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ADY, Endre

di Antonio Widmar - Enciclopedia Italiana (1929)
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ADY [pron. òdgi], Endre (Andrea)

Antonio Widmar

Poeta ungherese. Nato il 22 nov. 1877 ad Érmindszent (ora in Romania), frequentò le scuole medie di Nagykároly e Zilah, per poi seguire i corsi della facoltà di giurisprudenza alle università di Budapest e Debreczen. Ben presto però passò al giornalismo, e come giornalista visse nel 1899 a Debreczen, dal 1900 al 1903 a Nagyvárad (oggi Oradea Mare in Romania). Nel 1904 si recò per la prima volta a Parigi. Vi giungeva dalla squallida provincia magiara, e la capitale francese lo affascinò, pur senza riuscire a dominare completamente il suo spirito: il seme però era gettato e, quando si consideri che, nella vita interiore degli ungheresi, il contrasto tra elementi occidentali ed orientali, consciamente o inconsciamente, è sempre fattore essenziale, e che A. sorse con la sua poesia in un momento in cui tale contrasto giungeva in Ungheria ad alcune delle sue più dolorose manifestazioni sia nella vita politica sia nella vita culturale del paese, si può affermare che la visita a Parigi, nella storia spirituale di A., segnò una data decisiva. Dal 1906 al 1911 si recò altre volte nella capitale francese, ove rimase per periodi più o meno lunghi, alternati con permanenze a Budapest e in provincia. Nel 1915 sposò Roberta Boncza; nel 1917 una malattia del sangue contratta da giovane incominciò a tormentare il suo corpo, già affranto dalle lotte, in cui lo avevan travolto le sue liriche, inesorabili per gli errori del suo popolo, pienamente presaghe della catastrofe alla quale il paese, per causa appunto di tali errori, era avviato. A. si era infatti venuto a trovare in aperto contrasto con il governo, rappresentato allora da Stefano Tisza: mentre il governo non dimostrava alcuna pronta sensibilità per la necessità di riforme sociali, A., col pensiero nutrito di idealità occidentali, prese a navigare dapprima in acque socialiste e poi si irrigidì in un caparbio radicalismo. In fondo A. non aveva tempra di uomo politico, nel pieno senso della parola. Egli era il poeta che sente in sé tutto il destino della propria razza e, in tono profetico e solenne, lo proclama senza saper presagire le tempeste che le sue profezie sono chiamate a destare. Era il tipico poeta dei piccoli popoli, che, ai margini della vecchia Europa, pur tenendosi avvinti alla cultura occidentale, hanno ancora la forza di mantenere in sé, vivo, il contenuto, forse meno vasto, certo più sano e soprattutto diverso, della loro razza. A. morì a Budapest il 27 gennaio 1919.

Ady pubblicò complessivamente sette volumi di prosa, contenenti novelle, studî letterarî e le lettere da Parigi; e dodici volumi di liriche, fra i quali vanno particolarmente ricordati: Uj versek (Nuove poesie, 1906), Vér és arany (Sangue ed oro, 1908), Szeretném ha szeretnenek (Vorrei che m'amaste), Minden titkok verseiből (I versi di tutti i segreti, 1911), A menekülő élet (La vita che fugge, 1912), A halottak élén (Alla testa dei morti, 1918). Un critico ungherese disse che, dopo Goethe, la letteratura non ebbe un poeta il quale come A., abbia avuto tanto pieno il senso della vita. Goethe però non solo seppe sentire la vita, ma la seppe anche dominare. A. invece fu uno sconfitto nella lotta con la vita, troppo piena di tentazioni per la sua anima eccessivamente sensibile; e fu il poeta della perenne insoddisfazione.

