SAVONANZI, Emilio
‒ Figlio di Romolo (Carloni, 1999, p. 43 nota 2; Moriconi, 2010, p. 93 n. 55) e di Lavinia Folchi (C.C. Malvasia, Felsina pittrice, 1678, I, p. 228), nacque verosimilmente a Bologna nel 1595, come si evince da un atto notarile stilato nel 1640 a Camerino dove viene definito «d’anni 45» (Moriconi, 2010, p. 93 nn. 53-54). La nascita da consanguinei ascritti alla nobiltà felsinea e la destinazione alla carriera militare gli assicurarono un’educazione di svaghi e piaceri («cavalcare, giuocar di spada e notare», cfr. Ottaviano Cambi, in C.C. Malvasia, cit., I, p. 229), e solo in un secondo tempo avrebbe scelto di dedicarsi alla pittura.
Nessun documento noto è tuttavia riconducibile alla sua formazione artistica, che le fonti descrivono in modo discordante: secondo Giovan Pietro Bellori (Le vite de’ pittori..., 1672, 1976, p. 528) fu allievo di Guido Reni – e come tale viene ricordato insieme a Giacomo Sementi, a Francesco Gessi, a Simone Cantarini e a Giovanni Andrea Sirani –, un alunnato collocato a Roma da Carlo Cesare Malvasia (cit., I, p. 228) e a Bologna da Ottaviano Cambi (p. 229) e poi da Malvasia rievocato nella vita dello stesso Guido che, avendo ammirato le atletiche proporzioni del corpo di Emilio e paragonatele «a’ torsi antichi», lo avrebbe scelto come modello di un Bacco dipinto per la famiglia Davia (II, p. 57). Il biografo indica tuttavia anche un altro percorso di formazione: Emilio sarebbe stato inizialmente educato alla pittura dall’anziano Giovan Battista Cremonini e da Denijs Calvaert, dopo i quali avrebbe frequentato dapprima a Bologna la bottega di Lodovico Carracci e poi a Cento quella di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino (I, p. 228), manifestando in seguito quella «buona pratica di riunire più stili in uno» (L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia..., 1795-1796, a cura di M. Capucci, III, 1974, p. 37).
L’incertezza che permane nel percorso giovanile del pittore è determinata anche dalla perdita o dalla mancata identificazione di opere appartenute sia alle quadrerie bolognesi (un suo soggetto profano figurava nella collezione Ratta, cfr. Morselli, 1998, p. 405, e un altro nella collezione Varotti, cfr. Marcello Oretti, in Vicini, 1992, pp. 316, 319 nota 25), sia al patrimonio religioso cittadino (almeno quanto all’affresco eseguito nella facciata esterna della chiesa della Madonna del Monte, cfr. p. 316, e il Transito di s. Giuseppe nell’oratorio omonimo, cfr. C.C. Malvasia, cit., I, p. 228 nota 1). Queste e altre lacune lasciano ancora vuoti non colmabili, tanto nella sua produzione artistica quanto nella sua vita, svoltasi sicuramente (ma non esclusivamente) a Bologna, a Roma e a Camerino.
Le prime opere note riconducibili al periodo giovanile – la Deposizione della Pinacoteca nazionale di Bologna proveniente dalla chiesa dei Ss. Simone e Taddeo, la piccola Sacra Famiglia con s. Giovannino della Galleria degli Uffizi (con disegno preparatorio individuato da Kurz, 1955, pp. 132 s.) e il Seppellimento di Cristo della stessa sede (Borea, 1975, pp. 92 s.) – esemplificano i rapporti intervenuti con i maestri frequentati da Savonanzi in Emilia. La prima documenta con chiarezza il faticoso passaggio dall’iniziale cultura manierista al robusto naturalismo di Lodovico Carracci; le seconde l’avvicinamento a Guercino (pp. 92 s.), a Sisto Badalocchio (Fortunati, 1965, p. 151) e a Guido Cagnacci (Benati, 1993, p. 12), riferimenti che si ritrovano ancora nelle prove successive.
