Enea
L'eroe troiano progenitore dei Romani
Descritto da Omero nell'Iliade come il più valoroso, dopo Ettore, fra i Troiani che parteciparono alla guerra, Enea combatte in diverse battaglie e viene più volte salvato dagli dei nel momento cruciale. Egli è infatti destinato da Zeus a garantire un futuro ai Troiani superstiti. I viaggi di Enea in cerca di una nuova patria dopo la caduta di Troia costituiranno il tema dell'Eneide di Virgilio
Sorpreso nella città dall'attacco dei Greci, Enea fugge in mezzo alle fiamme con il vecchio padre Anchise sulle spalle e con il figlioletto Ascanio per la mano; porta inoltre con sé i Penati, divinità protettrici del focolare domestico nonché simbolo della patria. Non lo accompagna invece la sposa Creusa, fatta sparire da un misterioso intervento divino. La meta designata dal Fato è l'Italia, più precisamente il Lazio: dal troiano Enea infatti dovranno trarre origine Roma e la stirpe romana.
La caratteristica più importante che Virgilio nell'Eneide attribuisce a Enea è la pietas, un sentimento non perfettamente coincidente con la "pietà" come la intendiamo noi, ma assai più complesso e sfumato: è un misto di devozione, rispetto nei confronti degli dei e della famiglia, ma anche degli altri uomini. È un estremo senso del dovere. Enea rinuncia alle sue personali esigenze per condurre a termine il compito che gli è stato affidato da una volontà superiore; non dimentica il passato, ma deve andare sempre avanti, senza fermarsi né voltarsi indietro, per non rischiare di perdere la strada. È un eroe che soffoca il pianto, sacrifica sé stesso e in nome dell'interesse collettivo vive una vita non scelta ma imposta: Enea, il 'padre', il capostipite dei Romani, racchiude in sé i principali valori che stanno alla base della società romana antica. Per la sua condizione di profugo, inoltre, Enea simboleggia il dramma degli esuli spinti dalle circostanze avverse a emigrare verso un mondo sconosciuto carico di insidie, ma anche di promesse per la costruzione di un destino migliore.
A Cartagine, in Africa, dove è approdato dopo una terribile tempesta, Enea si innamora della regina Didone e si unisce a lei, ma è presto costretto ad abbandonarla: gli dei ingiungono che egli prosegua la sua missione. In una delle pagine più suggestive e commoventi dell'Eneide, nel libro IV, viene narrato l'ultimo doloroso colloquio fra Enea e Didone e il successivo suicidio della donna. La regina prima di morire lancia una maledizione: Cartagine e Roma saranno divise da un odio eterno, e un vendicatore combatterà strenuamente i Romani. La forzata separazione fra Enea e Didone viene così a configurarsi come la causa mitica delle guerre puniche: il vendicatore invocato da Didone sarà il cartaginese Annibale, protagonista della seconda guerra punica sulla fine del 3° secolo a.C. (219-202 a.C.).
Arrivato nel Lazio dopo varie peripezie, Enea deve nuovamente impugnare le armi: contro i Latini, nonostante il favore del loro re, Latino, e contro i Rutuli, guidati da Turno. L'Eneide termina appunto con la morte di Turno per mano di Enea, il quale successivamente sposerà Lavinia, figlia di Latino, già promessa a Turno, e concluderà la sua vita rapito da un temporale o scomparendo fra le acque del fiume Numico.
Il figlio di Enea, Ascanio (chiamato anche Iulo), fonderà Alba Longa. Diverse le tradizioni circa la fondazione di Roma: la versione più comune l'assegna a Romolo, da alcuni ritenuto figlio, insieme a Remo, di Enea, da altri figlio della figlia Ilia (Rea Silvia), da altri ancora, con maggiore rispetto della effettiva cronologia storica, un più lontano discendente.