SANTARELLI, Emilio
SANTARELLI, Emilio. – Nacque a Firenze il 1° agosto 1801, figlio di Teresa Benini e di Giovanni Antonio Santarelli, celebre incisore di gemme d’origine abruzzese formatosi a Roma nella bottega di Giovanni Pichler e trasferitosi nel 1797 nella capitale del Granducato toscano, dove divenne presto uno dei protagonisti del mondo artistico locale grazie anche all’amico François-Xavier Fabre, che lo aveva introdotto nell’ambiente colto e mondano di Vittorio Alfieri e della contessa d’Albany.
Educato fin dall’infanzia allo studio del latino, della storia e del francese, Emilio s’iscrisse nel 1814 all’Accademia di belle arti dove, mostrata inclinazione per la scultura, seguì gli insegnamenti di Francesco Carradori e di Stefano Ricci. Grazie alla buona attitudine ottenne più premi accademici – nel 1817, nel 1818 e nel 1819 – e nel 1824 vinse il concorso per il pensionato artistico a Roma, dove studiò con Bertel Thorvaldsen, dal quale apprese, fra l’altro, l’abilità a comporre il bassorilievo (Emiliani Giudici, 1859, p. 237). Nell’estate del 1826 fece un temporaneo ritorno a Firenze, in seguito alla morte del padre.
Durante il soggiorno romano ebbe l’opportunità di frequentare i pensionnaires dell’Accademia di Francia, e in particolare lo scultore suo coetaneo Augustin Dumont; così almeno lasciano intendere le consonanze formali fra le opere di questi e il modellato dei Genii eseguiti da Santarelli per la tomba della Albany (Del Bravo, 1996, 1997, p. 279), il suo primo importante lavoro, affidatogli da Fabre nel 1825.
L’elaborazione del monumento funerario della contessa, disegnato da Charles Percier e destinato al pantheon fiorentino di S. Croce, condizionò l’ideazione dei saggi di studio dell’artista che, dopo aver realizzato un Fauno, copia dall’antico, e un bassorilievo con Ulisse riconduce Briseide al padre – prove obbligatorie del primo e del secondo anno –, nel 1826 modellò un Sonno, nel 1827 un Arpocrate (alto 158 centimetri, e mai tradotto in marmo, il gesso fu posto in vendita nel 1887 insieme a tutte le sculture conservate nello studio dell’artista; cfr. Catalogo delle opere statuarie..., 1887, p. 17 n. 29), e nel 1828 un Genio in atteggiamento di dolore. Le tre opere, inviate a Firenze poco prima della conclusione del pensionato, vennero presentate all’esposizione annuale dell’Accademia nel 1828.
Tornato in Toscana, nel 1831 Santarelli collaborò alla decorazione in stucco della sala da ballo della palazzina della Meridiana di palazzo Pitti, realizzata da Pasquale Poccianti, e per quest’architetto eseguì anche gli stucchi della cappella della Madonna nel santuario di Maria Madre di Dio a San Romano, presso San Miniato al Tedesco.
Il monumento della Albany, frutto di riflessioni colte e sentimentali sulla scultura del Quattrocento vivificate dai riferimenti al dato naturale, in sintonia con gli insegnamenti di Lorenzo Bartolini, fu inaugurato nel marzo del 1830 e s’impose come un esempio precoce e di qualità del purismo toscano; motivo – questo – di nuove commissioni per l’artista, che nel 1832 completò, ed espose in Accademia, i rilievi marmorei per la base disegnata dall’architetto Alessandro Gherardesca nel monumento a Pietro Leopoldo per Pisa, opera di Luigi Pampaloni, raffiguranti l’Agricoltura e il Commercio. Quel medesimo anno Fabre gli richiese un’altra opera importante: un’Immacolata per il duomo di Montpellier, sua città natale, dove era tornato a vivere nel 1826. La scultura sarebbe stata ultimata nel 1840, tre anni dopo la morte del committente, che nel frattempo aveva designato Santarelli suo erede universale.
Un simile gesto, insieme all’atteggiamento affettuosamente protettivo del pittore francese nei confronti dello scultore, ha suscitato il dubbio che egli fosse un suo figlio illegittimo; certo è che Fabre ne seguì la crescita artistica e spirituale con sollecitudine, come testimoniano le tante lettere inviategli, e che da lui Emilio imparò ad apprezzare e a collezionare i disegni, divenendo un raffinato intenditore, e ad amare il giardinaggio.
