possibile le lampade - o meglio le utenze - fra ciascuno dei tre fili di fase il filo neutro.
Da notare che nei calcoli rion ci si preoccupa di questi squilibrî, paghi di avervi provveduto col filo neutro, che si assume perciò dappertutto senza corrente e al medesimo potenziale: ciò permette di considerare un terzo del carico sotto la tensione stellata e la variazione di quest'ultima come dipendente soltanto dalle cadute di tensione verificate nel corrispondente filo di fase; anzi il procedimento si applica anche se non esiste traccia di filo neutro, passando, ove occorra, alla tensione concatenata, che di regola s'impiega a definire la tensione della linea, attraverso il diagramma vettoriale della fig. 47; tanto più che la tensione stellata coincide col potenziale dei fili, cioè con la differenza di potenziale verso terra, non solo ogni qualvolta il centro della stella sia stato messo in qualche punto deliberatamente a terra, ma anche quando le condizioni d'isolamento e di capacità verso terra di ciascuno dei fili di linea siano all'incirca le stesse; se uno dei fili è invece a terra (p. es. in seguito alla fulminazione di un isolatore) gli altri due raggiungono il potenziale massimo nella tensione concatenata esistente fra i fili.
Per l'illuminazione la distribuzione a tensione costante è preferita, come quella che non introduce negli ambienti interni tensioni troppo elevate - 100 ÷ 150 volt - e come quella che più facilita il frazionamento della luce, cioè l'impiego anche di lampade di poche candele.
Anche per gli apparecchi nei quali il regime è a sua volta determinato dal carico (come per i motori in cui esso è determinato dalla coppia resistente opposta dalla macchina operatrice) è quasi esclusivamente adottata la distribuzione a tensione costante, come quella che sola permette, con la necessaria semplicità di mezzi, un funzionamento stabile; cioè che consente al motore di adeguare, rallentando la velocità, la coppia motrice alla cresciuta coppia resistente.
Perciò la generalità delle reti di distribuzione dispone gli apparecchi in parallelo secondo gli schemi delle figg. 48 e 49, e cerca di mantenervi costante la tensione, o almeno di contenerne le oscillazioni in modo che nel passaggio da vuoto a pieno carico la variazione della tensione non superi, per l'utenza posta in condizioni topografiche più sfavorevoli, quella consentita dalla stabilità degli apparecchi impiegati. Quando questa condizione è realizzata, e gli utenti possono disporre dei loro apparecchi, senza risentire o far risentire ad altri inconvenienti, si dice che la rete di distribuzione è elastica.
Gli apparecchi sotto questo punto di vista più delicati sono le lampade, la cui luce diminuisce fortemente, se la tensione scende 15 ÷ 20 volt sotto alla tensione normale, e brillano di luce vivissima per bruciare però dopo qualche ora, se la tensione sale di altrettanto, cosicché occorrerebbe che essa non oscillasse sulla tensione segnata sullo zoccolo di più del 3 ÷ 4%.
Per raggiungere questo scopo in un distributore a sbalzo, cioè alimentato da un solo estremo A, dove la tensione possa considerarsi costante (fig. 50) basta che questo scarto limite di tensione non superi la caduta di tensione in un filo di fase, espressa per la legge di Ohm da
dove i prodotti come iλ, in ampère × metri sono i cosiddetti momenti delle correnti, s la sezione in mmq. e k la conducibilità, cioè il numero che esprime la lunghezza in metri (circa 60 per il rame) di un filo di un mmq. che presenta la resistenza di un Ohm.
Ci sarebhe a rigore da considerare, specie per linee aeree, anche la caduta induttiva, ma la fase di questa, in quadratura con la corrente, fa sì che, finché la corrente è a sua volta in fase con la tensione (come praticamente avviene per le lampade) essa non ha influenza sensibile sull'oscillazione che si vuol limitare.
Se la strada seguita da un distributore a un bivio si ramifica, il distributore fa altrettanto, e se le circostanze aiutano può anche chiudersi ad anello; ma comunque non si va molto lontano, circa due volte in metri la tensione in volt (a meno di adoperare una quantità eccessiva di rame).
Non resta che moltiplicare i centri d'alimentazione, cioè i punti a tensione costante come A. e far ciascuno eentro d'una propria rete di distribuzione; a meno che non si riuniscano le singole reti in unica rete in parte a maglie chiuse, di cui un certo numero di nodi sia trasformato in centri d'alimentazione. Il controllo delle cadute di tensione e della distribuzione delle correnti diventa allora estremamente laborioso, anche se fondato su principî fisici semplici (principî di Kirchhoff) e sull'impiego di procedimenti analitici poco più che elementari.
In genere non conviene alimentare motori con questa rete, potendo distributori a parte profittare della minor sensibilità dei motori agli scarti di tensione e anche della possibilità d'impiego di tensioni più elevate (500 volt e più); tanto più che una più larga disponibilità di caduta di tensione è qui più necessaria, perché trattandosi di carichi quasi sempre induttivi, agli effetti dell'oscillazione di tensione non è più soltanto la caduta ohmica quella che conta; ma occorre aggiungere a questa, sia pur limitata alla componente attiva della corrente, la caduta induttiva determinata dalla componente reattiva della corrente stessa. La spiegazione è data dal diagramma vettoriale della fig. 51 (esagerato per chiarezza nelle proporzioni delle cadute di tensione) il quale, per una fase d'un distributore a sbalzo a sola erogazione di estremità, segna in OA la tensione terminale di pieno carico e in OJ la corrente corrispondente; sommando a OA la caduta ohmica AB e la caduta induttiva BC si giunge in OC alla tensione all'origine, che è anche, nell'ipotesi fatta, la tensione a vuoto l'oscillazione risultante AD può essere praticamente confusa con AG, che è appunto la somma delle cadute di tensione prima indicate.
Comunque: per ottenere il buon funzionamento della distribuzione, si presenta la necessità di mantenere costante la tensione nei centri di alimentazione, problema assai semplice finché si trattava d'alimentare un unico centro d'alimentazione con una piccola centrale autonoma (in quanto tutto si riduceva a mantenere costante la tensione alla generatrice nel primo caso, o ad innalzarla col carico nel secondo in modo da compensare in ogni momento la caduta di tensione nell'alimentatore, che poteva perciò essere sottratta alle strettoie imposte dall'elasticità e contenuta in limiti molto più ampî in base a considerazioni di massimo tornaconto), ma senza paragone più arduo non appena si doveva controllare la tensione contemporaneamente su un numero anche limitato di punti, e occorreva quindi accoppiare alla regolazione della tensione in centrale la regolazione della caduta di tensione sui singoli alimentatori; è quanto effettivamente si faceva negl'impianti a corrente continua.
Con la corrente alternata soccorre l'impiego dei trasformatori di distribuzione chiusi nelle cosiddette cabine. Così si porta la tensione d'alimentazione a 6, 10, 15 mila volt, separando nettamente il relativo circuito dalla distribuzione; in questo modo si può fare una vasta rete, pur contenendo in limiti assai ristretti la caduta di tensione, o meglio, la differenza di tensione d'alimentazione fra le cabine alimentate dalla stessa rete.
È il caso tipico dei grandi centri urbani, dove, soddisfatta questa condizione, la rete d'alimentazione fa capo a una grande sottostazione di trasformazione, nella quale son predisposti i mezzi per mantenere costante la tensione nel baricentro della rete, compensando anche, almeno approssimatamente, le variabili cadute di tensione che si determinano negli stessi trasformatori di distribuzione. In tal caso la sottostazione è una vera officina con personale permanente d'esercizio, talora munita dell'autorità di regolare essa l'esercizio delle centrali che l'alimentano e ad ogni modo capace d'influire sulla tensione d'alimentazione con lo smistare i servizî tra le diverse linee in arrivo, col variare il numero dei trasformatori sotto carico, con l'uso di trasformatori a prese multiple manovrabili eventualmente sotto corrente, con l'impiego dei cosiddetti condensatori rotanti. Questi sono alternatori sincroni, collegati alla rete e fatti funzionare come motori sincroni a vuoto. Se sono scarsamente eccitati, richiamano dalla linea correnti reattive in ritardo rispetto alla tensione; se sono fortemente eccitati, la corrente reattiva s'inverte di senso, diventando in anticipo rispetto alla tensione. L'impiego di questi motori sincroni rende appunto possibile una facile registrazione della tensione all'arrivo. Se la loro eccitazione è esattamente aggiustata essi non fanno sorgere alcuna corrente reattiva e si limitano ad assorbire dalla rete la sola potenza elettrica che corrisponde alle loro perdite.
Assai più arduo è il problema per la distribuzione nei piccoli centri e nelle zone rurali, dove si può far uso di opportune linee collettrici, ancora tra 6 e 15 mila volt, per allacciarsi con più modeste sottostazioni alla rete primaria ad alta tensione, possibilmente in corrispondenza a qualche nodo, dove si possa utilmente assolvere anche al compito dello smistamento. Allora, specialmente nelle zone rurali, alle cabine sono spesso sostituiti semplici trasformatori su palo; ma è intuitivo che non si può raggiungere che una regolazione della tensione piuttosto grossolana, sia perché i centri d'alimentazione insieme allacciati possono essere molto lontani l'uno dall'altro, sia perché la tensione sulla rete primaria è necessariamente regolata dalle esigenze dei centri maggiori, sia infine perché sarebbe generalmente troppo costosa una regolazione locale: ci si accontenta di raggiungere una medesima tensione di distribuzione nelle ore di massima illuminazione con una graduale modifica del rapporto di trasformazione dei trasformatori di distribuzione installati nei diversi punti, consentendo nelle altre ore un'ampiezza sempre maggiore di oscillazioni col crescere della distanza dalla sottostazione, e della distanza di questa dai centri di maggior consumo.
Dalla rete di distribuzione e d'alimentazione, quasi esclusivamente sotterranea nei grandi centri, aerea nei centri minori e nelle zone rurali, si passa così alla rete di distribuzione primaria ad alta tensione, esclusivamente aerea a meno di eccezionali tronchi di penetrazione, rete beninteso assai più rada, che si è sviluppata gradualmente coi bisogni, senza, fino almeno agli ultimi anni, un preciso piano di coordinamento.
Sono linee a 20, 30, 50, 70 mila volt, destinate ad allacciare i centri di consumo - sottostazioni - con le centrali grandi e piccole di produzione, di cui anzi un gran numero di termo-elettriche, ora demolite o inattive, erano aggregate alle sottostazioni dei grandi centri come riserva.