Per studiare la statuaria antica di cui è detto devoto (F. Baldinucci, Notizie de’ professori..., 1681-1728, a cura di F. Ranalli, 1845-1847, III, p. 387), ma più verosimilmente perché invitato dai parenti romani Giulio Cesare e Bartolomeo Savonanzi, dal 1618 incaricati dei lavori di rinnovamento dell’altare della cappella di S. Ciriaca nella basilica di S. Lorenzo fuori le Mura (Carloni, 1999, p. 42), Emilio raggiunse la città pontificia tra la fine di quest’ultimo anno e l’inizio del successivo e inaugurò in quella stessa fabbrica il proprio soggiorno nell’Urbe: un gruppo di quattro opere – già parzialmente contese con Tommaso Dovini, detto il Caravaggino, ma a lui pienamente restituite dalla critica – venne sicuramente terminato alcuni anni prima del 1625, quando il S. Lorenzo che battezza un neofita (dal 1863 nell’abbazia di Valvisciolo) compariva nell’incisione di Giovanni Maggi a corredo di Le nove chiese di Giovanni Baglione (1639, a cura di L. Barroero, 1990, pp. 155, 210, tav. 9) insieme alla S. Ciriaca che fa seppellire il corpo di s. Lorenzo (S. Lorenzo fuori le Mura, ibid.).
In quest’ultima tela l’atmosfera tragica e la fisicità delle figure manifestano l’interesse per Caravaggio e per alcuni suoi aderenti (Orazio Gentileschi e Orazio Riminaldi) e confermano soluzioni vicine a Guercino (la cui S. Petronilla della Pinacoteca Capitolina è citata nella figura dell’affossatore), svelando inoltre morbidezze prossime a Cagnacci, verosimilmente frequentato anche nei suoi primi anni romani attraverso il maestro di Cento. Espliciti ancora i ricordi della Deposizione in S. Maria in Vallicella del Merisi nella pala raffigurante I ss. Giustino e Ippolito che trasportano il corpo di s. Lorenzo (convento di S. Lorenzo fuori le Mura, cfr. Castellani, 2011, p. 42), come pure quelli della S. Lucia in Fabriano di Gentileschi nella Madonna con il Bambino e i ss. Gioacchino, Anna e Giovannino (dal 1863 nell’abbazia di Valvisciolo), di «rigorosa simmetria neocinquecentesca, conservatrice e arcaizzante» (Schleier, 1969, p. 5).
Dispersa la pala d’altare per la distrutta chiesa di S. Anna dei Funari (G. Mancini, Viaggio per Roma, in Considerazioni sulla pittura, 1617-1621 circa, a cura di A. Marucchi - L. Salerno, 1956-1957, p. 279), così come quella per la chiesa dei Ss. Giovanni e Petronio dei Bolognesi (Ottaviano Cambi, in C.C. Malvasia, cit., I, p. 231), il terzo decennio del secolo sembra segnato da due importanti documenti biografici: le (prime) nozze celebrate a Roma il 12 maggio 1623 (Noack, 1935, p. 512, senza estremi documentari), e nel 1626-27 la registrazione del domicilio insieme al padre nel «palazzo del sig. Savonanzi», nella parrocchia di S. Crisogono in Trastevere (Pomponi, 2011, p. 155), verosimilmente il palazzo del ramo romano della famiglia.
Prossime alle tele di S. Lorenzo e alla cultura caravaggesca più nitida e nobilitata di Gentileschi e di Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino sono le due versioni (entrambe di ubicazione sconosciuta e note da fotografie) del Narciso alla fonte: nella tela, restituita a Savonanzi da Erich Schleier (1969, pp. 6, 10, fig. 9, già collezione Jandolo, Roma), il giovanetto è nudo e si affaccia sulla pozza d’acqua inginocchiandosi su un sasso; nella seconda redazione, definita «migliore» da Federico Zeri e anch’essa appartenuta alla stessa galleria romana (nota autografa sul verso della fotografia 113901, Bologna, Fondazione Zeri), il giovanetto appare seduto e vestito, la mano destra appoggiata a terra e, più ravvicinato allo specchio d’acqua, si mostra di profilo (Papi, 2008, p. 44). Al terzo decennio del soggiorno romano appartiene anche un gruppo di opere di soggetto profano – prive di riferimenti antichi e tendenzialmente di grande formato – nelle quali Emilio riconferma il costante rapporto con la cultura di provenienza (Guercino, Cagnacci, Giovanni Lanfranco) attualizzandolo al nascente neovenetismo, imponendo in primo piano la fisicità dei personaggi (Caravaggio) e conferendo attenzione agli effetti di superficie (Gentileschi): questi elementi caratterizzano il Ritorno del figliol prodigo (Benati, 1993, p. 27 nota 21) – già transitato nel 1982 da Christie’s con il riferimento a Pier Francesco Mola – e la Venere che piange Adone della Pinacoteca Capitolina (Fortunati, 1965, pp. 154 s.).
