ENEA (Αἰνείας, Aenēas)
Mitico eroe della Troade, divenuto anche l'eroe massimo del Lazio. Le sue gesta occupano una parte cospicua dell'Iliade, e formano il soggetto dell'Eneide. La sua leggenda si può dividere in tre parti.
Enea nella Troade. - Era nato sul monte Ida, dagli amori di Venere con Anchise, discendente di Dardano, figlio di Giove. Fu dapprima custode delle mandre paterne, e quando Achille venne a farne razzia, si salvò con la fuga. Ma dopo quel tempo, egli fu uno dei più forti difensori di Troia, ed era superato soltanto da Ettore al quale tuttavia è talvolta messo a pari, così per valore come per senno. Osò sfidare i più forti campioni dei Greci assedianti, e persino lo stesso Achille, innanzi al quale era una volta fuggito. Ma era caro a Giove e agli dei, ai quali soleva fare gradite offerte, ed ebbe perciò nei pericoli la loro protezione. Fu salvato dalle mani nemiche, volta a volta, da Giove, da Venere, da Apollo e da Nettuno, pur così avverso ai Troiani. Questo dio, anzi, predisse che essendo ormai la stirpe di Priamo venuta in odio a Giove, avrebbero regnato sui Troiani Enea e i suoi discendenti. Fin qui l'Iliade. I poeti ciclici narravano, a complemento, che E., dopo la distruzione di Troia, s'era stanziato sull'Ida, e aveva fatto sorgere sul monte nativo un nuovo regno troiano.
Enea migrante. - Ma questa versione scomparve insieme con l'epica più antica. Ne subentrò invece un'altra secondo la quale, E., uscito da Troia caduta in mano ai Greci, abbandonò il suo paese, e migrò alla volta di occidente. C'era sulla costa della Macedonia una città detta Enea (Aineia); questa pretese ben presto di essere stata fondata da Enea, da cui avrebbe ricevuto il nome. Nello stesso tempo il nostro eroe perdeva il carattere di guerriero che aveva avuto a Troia, e prendeva quello d'uomo pio. E la ragione di questo nuovo carattere non stava già in offerte fatte agli dei, come quelle di cui parlava l'Iliade, ma nel fatto che egli aveva salvati dall'incendio di Troia, insieme con la moglie Creusa e il figlio (Ascanio), gli dei patrî (gli dei famigliari) e il vecchio padre Anchise. Questa scena di E. fuggente ci è rappresentata su una moneta della città di Enea, moneta che appartiene senza dubbio al sec. VI a. C. È la più antica raffigurazione che possediamo di questo mito.
Ma in età non meno antica, E. viene portato sulle coste della terra d'Occidente, l'Esperia, vale a dire l'Italia. Questa versione ignorava, a quanto pare, la fondazione della città sulle coste della Macedonia, poiché fa venir l'eroe direttamente dalla Troade in Italia. Così fa intendere la Tabula Iliaca capitolina, la quale rappresenterebbe gli avvenimenti della distruzione di Troia secondo il poema di Stesicoro (sec. VII-VI a. C.). Questa tavola ci mostra E. che salpa coi suoi compagni dal Sigeo per l'Esperia. È probabile che la leggenda di Enea in Italia debba le sue origini agli abitanti della città di Cuma della Campania, che diedero nuova vita al mito d'un eroe famigliare alla Cuma eolica. C'erano dunque, nel sec. VI a. C. due leggende della migrazione di Enea: una lo portava sulle coste della Macedonia, un'altra in Italia. Altre poi ne sorsero, dovute principalmente a nomi locali. E. sarebbe penetrato in Arcadia, poiché in questo paese esisteva un monte detto Anchisia, che ricordava Anchise, il quale sarebbe stato sepolto appié di esso; e sarebbe giunto in Sardegna, dove esisteva una popolazione detta degl'Iliensi che avrebbe ricevuto il nome dai Troiani. E in generale, la fondazione dei maggiori templi di Venere che esistevano sulla costa, lungo il percorso che avrebbe dovuto fare E. per giungere in Italia, venne attribuita a questo eroe. La prova stava nel fatto che la Venere adorata in questi templi avrebbe avuta la denominazione di Venere Enea. Anche l'erezione del tempio di Venere Ericina in Sicilia fu attribuita a E., il quale passò come fondatore della non lontana città di Segesta, che vantava da tempo molto antico origini troiane.
