ZAVATTINI, Emilio
Nacque a Rimini il 14 marzo 1927, da Fortunata Zavattini e da padre non noto.
Trascorse l’infanzia tra Roma e Rimini; dopo aver conseguito il diploma di ragioniere, si iscrisse alla facoltà di fisica pesso l'Università di Roma La Sapienza, dove si laureò nel 1953 con una tesi intitolata Studio e misura del tempo di transito degli elettroni nei contatori di Geiger. Lavorò poi come assistente straordinario in soprannumero dal 1953 fino al 1955. In questo periodo partecipò alle ricerche sui raggi cosmici con il gruppo di Carlo Ballario nel laboratorio Testa Grigia. Si trattava di una struttura allora pionieristica, fondata nel 1947 e immersa tra le nevi del Plateau Rosa a una quota di 3480 metri, vicino alla vetta Testa Grigia, proprio sul confine tra Italia e Svizzera.
Nell’aprile del 1956 Zavattini divenne ricercatore presso il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra. Vi rimase fino 1959, quando si trasferì alla Columbia University di New York, con la qualifica, fino al 1961, di research associate. Alla Columbia fece amicizia con il fisico Jean-Marc Gaillard. La futura moglie di Gaillard, Mary Katharine Gaillard – che negli anni successivi sarebbe diventata una fisica teorica di grande rilievo – gli fece conoscere Margaret Ann Marshall (Peggy), che divenne poi sua moglie; si sposarono a New York il 27 maggio 1961.
Tornato al CERN nel 1961, gli fu offerta una posizione permanente di ricercatore nella 'divisione EP' (Experimental Physics Department). All'epoca del suo ritorno al CERN nacquero anche i suoi tre figli, Bernardo nel 1961, Guido nel 1963 e Antonio nel 1964. Nel corso degli anni successivi, Zavattini partecipò a diversi comitati scientifici. Negli Stati Uniti, fu rappresentante del CERN presso il Brookhaven national Laboratory oltre che membro del Comitato di valutazione della ricerca sulle energie intermedie per la Atomic energy Commission. Fu anche membro dei comitati scientifici di diversi laboratori europei. Nel 1995 divenne socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei, con la motivazione «Zavattini è internazionalmente riconosciuto come uno dei fisici sperimentali italiani più creativi della sua generazione» (Roma, Accademia nazionale dei Lincei, Archivio storico).
Durante gli anni al CERN, per brevi periodi si dedicò anche all'insegnamento: in particolare, tenne un corso di spettroscopia all'Università di Modena nell'anno accademico 1964-65, e nel 1979 tenne un corso di fisica nucleare alla Columbia University. Nel 1986 partecipò a un concorso a cattedra in Italia e diventò professore ordinario presso il dipartimento di fisica dell'Università di Trieste, dove insegnò presso la facoltà di ingegneria, e dove rimase fino al suo pensionamento, nel 1998. Proseguì la sua attività scientifica nell'ambito dell' INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) fino alla sua morte.
La fisica moderna ha individuato quattro forze fondamentali: si tratta della forza di gravità e della forza elettromagnetica, che determinano i più comuni fenomeni del nostro mondo, a cui si aggiungono la 'forza debole' e la 'forza forte' che spiegano una grande quantità di fenomeni nel mondo delle particelle che costituiscono l'universo. Zavattini è stato un grande fisico sperimentale, che ha studiato aspetti importanti di quasi tutte queste forze, con l'eccezione di quella di gravità.
Nel 1968-69, presso l'AGS (Alternating Gradient Synchrotron) del Brookhaven national Laboratory (New York, USA), nell'ambito del gruppo guidato da Leon Lederman, Zavattini progettò e realizzò un esperimento in cui, per la prima volta, si cercavano «risonanze vettoriali» con una massa compresa tra 1 e 4 GeV attraverso il loro decadimento in coppie di muoni positivi e negativi (i muoni sono una specie di 'fratelli maggiori' degli elettroni, con una massa circa duecento volte maggiore). Venne così osservato il primo segnale di una risonanza vettoriale intorno a 3.5 GeV. Zavattini ne parlò a Sam Ting che successivamente, nel 1974, l'osservò con una apparecchiatura più potente nello stesso fascio dell'AGS. La risonanza – nota oggi come J/ψ – fu identificata come primo esempio di una nuova famiglia di particelle caratterizzate da «charm» e nel 1976 la scoperta fruttò il premio Nobel a Sam Ting oltre che a Burton Richter (che l'aveva individuata con una diversa apparecchiatura presso lo Stanford linear accelerator Center). Zavattini sfiorò dunque una scoperta da premio Nobel (Christenson et al., Observation of massive muon pairs in hadron collisions, in Physical Review letters, XXV (1970), pp. 1523-1526).
