endoscopia
L’endoscopia digestiva operativa
Per endoscopia operativa si intende l’insieme delle tecniche chirurgiche eseguibili mediante endoscopi introdotti nel corpo umano attraverso gli orifizi naturali (endoscopia) o mediante piccole incisioni praticate sulla cute (laparoscopia per l’addome, toracoscopia per il torace, artroscopia per le articolazioni). Grazie al continuo progresso tecnologico e alla miniaturizzazione delle sonde endoscopiche, l’endoscopia è andata sempre più diffondendosi, tanto da essere ormai considerata come metodica di prima scelta per la diagnosi e la terapia di molte malattie degli apparati: digerente, respiratorio, osteoarticolare, urinario e genitale. In partic., le nuove risorse tecnologiche e l’affinamento delle tecniche operative hanno elevato il rango della endoscopia digestiva a vera e propria disciplina microchirurgica, ponendola, di fatto, come anello di congiunzione tra la gastroenterologia e la chirurgia tradizionale. Allo stato attuale, l’endoscopia digestiva operativa, per i suoi caratteri di bassa invasività e i vastissimi campi di applicazione, offre (almeno nei centri ad alta specializzazione) una valida alternativa terapeutica in numerose patologie.
L’endoscopio si compone fondamentalmente di un tubo flessibile, dal calibro di ca. 6÷18 mm e di lunghezza variabile, dotato di una microcamera distale che viene introdotta nel corpo e che permette di trasmettere le immagini su uno schermo esterno grazie alla presenza di un fascio di fibre ottiche. La punta dell’endoscopio è articolata e può essere ruotata in diverse direzioni dall’operatore, per favorire la progressione dello strumento e poter visualizzare le pareti del viscere. La maggior parte degli endoscopi è dotata di uno o più canali operatori attraverso i quali si introducono strumenti accessori che consentono di prelevare piccoli frammenti di tessuto (per es., nel caso di biopsie), o asportare lesioni di maggiori dimensioni (per es., nella polipectomia). In altri casi è comunque possibile eseguire interventi terapeutici sempre più complessi, dall’arresto delle emorragie sino alla esecuzione di veri e propri interventi chirurgici.
Il polipo è una formazione delle mucose di rivestimento dell’apparato gastrointestinale che può essere sessile (cioè piano) o peduncolato (dotato cioè di un peduncolo nel quale sono compresi i vasi nutritizi). In tali lesioni, benigne nella maggior parte dei casi, è possibile che il tessuto di nuovo accrescimento comprenda focolai cellulari alterati (displastici), o francamente tumorali, per i quali è consigliabile l’asportazione completa. Se il polipo è di piccole dimensioni e di aspetto benigno, la polipectomia viene eseguita mediante multipli ‘morsi’ con una pinza da biopsia. Per i polipi più grandi, l’asportazione avviene mediante un cappio (ansa endoscopica) infiltrando preventivamente lo strato di mucosa sottostante per creare un cuscinetto di sicurezza con gli strati più profondi, onde evitare perforazioni del viscere. Durante il taglio del tessuto, una corrente di taglio-coagulazione assicura la cauterizzazione del tessuto in modo da prevenire sanguinamenti.
È un vero e proprio intervento di microchirurgia, utilizzato nell’asportazione di grossi polipi sessili o di tumori in stadio precoce (cioè limitati solamente allo strato superficiale della parete gastrointestinale). In questo caso la lesione viene completamente sollevata dagli strati profondi mediante iniezione di grandi quantità di soluzione liquida. Si procede dunque alla microincisione dei margini della lesione e si prosegue con lo scollamento del tessuto sottomucoso mediante piccoli uncini. In questo modo la lesione viene interamente asportata, consentendo un perfetto studio istologico della estensione e della profondità del piccolo tumore.
L’apparato gastrointestinale è sede frequente di emorragie, talvolta così gravi da richiedere l’intervento endoscopico di urgenza. A seconda del tipo di sanguinamento e del tipo di lesione che lo determina, l’endoscopista può ottenere l’arresto dell’emorragia mediante: il posizionamento di clip vascolari (di materiale inerte e di forme diverse) nel caso siano interessati piccoli vasi; la cauterizzazione con APC (Argon Plasma Coagulation), che consiste nell’applicazione di corrente elettrica ad alta frequenza senza contatto diretto con i tessuti, sfruttando le proprietà chimico-fisiche dell’argon, nei casi di sanguinamenti superficiali ed estesi (sanguinamenti a tappeto); la legatura con lacci elastici come nei casi di varici dell’esofago.
Le endoprotesi, o stent, sono piccoli tubi di diametro vario e di differente materiale (plastica o leghe metalliche) che vengono posizionati per via endoscopica per ripristinare la pervietà del lume gastrointestinale, biliare o pancreatico, occluso da cicatrici o tumori, o ostruito da calcoli. Per il tratto gastrointestinale, la sede di ostruzione viene raggiunta attraverso la bocca (esofago-gastro-duodenoscopia) o l’ano (pancolonscopia). Per operare a livello dei dotti biliari o del pancreas si esegue una colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (CPRE) in modo da raggiungere e visualizzare più facilmente lo sbocco delle vie biliari e pancreatiche (papilla di Vater) posto a livello del duodeno.
La cisti pancreatica è una raccolta di liquido, sterile o infetto, che si forma a livello del pancreas dopo una infiammazione, un trauma o per un’anomalia del dotto pancreatico. Per via endoscopica o con l’ausilio di un ecoendoscopio viene trovato il punto di contatto con la parete gastrica (o duodenale) e viene punta la cisti. Attraverso il posizionamento di uno stent o di un drenaggio si crea una comunicazione, detta stomia, che consente la pulizia della cisti e il drenaggio del suo contenuto.