Col tempo, e con l'esempio delle centrali idroelettriche sempre più grandiose, si è sempre più potuto apprezzare anche per le centrali termoelettriche i vantaggi della concentrazione della produzione dell'energia: d'altra parte la necessità d'inoltrarsi sempre più addentro nelle zone montane per trarne volumi sempre più imponenti d'energia ha condotto alla convenienza di superare distanze di alcune centinaia di km. con linee a 100 e fino, per ora, a 220 mila volt, che riunissero gruppi di grandi centrali idroelettriche coi baricentri più importanti del consumo. Da ciò la convenienza di concentrare riserve termiche adeguate (o meglio, possibilità di produzione d'energia termica) capace di permettere una più completa utilizzazione delle centrali idroelettriche intervenendo nelle epoche di magra, se non proprio nei baricentri sovraccennati, là dove, in prossimità ai medesimi, concorressero i requisiti fondamentali di facile accesso per il combustibile e di larga disponibilità d'acqua per la condensazione.
Ci si trova così davanti a un complesso di linee d'importanza diversissima per distanze superate e per volumi di energia trasmessi, ma che, nel passare dalle poche migliaia di volt degli alimentatori, attraverso alle decine di migliaia di volt delle reti primarie, per giungere ai 100 e ai 200 mila volt delle superlinee, tendono a differenziarsi elettricamente in maniera ben netta e a richiedere perciò procedimenti di calcolo affatto diversi, principalmente perché, con l'aumento della tensione, assumono importanza i fenomeni dovuti al campo elettrostatico.
Mentre infatti sono sempre sensibili i fenomeni concomitanti al campo elettromagnetico, in quanto le correnti che lo producono non si allontanano mai troppo (per la convenienza di non scendere con le sezioni dei conduttori al di sotto dei 6 o 10 mmq. e la necessità di utilizzare in ogni caso il materiale installato, dai limiti di 10 e rispettivamente di due o trecento ampère) i fenomeni proprî dei campi elettrostatici, a parte quelli di cui è possibile sostenere le conseguenze con un adeguato irrobustimento degl'isolanti, e a parte il caso dei cavi, non si fanno veramente sentire che a partire dai 100.000 volt.
Perciò occorre in ogni caso tener conto (eccetto, come si è visto, nel caso di distributori per luce), oltre che della caduta ohmica, anche della caduta di tensione induttiva: questo non offre nessuna particolare difficoltà, finché la corrente di linea può essere ritenuta costante, e si può perciò, dalla reattanza chilometrica ωL, dove la pulsazione è
e il coefficiente di autoinduzione, indicato con d e D il diametro e la distanza fra i fili, è
passare alla reattanza totale ωlL, dove l indica la lunghezza della linea in km., alla caduta di tensione induttiva totale ωLlJ.
Tenuto conto che tale caduta è in quadratura con la corrente, mentre la caduta ohmica, rJ per km., è in fase, può anche convenire d'introdurre la considerazione dell'impedenza chilometrica
e quindi della totale caduta di tensione ohmica e induttiva ZlJ in anticipo sulla corrente J d'un angolo ρ tale che
Il diagramma vettore, che può esser di guida è ancora quello della fig. 51, dove AC è appunto questa caduta di tensione totale; esso non solo permette di determinare la tensione all'origine della linea OC - s'intende stellata - nell'ipotesi della tensione terminale OA costante, ma anche la potenza all'origine, l'entità delle perdite (che non sono più proporzionali alla caduta di tensione, come avveniva invece per la corrente continua) e l'influenza in genere d'ogni variazione nell'intensità della corrente erogata J e della sua fase ϕ sul comportamento della trasmissione.
Ma se la tensione d'esercizio si eleva fino ai valori applicati alle superlinee, allora si rendono sensibili le conseguenze del fatto, che i conduttori della linea e la terra stessa si comportano come le armature d'un sistema complesso di condensatori, che alternatamente caricati dalle differenze di potenziale alternative applicate generano, attraverso l'ambiente interposto, delle correnti di spostamento, che investono i conduttori trasformandosi ivi in correnti di conduzione che si chiudono - al pari di ogni altra corrente di linea - attraverso l'apparato generatore, modificando gradualmente l'intensità risultante nei conduttori.
Una tale corrente di spostamento risulta per un km. di filo pari al prodotto ωCV, dove la capacità per un filo d'una linea trifase è, a trascurare la presenza della terra,
Qui non è il caso di considerare la corrente totale di spostamento sotto la forma ωClV, se non per avere un'idea dell'intensità di corrente, che può essere messa in gioco su una linea a 100.000 volt, per cui la tensione stellata è quindi 100.000/√3 = 58.000 volt, della lunghezza di un paio di centinaia di km., perché la tensione, neppure a vuoto, si mantiene la stessa sull'intero sviluppo della linea.
La dualità si completa piuttosto nel senso che alla corrente di spostamento si aggiunge, sebbene con un'intensità di gran lunga minore, una corrente di dispersione, dipendente dalla difficoltà di ottenere sotto tensioni così elevate un isolamento assolutamente efficace, cui può darsi su un km. di filo, per cui sia pari a 1/g la resistenza d'isolamento, l'espressione gV; il fatto dell'esser questa una corrente in fase con la tensione, mentre l'altra anticipa sulla tensione di 90° può dar luogo alla considerazione dell'ammettenza chilometrica
affetta (considerata come grandezza vettoriale) dell'angolo stesso γ, di cui anticipa la corrente a vuoto sulla tensione, e tale che
la corrente a vuoto, riferita al km., avendo per espressione il prodotto YV.
In una superlinea, allora, sia la tensione sia la corrente variano da sezione a sezione, e il fatto può essere analiticamente rappresentato, fissando quanto avviene della tensione e della corrente nel passaggio dalla sezione x della linea, contata a partire dal termine della linea stessa, alla sezione x + dx; si ottengono le espressioni duali
dove la speciale notazione col puntino al disopra sta a indicare che si tratta di grandezze vettoriali, definita ciascuna da un modulo A e da un argomento α.
La separazione delle variabili conduce a un sistema di equazioni differenziali lineari del secondo ordine, che, integrato e applicato all'origine della linea x = l, permette di determinare per una qualunque condizione di carico le corrispondenti tensioni e correnti all'origine.
Le relazioni che risolvono il problema risultano del tipo:
dove il calcolo dei coefficenti b???, Äc, e ßo implica, quando non ci si accontenti (come spesso in pratica è sufficiente) di procedimenti approssimati, l'impiego, insieme alle funzioni trigonometriche, anche delle funzioni iperboliche.
Da questo risultato così simmetrico, risulta evidente una dualità almeno formale fra corrente e tensione, per cui, sotto carico, la tensione all'origine può essere considerata come la somma della tensione a vuoto all'origine della trasmissione b???Ù e della caduta di tensione di corto circuito ÄcJ???, e la corrente come la somma della corrente di corto circuito riportata all'origine b???Ù e della corrente a vuoto ßoÙ, come tensione e corrente all'origine risultassero dalla sovrapposizione di quanto avviene nella trasmissione rispettivamente a vuoto sotto la tensione terminale Ù e in corto circuito sotto la corrente terminale J???; i due regimi, che vengono perciò a costituire la base dello studio d'una superlinea, possono anche essere rappresentati graficamente nella fig. 52, dove le linee grosse vanno lette nella scala dei volt e le linee sottili nelle scale degli ampère; da rilevare il fatto che il coefficiente b, che compare identico in entrambi i diagrammi col suo argomento a, è di qualche cosa minore dell'unità, in corrispondenza a uno dei tanti aspetti del noto fenomeno di Ferranti.
La sovrapposizione dei due diagrammi - non si dimentichi che assumendo come origine degli argomenti la direzione del vettore V, il vettore J, vi dev'essere riportato col proprio spostamento di fase ϕ - dà luogo alla costruzione e ai risultati in fig. 53, costruzione e risultati ehe sostituiscono quelli della fig. 51 prima illustrati per il caso che si fossero potute trascurare le correnti di spostamento e di dispersione.
I procedimenti ora accennati analitici e grafici, opportunamente sviluppati, possono permettere uno studio praticamente completo del comportamento elettrico di una superlinea.
Anche le linee in cavo, convenientemente ridotti i valori dei coefficienti di autoinduzione e ampliati i valori invece delle capacità, possono essere studiate in analogo modo, ma mentre le correnti di spostamento vi acquistano un'importanza - a parità di lunghezza e di tensione - anche decupla (ciò che obbliga a tenerne conto già per tensioni d'esercizio molto meno elevate) difficilmente interessa la loro distribuzione; al più interessa soltanto, e in maniera approssimata, il loro valore globale.
Anche dimensionato un circuito nel miglior modo sotto il duplice aspetto tecnico ed economico, non è detto ancora che possa essere realizzato senza inconvenienti: occorre completarne lo studio meccanico e costruttivo; particolarmente delicato è sotto questo aspetto il comportamento delle grandi campate e dei sostegni delle moderne linee aeree, dove, specie nelle zone montuose, le variazioni di temperatura e i sovraccarichi oppongono al tecnico difficoltà e problemi ardui e complessi; c'è inoltre da garantirsi che, per effetto delle perdite stesse nei conduttori, non possano verificarsi eccessi pericolosi di temperatura; c'è da considerare il comportamento dei dielettrici (l'aria compresa) sotto l'azione dei gradienti elevati di potenziale, che possono manifestarsi nelle zone immediatamente attigue ai conduttori, e che talora possono costituire una minaccia pericolosa per l'integrità dei cavi o dar luogo a perdite economicamente insostenibili; c'è il problema della protezione delle reti dalle sovracorrenti e dalle sovratensioni, con lo studio dei fenomeni complessi per cui talora sovracorrenti e sovratensioni pericolosamente si concatenano; c'è tutto l'arduo problema della coesistenza degl'impianti di trasmissione e di distribuzione dell'energia con gl'impianti telegrafici e telefonici, irto anch'esso di difficoltà teoriche e pratiche.
Consumo dell'energia. - Contatori. - Gli utenti delle reti di distribuzione - a parte il caso di patti speciali, concepibili solo per le grandi forniture - possono usarne, nei limiti della loro installazione, quanto più loro aggrada.
Naturalmente questa libertà di utilizzazione (per quanto con un gran numero di utenti indipendenti il ritmo dei consumi si svolga con una notevole regolarità) implica la necessità di adeguare, senza spreco, la disponibilità alla richiesta. Ci si perviene sia attraverso l'accoppiamento di centrali a diverso regime, o mediante accumulazione d'energia, sia attraverso il gioco delle tariffe, adeguando queste alle diverse caratteristiche del consumo. Naturalmente secondo il tipo di contratto di fornitura, variano gli apparecchi misuratori dell'energia consumata. Per i contratti a consumo, sono stati adottati i cosiddetti contatori; per i contratti a forfait, invece, sono stati ideati limitatori. Spesso però per questi ultimi contratti la corrente si è data fiduciariamente, senza apparecchi di controllo. La tariffa più semplice e più comune è quella cosiddetta a consumo, per cui si descriverà qui di seguito, fra tutti gli apparecchi, appunto il contatore a induzione che è il più usato.