La sua lirica è patriottica, amorosa e religiosa. Come poeta patriottico, è cosa indubhia che mai nessun poeta magiaro sentì ed espresse con tanta pienezza il tragico destino dell'ungherese guerriero, giovine, puritano, innamorato del sole e della libertà, e al tempo stesso costretto a vivere per quasi tutto il corso della sua storia dentro gli ambiti di influenze straniere. Conscio del passato della sua nazione, egli non si limita ad esaltarlo né a cantare inni sulla grandezza del passato o del presente, ma, pensoso dell'avvenire della razza, ne sferza gli errori, ne denuda i difetti, si pone di fronte ad essa coraggioso, crudele, sempre insoddisfatto. Nella lirica amorosa, egli canta un amore che nella sua fantasia prende l'aspetto di un giardino incantato, ricco di fiori meravigliosi, i quali dànno un profumo che inebria, ma, inebriando, avvelena: l'amore vi appare come una danza della morte: gioia, piacere, ma anche ebbrezza misteriosa, tragica, la quale ci dà pieno il senso della nostra caducità. Le migliori di queste sue poesie sono dedicate a Leda, sintetica complessa e viva figurazione dell'amor carnale ed insieme dei fantasmi spirituali che l'amore fa sorgere nella sua mente agitata. Nella poesia religiosa infine trova espressione la sua anima di calvinista, con la sua tristezza severa e con la sua chiara persuasione che vicino a noi, al disopra di noi, esiste un Dio distributore del bene e del male: in certi momenti a noi è dato conversare con lui in colloquio intimo e famigliare, ma per vedercelo tosto scomparire verso inafferrabili lontananze, dalle quali poi egli ci scaglia le sue invettive di genitore supremo; e noi rispondiamo a nostra volta con quelle dei miseri figli che, appunto perché tali, non riesciranno mai a comprendere pienamente la parola degli avi.

La poesia dell'A. è piena di richiami simbolici e spesso avvolta in quella vaga indeterminata atmosfera che è propria di tutta la poesia europea del principio del secolo. A. vi subì evidentemente l'influenza dei parnassiani e delle correnti loro affini, ma è tanto genuina l'originalità del suo spirito e tanto tragicamente magiaro il contenuto della sua lirica che, ad onta di tutte le più o meno lievi influenze, egli rimane vero grande poeta. Egli è l'ultima espressione geniale della cultura magiara. E l'agitazione che sollevò con la sua lirica non è ancora spenta: come, prima della guerra, in certi periodi, la "questione Ady" dominò sovrana stampa ed opinione pubblica senza distinzioni di sorta, così oggi ancora essa è fonte di appassionate ed interessanti dispute e controversie, che abbracciano vita, storia e cultura magiare, nelle loro espressioni più essenziali.

Bibl.: Dóczy e Gy. Földessy, Ady-Muzeum, Budapest 1924, I-II; A. Schöpflin, Magyar Irók (Scrittori ungheresi), Budapest 1917; B. Révész, Ady Endre életéböl (Dalla vita di A.A.), 1926; L. Hatvany, Ady a kortársak között (A. tra i contemporanei), Budapest 1927; L. Ady, Ady Endre, Budapest 1923; L. Hatvany, Gedichte von A. A., con biografia, Lipsia 1921.

Vedi anche
Kazinczy, Ferenc Scrittore ungherese (Érsemjén 1759 - Széphalom 1831); nel 1794 fu condannato a morte per complicità nella congiura di Martinovics; graziato, rimase imprigionato fino al 1801 a Bruna, Kufstein e Munkács. K. fu l'organizzatore e il critico della vita letteraria della sua epoca e diede il primo impulso ... Giano Pannonio Umanista ungherese (n. in Croazia 1434 - m. Medvedgrad, Zagabria, 1472). Studiò a Ferrara sotto Guarino Veronese, poi (1454) a Padova. Laureatosi nel 1458 e tornato in patria, ebbe nel 1459 il vescovato di Cinquechiese (Pécs). Nel 1465 fu mandato dal re Mattia Corvino a Roma per chiedere aiuti contro ... Tóth, Árpád Poeta ungherese (Arad 1886 - Budapest 1928). Collaborò con varî giornali e fu tra i principali rappresentanti del gruppo della rivista progressista Nyugat ("Occidente"). Già dalla prima raccolta Hajnali szerenád ("Serenata all'alba", 1913) emergono i toni parnassiani e impressionisti che caratterizzeranno ... Pázmány, Péter Ecclesiastico (Nagyvárad 1570 - Bratislava 1637), la figura più eminente della controriforma in Ungheria. Convertito dodicenne al cattolicesimo, entrò nell'ordine dei gesuiti; nel 1616 successe all'arcivescovo F. Forgách nella sede primaziale di Esztergom e fu creato cardinale (1629) da Urbano VIII. ...
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    Poeta ungherese (Érmindszent 1877 - Budapest 1919). Fu redattore del quotidiano Budapesti Napló e collaboratore principale della rivista Nyugat (Occidente). Nelle sue poesie (principali raccolte: Versek "Poesie", 1898; Új versek "Nuove poesie", 1906; Vér és arany "Sangue e oro", 1908; Szeretném ha szeretnének ...
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