Sono ancora indefinibili i contatti di Savonanzi con l’ambiente barberiniano e la sua adesione all’Accademia del disegno di Andrea Camassei (C.C. Malvasia, cit., I, 228), che Giovanni Battista Passeri (Vite de’ pittori..., 1673 circa, a cura di J. Hess, 1934, p. 170) colloca in alcune stanze del palazzo Barberini alle Quattro Fontane, sebbene grande interesse rivesta la notizia di Malvasia sulla sua partecipazione alla legazione in Francia (1625) e in Spagna (1626) del cardinale Francesco Barberini, dove sarebbe stato condotto «con titolo di camerata del sig. cavaliere Zambeccari generale delle medesime [galere]» (Ottaviano Cambi, in C.C. Malvasia, cit., I, p. 231). Il nome di Savonanzi non figura tra il seguito del cardinale nipote né nel Diario del viaggio in Francia né in quello di Spagna, sebbene al comando di una galera di quest’ultimo risulti effettivamente un Alessandro Zambeccari generale bolognese (Alessandra Anselmi, in Cassiano dal Pozzo, Il diario..., 1626, a cura di A. Anselmi, 2004, p. 11 nota 44), accompagnato dal proprio camerata Balzano che, in una commedia improvvisata a bordo per festeggiar il carnevale, recitò la parte del Graziano (p. 32), una delle maschere bolognesi più celebri del carnevale romano.
I rapporti con la famiglia del pontefice Urbano VIII sono documentati tutt’oggi dalla grande tela raffigurante Abramo, Agar e Ismaele (collezione Leicester a Holkham Hall), registrata nell’inventario dei beni del cardinale Francesco Barberini alla data del 22 agosto 1628 (Aronberg Lavin, 1975, p. 91 n. 375; Sutherland Harris, 1968, p. 254). Il contatto con i pittori barberiniani attivi di lì a poco nella grande fabbrica del palazzo alle Quattro Fontane è testimoniato non soltanto dal classicismo neoveneto che occhieggia in quest’ultima grande tela, ma anche nei più severi dieci Fondatori della medicina che dal 1629 decorano le lunette della Farmacia vecchia del Collegio romano dipinti in collaborazione con Andrea Sacchi (pp. 253-255), e in una tela nuovamente di grande formato raffigurante la Morte della Maddalena (Rudolph, 2005, p. 230), in cui si avvertono corrispondenze, oltre ai già citati Camassei e Sacchi, anche con Charles Mellin e Giovanni Battista Speranza. Con quest’ultimo e con Tommaso Dovini il maestro bolognese lavorò poco dopo nelle perdute decorazioni dell’altare di S. Andrea nelle cosiddette Grotte nuove, i cui pagamenti vennero emessi nel 1631 (Pollak, 1931, p. 522). Al contesto classicista dell’Urbe riconduce ancora la notizia della sua amicizia con Alessandro Algardi, testimoniata dagli scrittori antichi e da un censimento che nel 1634 (anno della sua iscrizione all’Accademia di S. Luca, cfr. Sutherland Harris, 1968, p. 254 nota 38) lo segnalava in un’abitazione della parrocchia di S. Andrea delle Fratte con il suo concittadino scultore (nota 37).
Le seconde nozze celebrate il 26 gennaio 1636 a Camerino con Caterina Parentucci (Moriconi, 2010, p. 93 n. 55) – dalla quale tra il 1638 e il 1655 ebbe sette figli (Giannatiempo López, 2010, p. 268) – certificano la partenza di Savonanzi da Roma e l’assidua presenza nella città ducale già nella metà del quarto decennio, giunto (raccomandato da Andrea Sacchi, cfr. Ottaviano Cambi, in C.C. Malvasia, cit., I, p. 231; G.B. Passeri, Vite de’ pittori..., cit., p. 198) su invito del maestro di camera di Urbano VIII (e futuro cardinale) Angelo Giori. Nessuna opera conosciuta è oggi esplicitamente collegabile alla committenza di questi, rendendo così difficilmente tracciabile anche la geografia del trentennio di Savonanzi nelle Marche (nel tempo alleggerito da dipinti perduti, ridipinti, impropri o dibattuti), nel quale la sua unica prova sicura è (se sopravvissuta al terremoto del 2016) la teatrale Madonna del Rosario di Pieve Torina (Zampetti, 1990, p. 357; Giannatiempo López, 2010, p. 268), firmata e datata nel 1636 e ancora legata alla produzione degli emiliani a Roma (p. 268).