Questo contatore ha una parte, o, come si dice, l'equipaggio mobile, costituito semplicemente da un leggerissimo disco d'alluminio affidato a un sottile perno d'acciaio montato, per quanto è possibile, senza attrito tra due supporti; dall'asse, con un minuscolo treno riduttore d'ingranaggi, il movimento è trasmesso a un integratore di giri a cifre scattanti, così che la differenza delle letture misuri il numero di giri compiuto dal contatore nell'intervallo.
Questo nasce dall'accoppiamento d'un motore con un freno, organo mobile d'entrambi essendo, su settori diversi, il disco sovraccennato.
Il sistema induttore del motore è bifase con un avvolgimento in serie con l'impianto interno e l'altro in derivazione, montati su un complesso di pacchetti di lamierini di ferro, che abbrancano senza toccarlo, limitatamente a un piccolo settore, il bordo del disco, e che sono disposti simmetricamente rispetto all'avvolgimento in derivazione pei evitare la marcia a vuoto: una leggiera dissimetria è però intenzionalmente conservata per fissare, in contrasto a una coppia frenante supplementare e indipendentemente dall'attrito, il carico di avviamento.
Le cose sono disposte in modo che, quando corrente e tensione sonn in fase, i flussi corrispondenti ai due avvolgimenti sono in quadratura; la loro coesistenza si traduce allora in un flusso di polarità periodicamente alternata, che si sposta tangenzialmente attraverso il bordo del disco per l'ampiezza del settore; così si determina nel disco una corrente indotta e una coppia proporzionale alla potenza: se per ipotesi corrente e tensione fossero in quadratura - potenza zero - i flussi componenti risulterebbero in fase, il flusso risultante sarebbe un flusso alternativo, la coppia sarebbe zero, così come quando, per esser zero la corrente assorbita, sussiste soltanto il flusso componente dovuto al circuito in derivazione.
Il freno nasce dall'azione d'un magnete permanente, che abbranca senza toccarlo su un altro settore l'orlo del disco; quando il disco, sotto l'azione del motore, comincia a muoversi, il magnete v'induce una corrente, che cresce con la velocità, determinando una coppia resistente proporzionale alla velocità stessa; essa aumenta finché la coppia motrice è equilibrata per una velocità proporzionale alla potenza.
È ovvio che, se per una data potenza, il disco compie un certo numero di giri all'ora (e il contagiri ne registra le centinaia) per una potenza doppia è anche doppio il numero dei giri e la relativa registrazione.
Bibl.: C. van Gastel, Calcul et construction des résaux, Bruxelles 1925; Woodruff, Principles of electric power transmissions and distribution, Londra 1925; G. Revessi, La transmissione e la distribuzione dell'energia, Brescia 1926; U. Herzog Feldman, Die elektrischen Leitungsnetze, Berlino 1927; H. Waddicor, The Principles of electric power trasmission, Londra 1928; M. Klein, Kabeltechnik, Berlino 1929; L. Emanueli, I cavi ad alta tensione, Milano 1930; A. Dalla Verde, Calcolazione elettrica delle grandi linee di trasmissione, Milano 1930; H. Kyser, Die elektrische Kraftübertragung, Berlino 1930.
Industria.
L'industria di produzione e distribuzione dell'energia elettrica cominciò a organizzarsi subito dopo l'invenzione della lampada a incandescenza (1879). Da allora essa ha assunto un tale sviluppo tecnico ed economico da acquistare, insieme alla collaterale industria delle costruzioni elettrotecniche, una posizione di primo ordine. Si valuta con larga approssimazione (Motta) che in questa industria fossero investiti nel 1931 più di 600 miliardi di lire attuali di cui 230 negli Stati Uniti e 25 in Italia, e che l'energia prodotta nel 1930 fosse di circa 280-300 miliardi di kWh con un valore commerciale di 170-200 miliardi di lire; mentre il valore del materiale e del macchinario elettrico prodotto annualmente nel mondo è forse superiore ai 60 miliardi di lire. Per i capitali che vi sono investiti, l'industria comincia ad essere paragonabile a quella delle ferrovie.
Progressi tecnici. - I primi impianti di Edison e dei suoi concessionarî erano a corrente continua e di modestissima potenza; alimentavano piccole reti per illuminazione. Pochi anni dopo entrava nell'uso la corrente alternata; col nuovo sistema la casa Ganz nel 1886 faceva gl'impianti di Vienna, Roma, Venezia e altri minori; nel 1892 Brown eseguiva il primo esperimento di trasmissione dell'energia con corrente trifase (Lauften-Francoforte); negli Stati Uniti, G. Westinghouse, in concorrenza con Edison, strenuo difensore della corrente continua, si faceva campione della corrente alternata e costruiva gli alternatori bifasi del primo impianto del Niagara, che cominciarono a funzionare nel 1895. I due sistemi coesistevano fino ai primi anni del sec. XX; ma già nel 1910 la corrente alternata era in fortissima prevalenza e, dopo la guerra, sostituiva quasi del tutto la continua anche nelle reti cittadine di distribuzione (v. elettrotecnica). La corrente continua è presentemente confinata a poche applicazioni ma, se si riuscirà a convertire la corrente continua in alternata per mezzo dell'ampolla elettronica, che già assicura il passaggio dalle alternate polifasi alla continua, è possibile che quest'ultima sia adottata per le grandi linee di trasmissione, con vantaggio economico.
A prescindere da questi orientamenti generali della tecnica, quel che più conta notare nel periodo che va dalle origini dell'industria agli anni recenti è il grande progresso nella potenza del macchinario e degli impianti. La centrale Edison di Pearl Street a New York impiantata nel 1882 aveva 4 dinamo da 80 kW ciascuna; la tensione era di 110 volt. La prima centrale del Niagara, impiantata nel 1893-95, aveva tre alternatori bifasi da 5 mila HP ciascuno, a 25 periodi, 2200 volt. Da questi si è passati gradualmente ai colossali turboalternatori installati nelle centrali americane, con potenza di 160 mila kW ciascuno e alle centrali da 500 mila HP. La potenza della turbina idraulica della centrale di Appleton era di una decina di HP, le turbine dell'impianto che l'U. R. S. S. costruisce sul fiume Dnepr, hanno una potenza di 85 mila HP e sono capaci di smaltire, alla velocità di 88 giri al minuto primo, una portata di 200 mc. al secondo, ciascuna. Le prime linee di trasmissione avevano una tensione di 110 volt e una lunghezza di qualche chilometro; negli Stati Uniti sono diventate comuni le trasmissioni a 220 mila volt per grandi distanze; in Italia una linea di 220 mila volt trasporta energia da Cardano a Cislago; in Germania una linea costruita per la tensione di 380 mila volt ma funzionante ancora a 220 mila, lunga 650 km., congiunge i giacimenti di lignite della Renania agl'impianti idraulici austriaci e svizzeri. Dalle lampade a 16 candele di Edison si è passati a quelle a filamento di tungsteno nel gas, che arrivano a 260.000 (10 kW).
Anche i costi del materiale e del macchinario sono fortemente ribassati. Le prime lampade Edison costavano dollari 1,25 ciascuna; oggidì, lampade molto più grandi e più perfette costano meno di un quarto. Le prime dinamo Edison pesavano 27 tonnellate e si pagavano 200 mila lire attuali; dinamo moderne di eguale potenza oggi peserebbero intorno a 25 quintali e non supererebbero il costo massimo da 15 a 20 mila lire.
Altri progressi vanno registrati. Alle motrici a stantuffo si sono sostituite le turbine a vapore nel mentre si perfezionavano le caldaie, sicché il rendimento degl'impianti termici, da poco più del 10% che era nel 1880, si è avvicinato al 30% (fig. 54). Grazie ai perfezionamenti nel disegno generale e nel macchinario delle centrali e anche all'uso di generatori più grandi e all'aumento delle vendite di energia, il consumo di carbone si è ridotto di molto, specie dopo la guerra mondiale: negli Stati Uniti da 1450 gr. per kWh prodotto, che era nel 1919, scendeva a 750 nel 1930 (fig. 55); ormai il consumo delle migliori centrali è di 500 gr. per kWh. Il rendimento delle turbine idrauliche, dal 75% che era nel 1880, ora è del 94% (fig. 54). Il rendimento della lampada a incandescenza, da 2 lumen per watt (poco più di 1/5 di candela) è salito a 13 lumen in media, raggiungendo in qualche caso anche i 26.
Le economie realizzate sul costo di produzione si sono tradotte in ribassi delle tariffe: agli Stati Uniti, si calcola che il costo dell'energia per usi domestici fatto uguale a 100 alla fine del 1902, scendeva a 65 nel 1913 e a 45 alla fine del 1930; a Milano nel 1902 l'energia per illuminazione si vendeva a L. 1 per kWh; nel 1915 a L. o,40; attualmente a L. 1,10 carta, pari a L. 0,30 dell'anteguerra. Ma, ancor più che nei ribassi di tariffe qui sopra registrati il progresso tecnico si riflette nel miglioramento dei servizi che, avvantaggiando grandemente il consumatore, ha servito a diffondere in tutte le classi della popolazione l'uso dell'energia elettrica.
Relazioni fra produzione, consumo, costi. - Dal punto di vista tecnico-economico, una delle caratteristiche più importanti degli impianti elettrici in servizio pubblico è che essi debbono esser capaci di soddisfare a una domanda molto variabile di energia. L'illuminazione è richiesta quasi esclusivamente nelle ore notturne; la forza motrice prevalentemente nelle diurne. Non solo, ma l'industria moderna della produzione e distribuzione dell'energia elettrica originariamente fu creata per soddisfare, anzitutto, alla comodità dei piccoli consumatori, consentendo loro il diritto di attingere alla rete quando meglio loro piacesse. Giunta al successo finanziario appunto perché offriva questo vantaggio in misura maggiore della sua concorrente, quella del gas illuminante, l'industria ha sempre avuto interesse a offrirlo, perché i consumatori sono disposti a pagare quel che costa.
Se in un appartamento sono installate 20 lampade da 50 candele ciascuna, può darsi che in certi momenti siano tutte accese, assorbendo i kW; più spesso, però, saranno spente per la maggior parte. Agli Stati Uniti si calcola che un simile impianto consumi in media 600-700 kWh all'anno, invece degli 8760 che consumerebbe se tutte le lampade fossero sempre accese. Tuttavia, mentre le lampade di un appartamento sono tutte accese, ordinariamente non lo sono quelle degli altri e così una centrale, per assicurare l'illuminazione di 1000 appartamenti con 20 lampade ciascuno, ha bisogno di tenere a loro disposizione una potenza molto minore di 1000 kW. La potenza necessaria è tanto minore e l'erogazione di energia tanto meno variabile, quanto maggiore è il numero degli appartamenti serviti.