Nel periodo 1959-61, Zavattini iniziò insieme a Leon Lederman una serie di esperimenti presso il ciclotrone nel Nevis Lab della Columbia University per misurare la velocità di cattura nucleare dei muoni negativi in idrogeno liquido, una reazione che non era mai stata osservata prima. Questa attività continuò negli anni seguenti e nel 1967 sfociò nella prima prova sperimentale della universalità muone-elettrone nel processo di cattura da parte di un protone (reazione gemella del decadimento del neutrone). Sempre nel 1967 Zavattini, in collaborazione con un gruppo di Bologna guidato da Antonio Bertin e Antonio Vitale, misurò per la prima volta la velocità della cattura nucleare del muone in deuterio gassoso. Costruì e utilizzò per la prima volta presso un acceleratore di particelle un sistema di rivelatori simile a quello già utilizzato da Anton Moljk, Ronald William Prest Drever e Samuel Crowe Curran nel 1957 che anticipava le camere proporzionali multifilo che avrebbero portato Georges Charpak al premio Nobel nel 1992. Charpak iniziò i suoi studi nel 1967 e aveva il proprio laboratorio accanto a quello di Zavattini, con cui interagì.
I muoni negativi catturati in idrogeno gassoso sono molto vicini ai nuclei (i protoni) e risentono per questo di diversi effetti che sono invece trascurabili per gli elettroni negli atomi di idrogeno. Tra questi effetti c'è una correzione dovuta agli effetti di polarizzazione del vuoto dell'elettrodinamica quantistica, associata alla continua creazione e distruzione di coppie virtuali di elettroni. La curiosità verso questo effetto portò Zavattini a realizzare una serie di esperimenti con muoni finalizzati allo studio di questa correzione, con i gruppi di Gabriele Torelli ed Erseo Polacco (Università di Pisa) e con quello di Antonio Bertin e Antonio Vitale (Università di Bologna), e quindi a pensare alla struttura di un esperimento dedicato solo allo studio dell'interazione tra fotoni e campi elettromagnetici.
Lo studio iniziò intorno al 1980, in collaborazione con un giovane teorico, Enrico Iacopini, e sfociò in una prima proposta sperimentale che prevedeva l'utilizzo di un intenso campo magnetico e di un laser. Un ulteriore stimolo in tale direzione venne da uno studio teorico fatto con Luciano Maiani e Roberto Petronzio nel quale si mostrava che la presenza di effetti non lineari di interazione fotone-fotone poteva essere assai maggiore se in natura fossero presenti particelle bosoniche capaci di interagire con i fotoni (L. Maiani - R. Petronzio - E. Zavattini, Effects of nearly massless, spin-zero particles on light propagation in a magnetic field, in Physica Letters B, CLXXV (1986), 3, pp. 359-363). In ogni caso, le interazioni, se presenti, avrebbero comportato velocità di propagazione variabili per diversi stati di polarizzazione della luce.
Questa previsione teorica portò alla costituzione di una collaborazione tra le Università e sezione INFN di Trieste, di Rochester (in particolare con Adrian Melissinos) e il Brookhaven national Laboratory, e successivamente tra le Università e sezioni INFN di Trieste, Pisa, Ferrara e i laboratori INFN di Frascati e di Legnaro ('collaborazione PVLAS'). Questa attività impegnò Zavattini fino al giorno della sua morte. La posta scientifica era altissima, la più alta di tutta la sua carriera: l'evidenza sperimentale di un'interazione tra luce e campo magnetico sarebbe stata un risultato di primo piano, assai probabilmente degno di un premio Nobel. Nel marzo del 2006 la collaborazione PVLAS pubblicò un articolo in cui affermava di avere osservato un segnale compatibile con l'esistenza di un'ipotetica particella – l'assione – che può interagire con i fotoni e produrre un effetto ottico misurabile (Zavattini et al., Experimental observation of optical rotation generated in vacuum by a magnetic field, in Physical Review letters, XCVI (2006,), p. 110406). L’annuncio generò un enorme interesse nella comunità scientifica che però si spense presto quando gli autori individuarono una sorgente d'errore sistematico nell'apparato sperimentale (Zavattini et al., Editorial note: experimental observation of optical rotation generated in vacuum by a magnetic field, ibid., XCIX (2007), p. 129901).
Zavattini morì improvvisamente nella sua casa di Meyrin, vicino a Ginevra, il 9 gennaio 2007, per un attacco cardiaco.
La sua morte fece affiorare con forza l'ammirazione e l'affetto di colleghi ed ex allievi che in diversi scritti commemorativi comparsi dopo la sua morte ne misero in rilievo la passione per la ricerca e per la formazione di una generazione di giovani fisici. È sepolto nel cimitero di Meyrin-Feuillasse, poco distante dal CERN.
Zavattini ha scritto un gran numero di lavori scientifici, elencati nel nel database dedicato alla fisica delle particelle, inSPIRE (https://inspirehep.net/authors/982315, 9 marzo 2021). Altri documenti sono disponibili nel CERN document server (https://cds.cern.ch/).
Le principali fonti di informazione utilizzate sono un curriculum vitae scritto da lui stesso nel 2006, le comunicazioni personali da parte della moglie Margaret A. Marshall Zavattini e del figlio Guido Zavattini, e i ricordi personali dell'autore. I dettagli della sua nomina a socio corrispondente dell'Accademia Nazionaledei Lincei sono stati gentilmente forniti dall'Archivio storico dell'Accademia (dott.ssa Paola Cagiano de Azevedo). Infine sono state utilizzate due memorie, la prima scritta da Luigi di Lella, in CERN Courier, XLVII (2007), 3, p. 40); la seconda, scritta da Antonio Bertin, Antonio Vitale e Alfredo Placci, in Nuovo Saggiatore della Società italiana di fisica, n.s., XXIII (2007), 1-2, p. 21.