ENDOIOS (῎Ενδοιος, Endoeus)
Scultore probabilmente ateniese vissuto nella seconda metà del VI sec. a. C. e attivo soprattutto fra il 530 e il 500, nell'Atene dei Pisistratidi; contemporaneo quindi, forse leggermente più anziano, dello scultore Antenor. Pausania (i, 26, 4) e Atenagora (Leg. pro Christ., 14, p. 61) affermano che E. era stato scolaro e compagno di Dedalo. Si tratta evidentemente di una tradizione leggendaria tendente a creare un alone mitico e misterioso attorno a un celebre personaggio storicamente ben determinato, secondo un procedimento comune nell'antichità. Di E. vengono ricordate le seguenti opere: 1) statua di Atena seduta, dedicata da Kallias sull'acropoli di Atene (Paus., i, 26, 4). 2) Statua lignea di Artemide per il santuario di Efeso (Athenagor., loc. cit.; Plin., Nat. hist., xvi, 314). 3) Statua in avorio di Atena Alea per il tempio di Tegea in Arcadia, simulacro asportato successivamente da Augusto che lo collocò nel suo Foro (Paus., viii, 46, 1). 4) Statua di Atena Poliàs nel tempio di Erythrai nella Ionia. Era un simulacro di legno; la dea sedeva sul trono, molto grande, con il pòlos in testa e una conocchia per ogni mano. Davanti al tempio erano due gruppi in marmo delle Canti e delle Horai, anche questi opera di E., secondo Pausania (vii, 5, 9). 5) In Atene si è ritrovata la base della stele funeraria di una donna (Lampito?) con la firma di E. (I. G., i, 477; Loewy, I. G. B., 8). 6). La firma di E. compare anche, assieme a quella di un altro scultore (Philergos?) sul fusto di una colonnina che sorreggeva originariamente il donario di un privato (Opsias ?) sull'acropoli di Atene (I. G., i, Suppl., p. 179, n. 373; Raubitscheck, n. 7). 7) Base di statua votiva trovata presso il Dipylon ad Atene, nel muro di Temistocle. La base era dipinta e, nonostante sia stata furiosamente scalpellata, si riconosce ancora la sagoma di una figura femminile seduta su un trono con la mano alzata quasi a reggere un attributo. L'iscrizione dice ῎Ε[ν]δοιος κ[α]ὶ τόνδ᾿ ἐπόε, vale a dire che E., oltre a scolpire la statua, dipinse anche la base (Bull. Corr. Hell., 1922, p. 27, f. 8 e tav. vii; I. G., ed. min., 983).
Come si vede E., pur essendo ateniese e attivo in Atene (per le discussioni circa la patria d'origine di E. v. Deonna, Dédale, ii, p. 104, n. 4-8) svolse una notevole attività anche nella Ionia e fu autore di numerosi simulacri di legno e di avorio, fatto quest'ultimo che può spiegare il sorgere di una tradizione che, basandosi su fattori puramente materiali e di carattere esterno, ricollegava E. alla corrente dedalica, come si è detto in precedenza. Ma nulla ci autorizza invece a inserire realmente E. in questa corrente stilistica dedalica o cretese-peloponnesiaca. Fu egli invece un artista di tradizione attico-ionica, vale a dire un tipico esponente del gusto dominante l'età dei Pisistratidi.
Ciò è dimostrato: a) dalla sua intensa attività in Atene e nella Ionia, attività che permise probabilmente a E. di assimilare da un lato elementi del gusto ionico, e, dall'altro, di diffondere nella Ionia principî dell'arte attica: b) dalla grafia ionica delle iscrizioni che lo riguardano, soprattutto nell'uso del sigma a quattro tratti, ad eccezione del sigma a tre tratti che appare sulle stele n. 5: c) dallo stile delle opere che, a poco a poco, gli studiosi vanno raccogliendo intorno al nome di lui. Unica opera assolutamente certa è, per ora, soltanto la vaga traccia di figura femminile di cui al n. 7. A questa immagine possiamo accostare la celebre statua acefala di Atena seduta trovata sull'Acropoli e concordemente identificata dagli studiosi con l'Atena seduta di E. di cui al n. 1, nella quale lo Stucchi riconosce un'Atena Ergane, come Ergane era la figura dipinta sulla base n. 7. Quest'opera ci riporta vagamente a tradizioni ioniche, ma presenta caratteristiche non di molle corposità, bensì di solida e sostenuta struttura attica, animata da un vivo senso di irrequietezza dinamica palese nel movimento instabile delle gambe. Interessante è un confronto con la celebre Kore di Antenor: domina in quest'ultima un senso di calma stasi architettonica in una visione assolutamente frontale e ieratica della figura umana. Viceversa la supposta opera di E. tende, nella sua inquieta instabilità, a rompere la legge della frontalità, a vivere in uno spazio a tre dimensioni, come giustamente ha osservato il Rumpf che, per questo, ha pensato di attribuire a E. celebri opere quali la Kore col peplo, il Cavaliere Rampin, i lati N e E del fregio del Tesoro dei Sifnî (v. deiochos), dove veramente le immagini delle divinità sedute che assistono ai combattimenti sono concepite con spirito molto simile a quello dell'Atena seduta dell'Acropoli, e la caelatura delle colonne del tempio arcaico di Efeso. Che la sensibilità di E. si muovesse precisamente in questa sfera attico-ionica cui dobbiamo tanti capolavori, può dimostrarlo un'altra opera che il Raubitschek, con molta verosimiglianza, ha attribuito ad E., e cioè la celebre stele votiva di un vasaio attico (secondo alcuni Euphronios) nella quale, grazie al ritrovamento di nuovi frammenti, la firma dell'artista è stata così integrata: ῎Εν[δοιος ἐποίης]εν. Anche in quest'opera l'eleganza e la sobrietà della linea compositiva si sposano a una sensibilità irrequieta e vivace.
Senza dubbio l'importanza di E. nella storia dell'arte greca fu maggiore di quanto noi stessi possiamo conoscere, ed è molto probabile che egli fosse tra gli artisti prediletti dai Pisistratidi, il che potrebbe spiegare l'acrimonia con la quale venne scalpellata la base dipinta del Dipylon: minuziosa acrimonia che difficilmente potrà essere attribuita ai Persiani, se pensiamo che le altre due celebri basi scolpite a rilievo, trovate assieme a quella di E., erano intatte.
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