Le cose vanno in modo simile anche per i consumi per forza motrice i quali, però, durano per periodi molto più lunghi della giornata che non l'illuminazione. Quello ora accennato è uno dei principali vantaggi dei grandi impianti in servizio pubblico, in confronto ai piccoli impianti privati. Tale vantaggio, però, se gli utenti sono sparsi in una zona troppo vasta, può trovare attenuazione nel maggior costo della rete di distribuzione.
Se si rappresenta il consumo giornaliero complessivo di una rete in un diagramma che ha per ascisse i tempi e per ordinate le potenze medie impegnate, si ottiene una curva che è differente secondo che si riferisce a giorni feriali oppure festivi, a giorni d'inverno oppure d'estate; ma varia da un anno all'altro solo di quel poco che corrisponde al cambiamento di abitudini dei consumatori e, dipendendo da queste, ha forma che si può considerare caratteristica per ciascuna rete. Riferendosi, anche tacitamente, a questi diagrammi, si usa parlare di punta del consumo oppure del carico e di carico base.
Si chiama poi fattore di concentrazione il rapporto fra l'ordinata massima del diagramma del consumo complessivo e la somma delle ordinate massime dei diagrammi del consumo dei singoli utenti di una stessa categoria e fattore di diversità il rapporto fra l'ordinata massima del diagramma del consumo complessivo e la somma delle ordinate massime dei diagrammi del consumo di singoli utenti di categorie diverse. (Taluni, con gli stessi nomi, preferiscono designare i rapporti inversi).
Ordinariamente si ha un periodo di consumo minimo verso il mezzogiorno, in corrispondenza della chiusura degli stabilimenti e degli uffici, e una punta nelle prime ore della sera, quando il consumo per illuminazione si sovrappone a quello per forza motrice; un'altra punta, generalmente molto più bassa, nelle ore del mattino corrispondenti all'inizio del lavoro, o immediatamente precedenti. L'altezza di queste punte è minima in estate, massima in inverno. L'uso di cucine elettriche, il lavoro notturno di stabilimenti industriali, l'alimentazione di reti tranviarie o ferroviarie, sono tutti fattori che modificano la forma del diagramma. Nella fig. 56 sono riprodotti i diagrammi di Milano (rete della Soc. Edison) e di Roma, nella fig. 57 di Berlino e di Detroit. I diagrammi di Roma e di Berlino sono di reti nelle quali prevale il consumo per illuminazione; gli altri due, di reti che forniscono molta energia per forza motrice.
Un'altra importantissima caratteristica dell'industria dipende dal fatto che l'energia elettrica non è immagazzinabile e deve essere prodotta nello stesso momento nel quale è consumata.
Parecchi dei vecchi impianti a corrente continua erano forniti di accumulatori (v.), i quali erogavano l'energia nelle ore di punta. Presentavano gravi svantaggi: alto costo, rapido deperimento, forti perdite (20-30%). Scomparvero con la sostituzione della corrente alternata alla continua.
La potenza delle centrali che alimentano la rete dev'essere eguale alla massima richiesta nelle punte ordinarie del consumo; meglio ancora, a quella richiesta nelle punte eccezionali; perché gli utenti sono sempre meno disposti a tollerare anche quelle piccole deficienze che si manifestano con l'abbassamento della tensione e l'oscuramento delle lampade. Inoltre, è necessaria una certa potenza addizionale, come riserva in caso di guasti. Per conseguenza, gli impianti sono completamente utilizzati solo per qualche ora della giornata mentre, per il fatto che essi impiegano pochissimi operai, sarebbe facile farli funzionare a pieno carico per tutte le 24 ore.
Nel caso delle centrali termiche, al funzionamento limitato a poche ore della giornata corrisponde una più alta quota di ammortamento, interessi e spese generali per ogni kWh prodotto, rispetto a quello che sarebbe se il funzionamento fosse continuo; però le spese per combustibile ed altre accessorie sono ridotte, presso a poco, nella stessa proporzione della produzione di energia. Nel caso delle centrali idrauliche, invece, quando l'energia non è richiesta dai consumaturi, essa va perduta con l'acqua che potrebbe fornirla se l'impianto non è provvisto di serbatoi. In tutti i casi, il costo del kWh consumato decresce rapidamente con l'aumentare del consumo complessivo; più rapidamente nel caso delle centrali idrauliche senza serbatoi né accumulazione; meno rapidamente nel caso delle centrali termiche e delle centrali idrauliche con serbatoio; è minimo quando la centrale funziona a pieno carico per tutte le 24 ore.
Questo fatto, insieme a ragioni comuni a tutte le industrie, giustifica la vendita a prezzi multipli, cioè l'uso di cedere l'energia a tariffe diverse secondo la categoria dei consumatori e le condizioni alle quali è sottoposta la fornitura. Se, p. es., una centrale senza serbatoi utilizza un corso d'acqua a portata costante e se un nuovo consumatore le chiede una fornitura di energia limitata a quelle ore notturne nelle quali gli altri utenti non la consumano, per quanto bassa sia la tariffa richiesta è evidente che converrà concederla, perché alla fornitura non corrisponde quasi nessuna maggiore spesa. Erano questi i cosiddetti cascami di energia che hanno servito a far sorgere anche in Italia parecchie industrie, specialmente chimiche. Lo stesso si può dire dell'energia che esubera in certe stagioni dell'anno, p. es. in estate nei fiumi alpini. La quantità dei cascami, naturalmente, si riduce con la diffusione dell'uso dell'energia elettrica e col collegamento degl'impianti; resta sempre, però, la convenienza a cedere l'energia a tariffe diverse, in modo da rendere più regolare il diagramma del consumo. Con speciali tariffe bassissime è possibile vendere energia a grandi consumatori che avrebbero convenienza a produrla direttamente, p. es. con motori Diesel. Queste tariffe non solo non peggiorano la posizione del piccolo consumatore, ma lo avvantaggiano indirettamente, contribuendo a ridurre la quota di spese generali che grava sull'energia fornitagli.
Il fatto già accennato, che la potenza degl'impianti deve essere tanto minore, quanto maggiore è il numero degli utenti e maggiormente differenti le categorie alle quali esse appartengono, porta a collegare le centrali con reti di distribuzione sempre più vaste. Ormai normalmente la rete di una grande società elettrica serve intere regioni e le reti di tutto uno stato sono, generalmente, collegate l'una all'altra. Non solo, ma non mancano esempî di reti che si alimentano in uno stato confinante: p. es. l'Italia settentrionale, la Francia e la Germania importano energia dalla Svizzera; la Svezia dalla Danimarca; gli Stati Uniti dal Canada. Agli Stati Uniti sono state progettate reti estese a parecchi Stati e anche a tutta la Confederazione. È stata progettata una rete che dovrebbe alimentare tutta l'Europa, con linee principali a 400 oppure a 660 mila volt. Le economie che simili collegamenti consentirebbero sembrano a prima vista grandissime, perché i corsi d'acqua di una bassa catena di montagne sono in piena quando entrano in magra quelli alimentati dai ghiacciai delle montagne più alte. A favore della rete europea starebbe il fatto che le punte dovute all'illuminazione, per le differenze di longitudine e di latitudine, sarebbero distribuite in cinque ore. In realtà, però, molti dei collegamenti esistenti servono piuttosto da riserva in caso di guasti anziché a trasmettere regolarmente forti quantità di energia perché, oltre che del costo delle linee, bisogna tener conto delle perdite di energia che in esse si hanno. Allo stato attuale della tecnica, il trasporto per mare del carbon fossile costa molto meno di quanto non venga a costare il trasporto dell'energia elettrica corrispondente. Anche il trasporto del carbone per ferrovia è più conveniente, quando la distanza supera i 200 km se la tensione della linea non supera i 200 mila volt; quando la distanza supera i 1000 km. se la tensione fosse di 400 mila volt. Questa, insieme alla difficoltà di trovare sul posto i grandi volumi d'acqua necessarî per i condensatori, è la ragione che ostacola l'altro vecchio progetto, di bruciare il carbone in grandi centrali elettriche alla bocca delle miniere.
Un servizio pubblico, come quello della produzione e distribuzione dell'energia, deve sempre più soddisfare ad un'altra condizione importantissima: la sicurezza della fornitura. Nelle zone dove l'elettricità è appena penetrata ed è ancora considerata poco meno che un lusso, possono essere tollerate delle interruzioni; ma non certo dove essa è divenuta un fattore essenziale della vita quotidiana come, p. es., nelle grandi città americane, nelle quali fa funzionare, non solo i pubblici servizî di trasporto, ma anche gli ascensori che costituiscono l'unico mezzo pratico di collegamento fra i piani superiori dei grattacieli e la strada e nelle quali gran parte dell'interno degli edifici è illuminata elettricamente anche di giorno; in qualche caso, anche ventilata artificialmente.
Le ragioni ora accennate, messe in rapporto con le vicende del prezzo dei combustibili e dei trasporti, spiegano perché sia prevalsa la tendenza a preferire le centrali termiche in certi anni, quelle idrauliche in altri.
I primi impianti idroelettrici sfruttarono le cadute d'acqua che meglio vi si prestavano; generalmente, dei grandi fiumi, limitandosi ad utilizzarne la portata costante; il costo dell'energia così ottenuta risultava bassissimo, quando si riusciva a collocarla tutta. Durante la guerra, l'alto costo e la difficoltà dei trasporti marittimi - ed anche il fatto che si pagavano in moneta svalutata gli ammortamenti e gl'interessi su impianti pagati in moneta aurea - contribuirono a diffondere nell'opinione pubblica la convinzione che l'energia idraulica dovesse sempre essere la meno costosa. S'intraprese, in questa maniera, la costruzione d'impianti idroelettrici di quel tipo col quale soltanto era ormai possibile ottenere grandi quantità di energia.
Molti di essi utilizzavano, con grandi serbatoi, corsi d'acqua a regime variabilissimo. Prevalse, inoltre, la tendenza - giustificata dal punto di vista nazionale - di preferire, non gl'impianti meno costosi, ma quelli che utilizzavano più completamente l'energia di un bacino imbrifero. Recentemente, ribassati i prezzi del carbon fossile e dei trasporti marittimi, cresciuto il costo del denaro, ribassato il costo e migliorato il rendimento delle grandi centrali termoelettriche, si è tornati a preferire queste ultime, alcune delle quali sono sorte anche in un paese sprovvisto di combustibili qual'è l'Italia.
Le stesse ragioni spiegano la diversa funzione che si assegna alle centrali termiche e a quelle idrauliche nei diversi paesi.