Enea nel Lazio. - Prima che E. giungesse in Italia, la leggenda vi aveva portato già un altro eroe, Ulisse, il quale, secondo Esiodo, aveva avuto da Circe due figli, Agrio e Latino. Questo secondo nome, il quale può riuscire sorprendente nella poesia dell'antichissimo cantore greco, ma sembra ben sicuro, mostra che la progenitura dei Latini era da prima accaparrata a favore dell'eroe d'Itaca; e quindi anche la fondazione di Roma era destinata ad appartenere a lui o a qualcuno dei suoi discendenti. Altre leggende, che ci appaiono per verità assai tardi, ma si collegano con quella di Esiodo, ci parlano di due figli di Ulisse come fondatori di Tuscolo e di Preneste. Ma la leggenda d'Enea giunse in tempo a contendere all'Itacense l'origine di Roma. Già uno scrittore greco del sec. V a. C. avrebbe accennato a Roma, come città fondata da Enea, venuto nel Lazio insieme con Ulisse, o, come qualcuno preferisce di leggere, dopo di Ulisse. La versione dell'arrivo di Enea nel Lazio e dell'origine troiana di Roma fu accreditata e diffusa principalmente dallo storico siciliano Timeo (sec. IV-III a. C.), il quale addusse in prova caducei di bronzo e di ferro, e un'antica immagine di terracotta conservati nel tempio di Lavinio. Non è possibile decidere se questi oggetti passassero già fra la gente del luogo come portati da Enea, o fosse stato Timeo il primo a riguardarli come tali. Le condizioni politiche in cui Roma si trovò nella prima metà del sec. III fecero sì che questa leggenda prevalesse e acquistasse valore ufficiale.
Tuttavia, se fu ritenuto sicuro che Enea venne nel Lazio e da lui ebbe origine il popolo romano, i particolari dello stanziamento dell'eroe rimasero incerti sino a tardi, e non ebbero mai una forma definitiva. Nel Lazio E. riprende la figura di guerriero. Egli combatte da prima contro Latino, re dei Latini, e ne toglie in sposa la figlia, Lavinia. Turno, fidanzato di questa principessa, chiede aiuto a Mesenzio, e muove guerra ai Troiani e ai Latini. Si combatte in riva al Numico una battaglia nella quale Turno cade; ma anche Enea scompare, ed è adorato dai Latini come Giove Indigete. Egli non trascorse nel Lazio che tre anni soltanto. Un episodio molto conosciuto della leggenda di E. è quello del soggiorno che prima di giungere in Italia avrebbe fatto a Cartagine, ove la fondatrice della città, Anna, indi Didone (v.), innamorata di lui e poi abbandonata, si sarebbe data la morte. Questo episodio fu introdotto nella leggenda, a quanto sembra, dal poeta latino Nevio, e poi superbamente ripreso da Virgilio.
La figura di Enea assunse a poco a poco nella letteratura greca l'aspetto del traditore. Si domandava come mai E. avesse potuto passare incolume, insieme coi suoi, in mezzo ai nemici. S'immaginò dapprima che i Greci gli avessero ceduto il passo per omaggio alla sua pietà. Ma poiché egli è rappresentato nell'Iliade come rivale della casa di Priamo, se ne concluse che egli doveva essere, al pari d'Antenore, d'intesa con i Greci e quindi la sua salvezza non era che il prezzo di un tradimento. Nel mondo romano, invece, l'opposizione di Enea alla guerra ingiusta, di cui la casa di Priamo portava la responsabilità, formava un titolo di merito sia per E. sia per Antenore, i due Troiani che avevano cercato rifugio in Italia.
La figura di E. trovò presto, come si è visto, il favore dell'arte. Parecchi dipinti vascolari ci mostrano scene di combattimento ispirate dall'Iliade. Frequenti furono le rappresentazioni d'Enea che porta sulle spalle Anchise, accompagnato o no dal figlio Ascanio. Un gruppo di tal forma fu posto da Augusto innanzi al tempio di Marte Ultore, e una riproduzione, ornata di un'uguale epigrafe, a Pompei. Così pure l'immagine d'Enea si ripeté in monete imperiali. Nell'arte moderna, è noto il gruppo dell'incendio di Borgo di Raffaello (Stanze del Vaticano) e l'incendio di Troia del Baroccì (Roma, Galleria Borghese; quivi anche un gruppo giovanile del Bernini).
Fonti: La leggenda di E. è trattata nel suo complesso, all'età di Augusto, brevemente da Livio (I, 1) e più largamente da Dionisio d'Alicarnasso (I), il quale però ha sentito indubbiamente in qualche punto l'influsso di Virgilio Per quanto riguarda l'Eneide, v. virgilio.
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