Morì a Camerino, verosimilmente nel 1666 (Ottaviano Cambi, in C.C. Malvasia, cit., I, p. 232).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Viaggio per Roma, in Considerazioni sulla pittura (1617-1621 circa), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956-1957, p. 279; Cassiano dal Pozzo, Il diario del viaggio in Spagna del cardinale Francesco Barberini (1626), a cura di A. Anselmi, Madrid 2004, pp. 11, 32; G. Baglione, Le nove chiese di Roma... (1639), a cura di L. Barroero, Roma 1990, pp. 155 s., 210, tav. 9; P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni (1672), a cura di E. Borea, Torino 1976, p. 528; G.B. Passeri, Vite de’ pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma (1673 circa), a cura di J. Hess, Leipzig-Wien 1934, pp. 170, 198; C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi con aggiunte, correzioni e note inedite dell’autore, di Giampietro Zanotti e altri scrittori, Bologna 1678, I, pp. 228-232, II, p. 57; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua... (1681-1728), a cura di F. Ranalli, Firenze 1845-1847 (ed. anast. a cura di P. Barocchi, III, Firenze 1974-1975), pp. 386 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del XVIII secolo (1795-1796), a cura di M. Capucci, III, Firenze 1974, p. 37.
O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, II, Wien [1931], p. 522; F. Noack, S., E., in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXIX, Leipzig 1935, p. 512; O. Kurz, Bolognese drawings of the XVII and XVIII centuries in the collection of her majesty the Queen at Windsor Castle, London 1955, pp. 132 s.; V. Fortunati, E. S., in Arte antica e moderna, 1965, n. 30, pp. 148-164; A. Sutherland Harris, Andrea Sacchi and E. S. at the Collegio Romano, in The Burlington Magazine, CX (1968), pp. 249-257; E. Schleier, E. S.: inediti del periodo romano, in Antichità viva, VIII (1969), 4, pp. 3-16; M. Aronberg Lavin, Seventeenth-century Barberini documents and inventories of art, New York 1975, n. 375; E. Borea, Pittori bolognesi del Seicento nelle Gallerie di Firenze (catal.), Firenze 1975, pp. 91-93; P. Zampetti, Pittura nelle Marche, III, Dalla Controriforma al Barocco, Firenze 1990, pp. 356-358; S. Vicini, E. S., in La scuola di Guido Reni, a cura di M. Pirondini - E. Negro, Modena 1992, pp. 315-326; D. Benati, Natura ed emozione: itinerari del giovane Cagnacci, in Guido Cagnacci (catal., Rimini), a cura di D. Benati - M. Bona Castellotti, Milano 1993, pp. 9-28; R. Morselli, Collezioni e quadrerie nella Bologna del Seicento: inventari 1640-1707, Los Angeles 1998, p. 405; L. Carloni, Un artista bolognese in relazione con il Sacchi: E. S., in Andrea Sacchi 1599-1661 (catal., Nettuno), Roma 1999, pp. 40-43; S. Rudolph, in Mola e il suo tempo. Pittura di figura a Roma dalla Collezione Koelliker (catal., Ariccia), a cura di F. Petrucci, Milano 2005, p. 230; G. Papi, Aggiunte al catalogo di E. S., in Paragone, s. 3, LIX (2008), 80, pp. 40-48; P. Moriconi, Spigolature seicentesche su alcuni pittori a Camerino, in Meraviglie del Barocco nelle Marche, I, San Severino e l’Alto maceratese (catal., San Severino Marche), a cura di V. Sgarbi - S. Papetti, Milano 2010, pp. 89-94; M. Giannatiempo López, ibid., p. 268 n. 68; P. Castellani, in Roma al tempo di Caravaggio. 1600-1630 (catal., Roma), a cura di R. Vodret, II, Milano 2011, p. 42 n. II.8; M. Pomponi, Gli artisti presenti a Roma durante il primo trentennio del Seicento nei documenti dell’Archivio Storico del Vicariato, in Alla ricerca di “Ghiongrat”. Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630), a cura di R. Vodret, Roma 2011, p. 155.