Le centrali idrauliche che sfruttano la portata perenne dei grandi corsi d'acqua e non sono provviste di serbatoi debbono essere utilizzate, di preferenza, per provvedere al carico base. Le centrali idrauliche provviste di serbatoi, invece, possono provvedere in modo più conveniente alle punte; ma resta sempre il fatto che il costo del kWh da esse prodotto è tanto minore, quanto più completamente sono utilizzate. Perciò, dove il combustibile è a buon mercato e la centrale termica efficiente, può convenire di affidarle il carico base, lasciando alla centrale idraulica a serbatoio di provvedere alle punte. L'accumulazione di vapore e l'accumulazione idraulica (v. sopra: centrali) servono a migliorare il regime delle centrali (producendo, nelle ore di scarso consumo, quell'energia che viene poi trasformata in elettrica nelle punte del diagramma), però il loro uso è limitato a pochissimi casi. In generale, si tengono come riserva o si destinano al servizio di punta le centrali a costo di produzione più alto.
Le centrali termiche hanno un costo, in conto capitale, molto più basso degl'impianti idraulici e siccome si costruiscono in un tempo molto minore ed è relativamente facile ingrandirle, consentono anche di differire la decisione al momento in cui l'aumento del consumo effettivamente ne richiede la costruzione, riducendo così l'importanza degli errori di previsione. Va notato che le caldaie di una centrale a vapore, per la possibilità di forzarne la marcia, possiedono una certa elasticità che manca alle centrali idrauliche e contribuisce al minor costo dell'impianto.
Quanto ai serbatoi, ve ne sono di diurni, che provvedono alle punte con l'acqua accumulata durante la notte; settimanali, che utilizzano nei giorni feriali anche l'acqua accumulata nei giorni festivi; stagionali, che utilizzano durante le magre l'acqua accumulata nelle morbide. Non va trascurato che, quando l'acqua serve all'irrigazione di colture ricche e, perciò, ha un notevole valore (come in certi impianti della Sicilia), l'erogazione dei serbatoi e l'utilizzazione della centrale sono subordinate alle esigenze delle colture. Singolare - da un punto di vista strettamente economico - è il partito che si trae dal minor consumo di energia nei giorni festivi per superare l'opposizione allo sfruttamento di corsi d'acqua che alimentano cascate particolarmente ammirate: si sottrae a queste l'acqua soltanto nei giorni feriali. Recentemente è stata regolata in tal modo la cascata delle Marmore. In America, dove l'idea è nata, si è progettato di regolare con criterî simili la cascata del Niagara e conciliare una maggior produzione di energia con le esigenze turistiche.
Quanto si è detto finora si riferisce specialmente alle imprese che vendono a terzi l'energia prodotta. Non va trascurato, però, che molti grandi consumatori preferiscono produrre direttamente l'energia elettrica loro occorrente.
Tariffe. - Si è già accennato alle ragioni dell'uso di vendere l'energia a prezzi diversi secondo la categoria dell'utente. Sin dagli inizî dell'industria, per compensare le variazioni del consumo per illuminazione, le imprese furono portate a favorire le industrie capaci di lunghi e uniformi orarî di assorbimento di energia e soprattutto quelle che, per la speciale natura del lavoro, come certe industrie elettrochimiche, erano meglio adatte a conformare l'intensità della lavorazione sulla disponibilità dell'energia. S'iniziava così una prima differenziazione tariffaria che doveva però presto complicarsi con l'estendersi delle applicazioni in ogni senso.
Si è riconosciuto intanto che la tariffa più razionale sarebbe quella cosiddetta binomia che è la somma di un termine proporzionale ai kW massimi richiesti e di un termine proporzionale ai kWh consumati. Il costo di produzione di un impianto, infatti, si compone di spese fisse (ammortamenti, interessi e altre spese generali; parte dei salarî, ecc.) che sono proporzionali alla potenza dell'impianto stesso, e di spese variabili proporzionali invece alla produzione. In queste condizioni siccome il costo dei kWh prodotti al di là di un certo limite si riduce al minimo, l'utente che si assumesse di consumare una potenza costante per tutto l'anno potrebbe godere di un prezzo uguale a tale costo più una quota di utili; mentre l'utente che si assumesse piena libertà di utilizzazione dovrebbe pagare molto di più. In pratica si è cercato di avvicinarsi a questo sistema con tariffe a contatore differenziali, secondo il consumo annuo. Si sono poi differenziate le tariffe, secondo che l'energia venga utilizzata a scopo d'illuminazione o a scopo di forza motrice; e in questo secondo caso sono state tenute sensibilmente più basse anche a evitare forme facili di concorrenza. D'altra parte, sono state praticate tariffe diverse, secondo i periodi di consumo: in ore notturne o diurne, in periodi di morbida o magra e simili; ed è stato anche considerato precedentemente il caso di vendita di energia residuale della giornata a consumatori occasionali attrattivi soltanto dal basso prezzo loro fatto.
Organizzazione finanziaria dell'industria. - L'industria della produzione e distribuzione dell'energia elettrica è una di quelle che richiedono il maggior immobilizzo di capitali per rapporto al valore della produzione. Questo è evidente nel caso degl'impianti idroelettrici, ma è vero anche nel caso dei termoelettrici. Si calcola, infatti, che agli Stati Uniti la spesa per il combustibile (che pure è a buon mercato) e per i consumi accessorî arrivi forse soltanto al 10-11% del prezzo di vendita dell'energia. In complesso, si calcola che il rapporto fra il valore della produzione e il capitale investito negl'impianti oscilli fra il 16 e il 30%, con una media del 20% circa; molto più bassa, cioè, di quella della grandissima maggioranza delle altre industrie. Mentre, quindi, il saggio dell'interesse ha grande influenza sul costo dell'energia, il fatto che si tratta di un servizio pubblico e che tanta parte del capitale è investito in immobili, consente alle imprese di attingere a quella parte del risparmio che ama meno i rischi e, per evitarli, si contenta d'interessi più bassi. Va notato che, mentre le spese per mano d'opera entrano direttamente per una percentuale minima nelle spese di esercizio degl'impianti idroelettrici, si calcola che entrino per il 40 o il 50% nel loro costo in conto capitale.
Finanziariamente, l'industria è sempre stata legata alle grandi imprese di costruzioni elettrotecniche, o a società finanziarie da queste derivate. I primi impianti anzi furono dovuti all'attività diretta delle grandi case costruttrici, quali la General Electric Co. (G. E. C.) la Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (A. E. G.) e la Siemens-Halske tedesca, la Ganz ungherese, la Örlikon svizzera (v. elettrotecnica). Poi, questo intervento diretto cessò; però le grandi case costruttrici si diedero a creare o a facilitare finanziariamente organizzazioni sussidiarie, il cui compito consisteva nell'aprire al consumo d'energia e ai prodotti dell'industria elettrotecnica sempre più vasti mercati. Questo processo d'integrazione industriale e di estese combinazioni finanziarie fra i due gruppi d'industria fu specialmente perseguito in Germania e negli Stati Uniti prima, nella Svizzera più tardi. In Inghilterra, invece, una legislazione che favoriva i piccoli impianti di distribuzione dell'energia, chiudeva alle imprese elettrotecniche ogni seria possibilità di controllo del mercato.
Con la guerra e il dopoguerra poterono costituirsi in certi paesi, soprattutto per il maggior interesse del risparmio nazionale agli investimenti nell'industria elettrica, gruppi finanziarî autonomi. In Inghilterra una politica meno vincolativa permise l'eliminazione di molte piccole imprese municipali e un riordinamento dell'industria elettrica. È caratteristico del resto del dopoguerra l'enorme sviluppo dell'industria elettrotecnica inglese, in concorrenza con le industrie tedesca e americana.
Ma in anni ancora più recenti, la concentrazione delle imprese è stata ripresa largamente. Le imprese elettrotecniche hanno organizzato numerosi enti tecnico-finanziarî per lo studio dei grandi progetti di sfruttamento elettrico, per l'anticipo dei capitali necessarî all'impianto, per la fornitura del macchinario. I grandi gruppi che producono e distribuiscono energia sono formati ordinariamente da una società madre che domina, traverso la maggioranza delle azioni, delle società filiali alle quali è affidata la distribuzione in zone relativamente ristrette. Recentemente è prevalsa la tendenza ad affidare a società filiali anche la produzione dell'energia, riducendo la società madre ad una holding. In Europa ci sono già due o tre gruppi che producono ciascuno da 3 a 4 miliardi di chilowattora all'anno con investimenti - fra capitali azionarî e debiti - di forse 5 miliardi di lire.
In due soli paesi (la Russia e l'Uruguay) lo stato ha assunto l'esercizio dell'industria della produzione e distribuzione dell'energia. In Svezia lo stato ha assunto soltanto una parte di tale esercizio, costituendo una azienda che serve circa metà del paese. In Germania un paio di aziende sono state dopo la guerra assunte dal Reich ed alcune dagli stati. All'infuori di questi casi l'industria è dappertutto esercitata generalmente dai privati e talvolta dai comuni. In Inghilterra lo stato è intervenuto con ingente spesa a creare una rete di collegamenti, la legislazione ivi in vigore avendo portato alla creazione d'innumerevoli impianti locali, slegati fra di loro e perciò antieconomici. Nei paesi anglosassoni le variazioni delle tariffe sono sottoposte al controllo di apposite commissioni: in Francia e altrove i prezzi massimi di vendita sono stabiliti nell'atto di concessione. In Italia, in Svizzerai in Danimarca e in altri paesi l'industria elettrica è completamente libera, limitandosi lo stato a regolarla per ciò che riguarda le concessioni di acque pubbliche per produzione dell'energia, e a disciplinare gli elettrodotti nei riguardi dell'incolumità del pubblico e delle opere ed impianti d'interesse pubblico (strade, ferrovie, linee di telecomunicazione). Norme speciali di carattere economico furono emanate in Italia soltanto nel dopoguerra, per ovviare alle conseguenze della svalutazione monetaria nel caso di contratti a lunga scadenza e di altre perturbazioni dell'economia generale prodotte dalla guerra.
Dati statistici. - Non esistono molti dati circa la produzione di energia elettrica nei diversi paesi; né i dati esistenti sono sempre omogenei per i diversi criterî che presiedono alla rilevazione. Un'indicazione soltanto approssimativa può ricavarsi dai dati della tabella I, che comprendono, oltre la produzione di energia delle centrali ad uso pubblico anche quella prodotta da stabilimenti per uso proprio d'industrie. Da questi dati si rileva la fortissima produzione elettrica degli Stati Uniti, derivata per il 60% circa da impianti termici, e per il resto da impianti idraulici.
Notevoli nel mondo sono anche la produzione e i consumi per abitante della Germania, del Canada, della Francia, dell'Inghilterra della Svizzera, dell'Italia e del Giappone. In Germania e in Inghilterra, paesi ricchi di combustibili, si è dato grande sviluppo alla produzione termica, sia per il carattere locale che vi hanno sempre avuto gl'impianti, sia per la povertà di forze idrauliche, sia per attuare concentrazioni minerarie-industriali, facendo sorgere centrali elettriche in zone che già avevano richiamato la grande industria metallurgica e chimica. In Svizzera, in Italia, nel Giappone, nel Canada, in Norvegia si è dato invece prevalentemente sviluppo alla produzione idroelettrica, utilizzando le grandi disponibilità idrauliche nazionali. Una via intermedia ha seguito la Francia, come del resto gli Stati Uniti. Lo sviluppo degl'impianti e della produzione nel periodo che va dal 1890 al 1930 può rilevarsi, per molti di questi paesi, dai diagrammi della fig. 58.
Per quanto riguarda gli sfruttamenti idraulici nei varî paesi si riportano i dati dall'U. S. Geological Survey (tab. II) riguardanti sia le risorse già utilizzate sia le risorse potenziali. Secondo questo ufficio l'utilizzazione delle risorse idrauliche sarebbe salita da 23 milioni di HP nel 1920 a 29 milioni nel 1923, a 33 milioni nel 1926, a 46 milioni nel 1930, con un incremento del 100% in 10 anni. Va notata la forte percentuale di sfruttamento già realizzata in paesi come la Svizzera, l'Italia, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone in confronto alla quasi assoluta mancanza di sfruttamento delle enormi risorse dell'Africa e dell'America meridionale. Le risorse potenziali sono calcolate dall'U. S. Geological Survey degli Stati Uniti in 447 milioni di HP, corrispondenti a 334 milioni di kW. La stima è basata sull'ordinaria portata di magra e su un'efficienza del 70% negl'impianti. La valutazione è però da ritenersi ovunque in difetto come comprovano le cifre relative all'Italia, e lontane comunque da altre valutazioni che portano le disponibilità a 1090 milioni di kW.
Queste risorse idrauliche, comunque valutate, rappresentano una riserva formidabile di energia per l'industria mondiale anche in confronto alle riserve in combustibile (v. tab. III, in cui la comparazione tra le varie fonti di energia è fatta per i paesi aventi le riserve più importanti, per i continenti e per il complesso del mondo).
L'industria in Italia. - Fra le nazioni europee, l'Italia fu la prima ad avere un impianto Edison di produzione e distribuzione di energia elettrica per l'illuminazione sia pubblica che privata. Nel 1883, infatti, meno di un anno dopo l'entrata in esercizio della centrale di Pearl Street in New York (v. elettrotecnica), sorgeva in Milano, ad opera di G. Colombo (v.) e della Società italiana Edison di elettricità, la centrale di Santa Radegonda. Trattavasi di un modestissimo impianto a vapore con motrici verticali che, mediante cinghie, azionavano ognuna una dinamo a corrente continua; alcune delle dinamo erano state prima installate nella centrale di Holborn Viaduct a Londra, che ebbe breve vita. Il raggio utile della rete di distribuzione era di 500 metri. A questo impianto altri ne seguirono, non molto importanti, sempre a corrente continua, alcuni idroelettrici, per la distribuzione di energia nei maggiori centri.
Verso il 1886 fu applicato il sistema Thury di trasmissione a corrente continua con linee ad alta tensione. Impianti di questo tipo furono quello del Gorzente, che doveva dare energia alla città di Genova, e gli altri minori di Brescia e Domodossola. L'impianto del Gorzente utilizzava in tre salti successivi l'acqua derivata, con una galleria attraverso l'Appennino, da un sistema di bacini dell'alta valle del Gorzente; l'acqua era poi restituita, all'altezza di 250 m. s. m., a un bacino collegato con l'acquedotto De Ferrari Galliera. I generatori a corrente continua ad alta tensione delle tre centrali, con le macchine analoghe funzionanti da motore nella valle del Polcevera, costituivano un unico circuito a corrente costante (50 amp.), con una tensione crescente fino a un massimo di 16.000 volt.
Qualche anno dopo l'applicazione del sistema Thury entrò nella pratica industriale la corrente alternata. Già fin dal 1884, in occasione dell'esposizione di Torino, da Gaulard e Gibbs era stata sperimentata una linea monofase Lanzo-Torino, lunga 43 km. a 2 mila volt, per dimostrare il vantaggio di alimentare le lampade ad arco attraverso i trasformatori in serie di Gaulard anziché direttamente; sistema poi applicato soltanto all'illuminazione pubblica della città di Tivoli. Nel 1885, poi, Galileo Ferraris presentava la sua memoria sul comportamento dei trasformatori, ciò che ne determinava quasi subito l'impiego nella città di Roma (1886), allo scopo di ridurre alla tensione di distribuzione di 105 volt la tensione di 1800 volt con cui l'energia proveniva dalla centrale termoelettrica dei Cerchi, presso l'Aventino, allora installata con 300 HP di potenza. Ma la prima notevole applicazione industriale della trasmissione a corrente alternata si ebbe nel 1892, quando le crescenti esigenze del servizio di illuminazione di Roma indussero la società esercente a utilizzare, accanto alla centrale termoelettrica dei Cerchi, una centrale idroelettrica che sfruttasse le cascate di Tivoli. L'impianto, dovuto a Guglielmo Mengarini, raggiunse la potenza di 2000 HP, a 5000 volt, era a corrente alternata monofase, e fu collegato con 20 km. di linea alla capitale. È interessante notare che il decreto di concessione in data 25 dicembre 1890, ottenuto dopo molte difficoltà per i gravi pericoli che si ritenevano connessi alle trasmissioni a distanza, costituì poi la base della legge 7 giugno 1894 sull'elettrodotto.
A Paderno sull'Adda nel 1898 e a Tivoli nel 1899, dopo le esperienze di Francoforte (v. elettrotecnica), fu realizzata anche un'altra notevole conquista tecnica: la trasmissione a corrente alternata trifase. L'impianto idroelettrico di Paderno della Soc. it. Edison, dovuto a Guido Semenza, ebbe una potenza installata di 15 mila HP, e una linea di trasmissione di 32 km. a 13.500 volt, costituita da sei terne di conduttori, ciascuno di 9 mm. di diametro. L'impianto trifase di Tivoli, di più modesta portata, fu destinato a sostituire la vecchia centrale monofase.
I sistemi a corrente continua si mantennero soltanto in vecchi impianti, fin quasi all'epoca della guerra, soprattutto per l'illuminazione ad arco delle arterie urbane di maggior traffico; con la guerra, però, entrate nell'uso le lampade a incandescenza di grande intensità luminosa, quegl'impianti caddero rapidamente in disuso.
I due impianti di Tivoli e Paderno segnavano anche l'inizio dei grandi sfruttamenti idroelettrici. Già la legge sull'elettrodotto del 7 giugno 1894, dovuta all'iniziativa di G. Colombo, aveva aperto la via a questi sfruttamenti, facilitandoli, dal punto di vista giuridico, mercé il principio che lo stato potesse delegare a un privato industriale l'esercizio del diritto di occupazione di beni privati per ragioni di pubblica utilità.
Ma quel che più contava ai fini di questa nuova attività, era il convincimento che il paese, disponendo di notevoli risorse idrauliche utilizzabili per forza motrice, in confronto dell'assoluta deficienza di combustibili, potesse per questa via intensificare il suo processo di industrializzazione e contemporaneamente sottrarsi alla completa dipendenza dall'estero per la produzione dell'energia meccanica. Le valutazioni di quegli anni sulle disponibilità idrauliche non furono sempre improntate a rigore scientifico per la mancanza di congrui mezzi di indagini, ma le statistiche che si riportano (tab. IV), elaborate fra il 1929 e il 1930, oltre che a dare una misura grandemente approssimata della disponibilità, confermano la verità dei convincimenti e l'importanza economica degl'indirizzi che in quegli anni si andarono delineando. La tabella comprende due distinte valutazioni, per comodità di confronto accostate insieme, una riguardante la potenza disponibile e utilizzabile in HP, dovuta al servizio idrografico, e l'altra di energia elettrica disponibile e utilizzabile (a prescindere dalle condizioni economiche attuali e tenendone conto) in chilowattore dovuta agl'ingegneri Marinoni e Testa, il primo della Soc. it. Edison di elettricità e l'altro dell'Unione nazionale fascista imprese elettriche. Secondo il servizio idrografico, l'Italia potrebbe utilizzare 11 milioni circa di HP, di potenza; secondo Marinoni e Testa 32 miliardi di kWh di energia (alle condizioni economiche attuali). Essa sarebbe quindi, dopo la Svizzera e la Norvegia, fra le nazioni più ricche d'Europa, come disponibilità di energia per kmq. di superficie, sempreché le statistiche dell'U. S. Geological Survey, notevolmente in difetto per lei, fossero, per gli altri paesi più vicine alla realtà. Naturalmente, se le disponibilità complessive sono notevoli, esse non si distribuiscono ugualmente per tutto il territorio, e la statistica mostra come da un massimo di disponibilità per i bacini che confluiscono nella valle padana, si degradi rapidamente a valori minori per il resto d'Italia fino alle isole, con una leggiera ripresa limitata alla Campania e alla Calabria.
Il progresso sullo sfruttamento di queste risorse dal 1900 in poi è stato notevolissimo. La guerra induceva poi a ricercare nelle forze idriche nazionali la soluzione del problema dell'energia; vennero, fra l'altro, due decreti del gennaio e del novembre 1916 che estesero a tutti gl'impianti idroelettrici superiori a 300 HP la declaratoria di pubblica utilità e conseguentemente la facoltà di sostituire altra acqua o altra energia ai piccoli impianti resi inattivi dai nuovi maggiori e sancirono il principio della preferenza alla concessione che garantiva l'utilizzazione più completa. Anzitutto razionali concezioni relative allo sfruttamento integrale d'interi bacini e il desiderio di semplificare gl'impianti e di renderne più economico l'esercizio portarono alla concentrazione della totale potenza in poche grandi centrali. Le stesse direttive di completa utilizzazione idraulica indussero inoltre, ogni qualvolta le condizioni morfologiche e geologiche li resero possibili, a creare serbatoi artificiali atti a regolare le portate dei torrenti, o a utilizzare ad analogo scopo laghi naturali, aumentandone talora la capacità con il soprelevarne il livello, e in ogni caso "spillandoli" con procedimenti e lavori arditi e sapienti. Altro passo verso l'integrale sfruttamento dei nostri corsi d'acqua è stato fatto collegando fra loro impianti aventi caratteristiche e regimi idrologici differenti; in particolare quelli alpini con quelli appenninici. È noto infatti che le portate utilizzate dai primi sono minime nei mesi invernali (quando le precipitazioni avvengono essenzialmente sotto forma di neve) e massime negli estivi, durante lo scioglimento delle nevi, mentre quelle sfruttate dai secondi hanno regime pressoché opposto, e ciò può anche rilevarsi dall'esame dei diagrammi di p. 663 relativi alle portate di corsi d'acqua appartenenti ai diversi sistemi orografici. (Tuttavia tale compensazione non è completa, non raggiungendo gl'impianti appenninici che meno della decima parte della disponibilità fornita da quelli alpini).
Infine poiché le deficienze invernali degl'impianti alpini sono state solo in piccola parte compensate con la produzione di quelli appenninici e la creazione di numerosi serbatoi stagionali, in questi ultimi anni si sono costruite centrali termiche di grande potenza, favorevolmente ubicate per quanto riguarda l'approvvigionamento dei combustibili e la distanza dalle rispettive zone di consumo facendole funzionare da centri d'integrazione e riserva insieme del complesso degl'impianti idroelettrici.
Questa politica di coordinamento ha esercitato larga influenza in tutto il campo della produzione e della distribuzione di energia. È stato possibile, con essa, procedere alla creazione d'imponenti unità di generazione e alla trasmissione a notevole distanza, su linee ad elevatissimo potenziale, dell'energia. Qualche idea del progresso conseguito, può esser tratta, del resto, dal complesso dei dati e delle indicazioni riportati nelle tabelle e nei grafici che seguono.
La tab. IV contiene, accanto ai dati sulle risorse idrauliche disponibili, valutate in HP, i dati sulle risorse idrauliche utilizzate alla fine del 1929: il rapporto di queste ultime sulle altre 13.736.000 su 10.808.000 HP), uguale al 34,56%, starebbe a invocare una delle più notevoli percentuali di sfruttamento finora realizzate nei varî paesi.
La tab. V contenente una classificazione degl'impianti idroelettrici in funzione verso la metà del 1930, secondo le potenze medie effettive ritraibili, le portate e i salti, dà un'idea sia pure indiretta dei risultati raggiunti in materia di accentramento d'impianti e di massimo sfruttamento di forze idriche, e prospetta una situazione recente in merito alle caratteristiche degl'impianti stessi. Vi si nota come il numero delle centrali a grande potenza (da 20.000 HP in su) sia di 28 su 386 con una potenza complessiva di 1.015.427,51 HP su 2.457.104,07, corrispondente a un rapporto del 40,90%; il numero d'impianti che utilizzano grandi portate di 47; il numero d'impianti che utilizzano grandi salti di 88. La stessa classificazione, riprodotta per ciascun gruppo orografico, mostrerebbe che, mentre gl'impianti alpini si distribuiscono in tutti gradi della classificazione, in potenza, portata e salto, assorbendo però i gradi più alti, gli altri più a sud andrebbero accentuandosi nei gradi medî e piccoli, salvo che per il salto tendente a risalire al disopra dei 65 m. nell'Italia meridionale, dei 100 in Sicilia. La Sardegna presenta portate elevate (intorno ai 20 mc./sec.) e salti relativamente piccoli (da 16 a 90 m.).
La tab. VI dà il numero e la capacità complessiva dei serbatoi, nonché l'energia che essi consentono di accumulare. È interessante notare, a sottolineare gl'indirizzi della politica industriale cui si è accennato, che la capacità dei serbatoi risultava al 1930 più che doppia di quella del 1925.
Le grandi centrali termiche con funzioni d'integrazione e riserva del sistema idroelettrico sorgono a Genova, Turbigo, Venezia, Piacenza, Livorno, Napoli. La tab. VII ne dà le caratteristiche più salienti.
Un quadro complessivo, sintetico, della distribuzione degl'impianti elettrici italiani, del loro collegamento, nonché dei rapporti fra i varî centri di produzione e consumo può rilevarsi dalle figg. 65, 66 e 67. La fig. 65 mostra quale sia la densità della potenza installata nelle varie provincie.
È interessante notare come la provincia di Terni, con una potenza installata idraulica sorpassante i 75 HP per kmq., si ponga tra i territorî più ricchi di energia. Essa, posta quasi al centro del sistema elettrico nazionale, vi può esplicare una notevole funzione di allacciamento e d'irradiazione insieme. E l'importanza di questa funzione può anche essere rilevata meglio dalla fig. 66, nella quale si sono graficamente segnati i principali gruppi elettrici e le linee che li allacciano.
Non è superfluo accennare, a quest'ultimo proposito, come solo le tendenze verso il coordinamento abbiano favorito la costruzione di linee ad altissima tensione (al di sopra di 120 mila volt), quali risultano dal grafico; mentre prima, in Italia, il frazionamento delle forze idrauliche e la loro relativa vicinanza ai mercati di consumo faceva preferire piuttosto linee a tensione media o piccola.
Fra le linee a tensione superiore a 120 mila volt (5290 km. nel 1930) vanno ricordate in particolare la linea Cardano-Cislago di 43 km. a 220 mila volt, entrata in esercizio nel 1929; la Lavis-Vellai (Feltre) pure di 71 km., a 220 mila volt, entrata in funzione nel 1930; la centrale Galleto - 3° salto del Pescara, di 130 km., a 155 mila volt, entrata in funzione nel 1930; la linea 3° salto del Pescara-Frattamaggiore, di 187 km., a 150 mila volt, entrata in funzione nel 1930.
Nella fig. 67 è graficamente segnato lo scambio di energia fra le aziende produttrici, poste in regioni diverse, quando questo scambio abbia raggiunto il mezzo milione di kWh; vi è anche, in via supplementare, indicato il quantitativo di energia effettivamente consumato per abitante dalla regione (produzione + importazione − esportazione). Si rileva dal grafico come la Toscana sia regione eminentemente importatrice, alimentata dall'Umbria e dall'Abruzzo, regioni prevalentemente esportatrici, e in misura più limitata dal gruppo Emilia-Lombardia-Venezia. Il Lazio importa anche dall'Umbria e l'Italia meridionale dall'Abruzzo.
Vi è poi un'esportazione di energia dalla Svizzera, dalle Venezie e dall'Emilia, nel gruppo Piemonte-Liguria-Lombardia e una, praticamente trascurabile, da Fiume in Iugoslavia.
Per ciò che riguarda il consumo per abitante, la regione che segna un massimo è l'Umbria, seguita dal gruppo Piemonte-Liguria-Lombardia, dal Lazio e dal gruppo Venezia-Romagna. Il minimo è invece segnato dalla Sicilia.
La statistica contenuta nella tabella VIII ci offre la percentuale dei comuni, delle frazioni di comuni del regno d'Italia e degli abitanti che hanno possibilità di consumare l'energia elettrica. Occorre avvertire che nell'interpretarla e nel valutarla deve essere tenuto presente che il numero dei comuni del regno è di 7310.
Dati finanziarî e di esercizio dell'industria. - Al 31 dicembre 1930, l'Unione nazionale fascista industrie elettriche rilevava l'esistenza in tutta Italia di 1215 imprese di produzione e distribuzione di energia, di cui 20 con meno di 1 milione di capitale; 204 con capitali da 1 a 30 milioni; 18 con capitali da 30 a 50; 17 con capitali da 50 a 100; 20 con capitali da 100 a 500, 4 con capitali da 500 milioni a 1 miliardo; 3 con capitale superiore a 1 miliardo; 31 imprese, infine, risultavano esercitare attività mista.
Il valore di ricostruzione degl'impianti era, dalla federazione, calcolato in 25 miliardi, il capitale azionario in 11 miliardi, la differenza rappresentando l'importo di finanziamenti diversi (obbligazioni, prestiti, ecc.), la compensazione degli errori dovuti a vicende monetarie, le perdite per demolizione d'impianti vecchi e simili. Per le 22 maggiori società (capitali superiori a 1 milione), il capitale azionario risultava di 10,175 miliardi circa, i prestiti esteri di 2,356, le obbligazioni emesse in Italia di 1,249, le riserve statutarie, straordinarie e ammortamenti di 2,284, gli impianti di 13,375 miliardi.
Gl'impianti e la produzione, distinti per regione e per caratteristica termica o idrica, risultano dalle tabelle IX e X.
Va notato il basso rapporto dell'energia termica all'idraulica (nel 1930: 3,70%). Questo dipende oltre che dal grande numero d'impianti idroelettrici cui si contrappongono solo le 6 grandi centrali termiche citate e 112 altre centrali di potenza superiore ai 500 kW, dalla funzione di riserva attribuita spesso a queste ultime. Fra le centrali termiche, ne vanno citate 15 che funzionano con combustibile nazionale (lignite, torba e soffioni boraciferi), di cui 10 a scopi di vendita, 3 a uso misto, 2 a uso proprio dell'industria. La produzione complessiva di questi impianti fu nel 1930 uguale al 28,75% della termica e al 0,86% della totale, percentuali non molto elevate e comunque non di sicuro mantenimento, poiché gl'impianti a combustibile nazionale hanno dato finora scarsi risultati.
Le applicazioni dell'energia. - Per quanto riguarda le applicazioni dell'energia una statistica approssimativa riferita al 1930 è contenuta nella tab. XI. Nella tab. XII invece si riportano alcuni dati circa lo stato delle applicazioni nel campo agricolo.
Bibl.: D. N. Dunlop, Power Resources of the World, Londra 1929; Comitato per l'ingegneria del Cons. naz. delle ric., La partecipazione it. alla seconda conf. mond. dell'energia, Roma 1931; Ministero dei lavori pubblici, Serv. idr., La produzione di energia elettrica in Italia, Roma (annuale). - Riviste: Electrical World, New York; World Power, Londra; Elektricitätwirtschaft, Berlino; Revue gén. de l'électr., Parigi; L'energia elettrica, Milano; L'elettrotecnica, Milano.
Diritto.
I rapporti concernenti l'energia elettrica sono regolati con varie leggi che si possono distinguere in due ordini distinti: con il primo si stabiliscono norme per la produzione e la derivazione, con il secondo norme per la trasmissione a distanza delle correnti elettriche.
Tali leggi, nel loro complesso, rispondono all'altissimo scopo nazionale di trarre il maggiore profitto da una forza che l'Italia può produrre nel proprio territorio, nell'interesse generale e nell'interesse del privato. Il r. decr. 9 ottobre 1919, n. 2161, che ha perfezionato le disposizioni del decr. legge luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, abrogato, disciplina la derivazione delle acque pubbliche, anche in vista della produzione dell'energia elettrica, inspirandosi al principio della prevalenza dell'utilità pubblica su quella del privato, con un'ingerenza dello stato che si estende oltre l'ambito della demanialità delle acque.
Sono considerate grandi derivazioni quelle che eccedono, per la forza motrice, cavalli dinamici nominali 300; e le relative concessioni sono fatte con decreto reale, promosso dal ministro dei Lavori pubblici d'accordo con quello delle Finanze. ll procedimento amministrativo per nuove concessioni ed utilizzazioni s'inizia con domanda degl'interessati diretta al ministro dei Lavori pubblici e presentata all'ufficio del genio civile, alla cui circoscrizione appartengono le opere di presa. Il ministero ne ordina la pubblicazione mediante avviso nel foglio degli annunzî legali della provincia nel cui territorio ricadono le opere di presa e di restituzione delle acque. L'avviso deve essere riprodotto nella Gazzetta Ufficiale.
Il ministro ha un'ampia facoltà discrezionale nel decidere sulle domande. Se egli ritiene senz'altro inammissibile una domanda, perché inattuabile o contraria al buon regime delle acque o ad altri interessi generali, sentito il Consiglio superiore delle acque, e su conforme parere di questo, la respinge con suo decreto. Per le domande ammesse si procede ad istruttoria dall'ufficio del genio civile alla cui circoscrizione appartengono le opere di presa, e fra più domande concorrenti è preferita quella che presenti la migliore utilizzazione idraulica o soddisfi ad altri prevalenti interessi pubblici, con provvedimento definitivo del ministro dei Lavori pubblici su conforme parere del Consiglio superiore delle acque. Le concessioni di grandi derivazioni ad uso di forza motrice si fanno per una durata non maggiore di anni sessanta, e al termine dell'utenza e nei casi di decadenza o rinuncia, passano in proprietà dello stato, senza compenso, tutte le opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali ed accessorie, i canali adduttori dell'acqua, le condotte forzate e i canali di scarico, il tutto in stato di regolare funzionamento. Lo stato avrà facoltà d'immettersi anche nell'immediato possesso di ogni altro edificio, macchinario, impianto di utilizzazione, di trasformazione e di distribuzione inerente alla concessione, corrispondendo ai concessionarî un prezzo eguale al valore di stima del materiale in opera, calcolato al momento della immissione in possesso, astraendo da qualsiasi valutazione del reddito da essi ricavabile. Salvo il caso di decadenza ovvero di rinuncia, tale facoltà dello stato è esercitata con preavviso all'utente tre anni prima del termine dell'utenza. La concessione ha efficacia di dichiarazione di pubblica utilità per tutte le opere e gl'impianti occorrenti alla costruzione e all'esercizio delle grandi derivazioni.
Le nuove concessioni sono sottoposte al pagamento dell'annuo canone di lire 12 per ogni cavallo dinamico nominale destinato a forza motrice.
Sono emessi piovvedimenti per agevolare la costruzione di serbatoi e laghi artificiali e sono stabilite giurisdizioni e norme speciali di procedura del contenzioso delle acque pubbliche. Sono a tal uopo istituiti otto tribunali delle acque, formati da sezioni di corte di appello con l'aggiunta di tre funzionarî del genio civile, e il Tribunale superiore delle acque pubbliche, avente sede in Roma.
Condutture elettriche. - La trasmissione a distanza della produzione elettrica ha fatto sorgere nel campo del diritto la necessità di disciplinare le servitù delle condutture elettriche, dette altrimenti servitù elettriche o elettrodotto. Le vigenti leggi nell'ultimo decennio del secolo scorso: il codice civile e la legge di espropriazione per cause di pubblica utilità, rendevano possibità la trasmissione delle correnti elettriche a grandi distanze quando avesse per scopo la pubblica utilità, ma non autorizzavano l'imposizione di una servitù sulla proprietà altrui, quando occorreva stabilire su questa proprietà i pali e i cavi necessarî per la trasmissione dell'energia elettrica. A provvedere a tale nuova esigenza della vita moderna fu promulgata la legge 7 giugno 1894, n. 232, per la trasmissione a distanza delle correnti elettriche, cui seguì il regolamento per la sua applicazione, approvato con r. decr. 25 ottobre 1895, n. 642. Gli altri testi di legge che occorre tener presente in questo campo sono: decr. luog. 22 febbraio 1917, n. 386, per la costruzione e il collegan ento delle condutture elettriche; r. decr. 17 dicembre 1922, n. 1723, che porta una aggiunta all'art. 8 della legge 7 giugno 1894; r. decr. 25 marzo 1923, n. 913, che estende alle nuove provincie la legge del 7 giugno 1894, n. 232 e il relativo regolamento; r. decr. luog. 16 dicembre 1926, n. 2373, recante disposizioni per autorizzare le linee di trasmissione elettrica. Come materia alfine va tenuta presente la legge 7 aprile 1892, n. 184, per le condutture telegrafiche e telefoniche. Il regolamento dell'elettrodotto si trova ora fuori del codice civile, che disciplina le altre servitù prediali, unicamente perché sorto dopo la pubblicazione del codice. Esso è destinato a farne parte e invero è già compreso nel progetto del nuovo codice civile predisposto dalla commissione reale.
Generalmente l'elettrodotto si ritiene una servitù prediale, d'indo]e privata analoga all'acquedotto forzoso, con un fondo dominante rappresentato dallo stabilimento industriale o, secondo altri, senza fondo dominante, trattandosi di una nuova e speciale figura di servitù, stabilita a favore di un impianto industriale.
I principî generali che informano il regolamento legislativo sono i seguenti: ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche, sospese o sotterranee, che vogliano eseguirsi da chi abbia permanentemente, o anche temporaneamente, il diritto di utilizzare l'energia elettrica per le necessità della vita o per gli usi agrarî ed industriali, sia proprî, sia di terzi. L'art. 1 della legge parla soltanto di usi industriali, ma non vi ha dubbio che anche le necessità della vita e gli usi agrarî devono meritare la stessa protezione del legislatore per il trasporto dell'energia elettrica, di cui abbiano bisogno. Per condutture elettriche si devono intendere tutte quelle destinate al trasporto dell'energia a distanza, per mezzo delle correnti elettriche, escluse le condutture telegrafiche e telefoniche, in quanto sono regolate dalla legge 7 aprile 1892, n. 184 (art. 1 reg.). Alla lor volta si devono intendere per fondi, sui quali le condutture elettriche possono aver passaggio, tutti i beni immobili, fatta eccezione delle case, e salvo per queste le facciate verso le vie e le piazze pubbliche, i cortili, i frutteti (più esattamente, i giardini) e le aie ad essi adiacenti (art. 1 legge). Chi vuole esercitare il passaggio, qualora manchi il consenso del proprietario, deve predisporre un progetto d'impianto della conduttura elettrica e ottenere dalla r. prefettura della provincia nella quale sono situati i fondi da attraversare, l'autorizzazione per l'accesso ai fondi medesimi (art. 2 reg.). Il prefetto autorizza l'introduzione nei fondi con suo decreto (art. 3 reg.). L'esercizio di tale facoltà deve essere compiuto nel modo meno pregiudizievole al proprietario del fondo, il quale ha diritto di essere risarcito di qualsiasi danno possa soffrirne. A tal uopo i prefetti possono anche prescrivere al richiedente il preventivo deposito di una congrua somma. Presentato il progetto, il prefetto dà il consenso per l'attuazione dell'impianto, sotto la responsabilità dell'utente per i danni che possono essere cagionati dal sistema adottato, e con espressa riserva dell'opposizione degl'interessati, ai sensi degli articoli 5 e 6 della legge (art. 8 reg.). Il permesso non sarà dato se il richiedente non giustifichi di poter disporre delle condutture elettriche e stabilirne il valore e l'importanza (art. 5 della legge). In ogni caso, l'impianto deve essere eseguito nel modo meno pregiudizievole non soltanto al proprietario del fondo servente, ma anche agli altri utenti della stessa servitù sul fondo medesimo (art. 13 reg.). Nella sua esecuzione, come in ogni successivo ampliamento o mutamento, devono osservarsi, oltre le norme delle leggi e dei regolamenti, le disposizioni dell'autorità pubblica competente per tutto ciò che concerne l'incolumità delle persone, il rispetto delle proprietà demaniali, dei monumenti, delle opere artistiche e del paesaggio e la sicurezza delle comunicazioni. La legge e il regolamento prescrivono all'uopo determinate garanzie, rispettivamente nell'art. 8 e negli articoli 10, 11 e 12. Speciali norme regolano il passaggio per le strade pubbliche, i fiumi, i torrenti, e sulle lacciate esterne di case verso le vie e le piazze pubblicue (art. 4 legge). Prima d'intraprendere l'eseeuzione di una condotta, chi la chiede deve pagare al pmprietario del fondo servente un'indennità, corrispondente alla diminuzione del valore del suolo o dell'edificio, a causa dell'occupazione o dell'esercizio della servitù, valutato senza detrazione d'imposta o di altri pesi. Si deve, inoltre, tener conto dei danni cagionati dall'intersecazione del fondo o da altro deterioramento, nonché dall'esercizio del passaggio attraverso il fondo per la sorveglianza e la manutenzione della condotta elettrica (art. 6 legge). Qualora la domanda di passaggio sia fatta per un tempo non superiore a nove anni, l'indennità è ridotta alla metà, ma con l'obbligo, dopo scaduto il termine, di ridurre le cose nel pristino stato. Chi ha ottenuto questo passaggio temporaneo può avanti la scadenza del termine renderlo perpetuo, pagando l'altra metà con gl'interessi legali dal giorno in cui il passaggio venne praticato; scaduto il termine, non gli sarà più tenuto conto di ciò che ha pagato per la concessione temporanea (art. 7 legge). Il proprietario del fondo servente non può fare cosa alcuna che tenda a diminuire l'uso della servitù o a renderlo più incomodo, né trasferire l'esercizio della servitù in un luogo diverso da quello dove fu originariamente stabilito. Tuttavia, se l'originario esercizio divenisse più gravoso e impedisse al proprietario del fondo di farvi lavori, riparazioni o miglioramenti, egli può domandare all'utente di modificare il suo impianto, oppure può offrirgli un luogo egualmente comodo per l'esercizio dei suoi diritti, e questi non può ricusarlo (art. 14 reg.). Il diritto di passaggio della conduttura non attribuisce all'utente la proprietà del suolo laterale, sottoposto o superiore alla conduttura e ai relativi sostegni, né quella del muro sul quale essa si appoggia. Le imposte prediali e gli altri pesi inerenti al fondo rimangono a carico del proprietario (art. 15 reg.).
Bibl.: F. Cammeo, Trasmissione e distribuzione di energia elettrica, in Giur. It., 1927, III, 203; E. Presutti, La servitù di elettrodotto, in Foro It., 1927, p. 1000; R. de Ruggiero, La cosiddetta servitù di elettrodotto, in Riv. di Dir. Comm., 1916, p. 745; R. Ricci, Trasmissione a distanza delle correnti elettriche, in Riv. di Dir. Pubbl., 1914, I, p. 157; G. Riccardi, Della trasmissione a distanza delle correnti elettriche, in Riv. di Dir. Pubbl., 1913, II, p. 80; V. Mori, Servitù elettriche, in Riv. di Dir. Pubbl., 1923, p. 374; V. Graziani, La cosidetta servitù di elettrodotto, in Foro It., 1928, I, p. 1204; U. Pipia, La elettricità nel diritto, Milano 1900; S. Sacerdoti, Competenza dell'autorità giudiziaria in tema di servitù di passaggio delle correnti elettriche, in Riv. di Dir. Comm., 1910, p. 691.