Grazie all’eredità di Fabre, nel 1837 Santarelli acquistò l’elegante palazzina già appartenuta al pittore in via S. Monaca all’angolo con via de’ Serragli, per farne la propria abitazione, e nel 1838 una casa rurale situata lì vicino corredata di un ampio orto con frutteto atto a coltivare i fiori da lui tanto amati, in particolar modo le camelie. Sul limitare del giardino fece costruire, su suo disegno, uno spazioso edificio adibito a studio, cui in seguito fece aggiungere un nuovo corpo di fabbrica con un passo carraio utile all’ingresso dei blocchi di marmo. Fu là che nel 1840 presentò al pubblico la statua di Michelangelo eseguita per il loggiato degli Uffizi, allogatagli nel 1836 dal comitato istituito da Vincenzo Batelli, l’editore fiorentino promotore di quell’iniziativa volta alla celebrazione degli ‘illustri toscani’. Il successo dell’opera fu tale che lo scultore continuò per decenni a realizzare repliche dell’intera statua o del solo busto, spesso in formato ridotto.
Al 1836 risale anche il monumento di Giovan Vincenzo degli Alberti, eretto in S. Croce per volere dell’erede Leon Battista, ultimo rappresentante della casata; al 1838, invece, il bassorilievo per il monumento funerario del pittore Francesco Sabatelli (eretto nello stesso anno), collocato nel chiostro dei Morti di quella basilica e realizzato su disegno di Luigi, padre del giovane defunto, e un Angelo tutelare per i marchesi di Barolo.
Per accelerare il compimento di tali lavori e dell’Immacolata per Montpellier, Santarelli richiese l’aiuto di Pietro Freccia e del fratello di questi, Clearco, che collaborarono con lui almeno fino al 1847, epoca in cui attendeva alla traduzione in marmo della Fortezza, la figura allegorica assegnatagli delle quattro che ornano la base del monumento a Cristoforo Colombo di Genova.
Contemporaneamente alla realizzazione di opere pubbliche, eseguì un cospicuo numero di statue d’invenzione, molto apprezzate per i soggetti affabili o patetici – Amore maligno, Giovinetto cacciatore, Amore in agguato, Amore con farfalla, Fanciullo povero – tradotti nel marmo con «forme vaghe e delicate molto» (Gotti, 1887, p. 278). Fra le più richieste vi furono una «Baccante corcata che va scherzando con un satirino» e Il giglio caduto, una redazione della quale fu acquistata da Vittorio Emanuele II come omaggio per l’imperatore Francesco Giuseppe (p. 278). Ma la più ammirata fu la Preghiera dell’Innocenza, la cui prima redazione appartenne ad Anatolij Demidov e una replica fu acquistata da Odone di Savoia nel 1861 (Genova, Galleria d’arte moderna).
La ricchezza non distolse dunque lo scultore dal lavoro ma, anzi, gli consentì di dedicarsi all’arte per amore e non per guadagno (p. 276).
Uomo di sincera fede cristiana e d’animo generoso e caritatevole, Santarelli fu fratello della Misericordia dal 1835, e per la confraternita avrebbe eseguito negli anni, senza compenso, i busti di S. Sebastiano (1860) e di Maria (una versione ridotta dell’Immacolata di Montpellier) e, nel 1870, una medaglia raffigurante S. Sebastiano alla colonna.
Le sue concezioni morali, influenzate dal pensiero di Vincenzo Gioberti, si riflettono nello stile delle sue sculture, esito di un delicato equilibrio fra «tradizione e novità, estetica platonica, cristianesimo moderno, e forma classica» (Del Bravo, 1997, pp. 281-284).
Di Gioberti e dei giobertiani Emilio condivise anche gli ideali risorgimentali: non è un caso se nel 1847 realizzò il busto marmoreo del canonico Ambrogio Ambrosoli perché fautore di sentimenti patriottici, e nel 1848 fece parte della guardia civica costituita in nome della reciproca fiducia fra Leopoldo II e i sudditi. Del granduca, nel 1850, ebbe l’incarico di eseguire la statua per Livorno in sostituzione di quella di Emilio Demi, distrutta nel 1849. La scultura fu eretta nel 1855, anno cui risale il busto dell’amico don Pirro Palazzeschi, pastore di San Frediano. Nel 1850 eseguì per il cenacolo di Fuligno, allora ritenuto di Raffaello, un busto dell’urbinate, da lui donato al governo nel 1852.
Quell’anno la sua passione per il giardinaggio – motivo di frequentazione dell’Accademia dei Georgofili – lo portò a essere, insieme a Carlo Torrigiani, uno dei dodici membri della commissione impegnata nella fondazione della Reale società di orticoltura, costituita ufficialmente il 21 maggio 1854 e presieduta dall’illustre botanico Filippo Parlatore, al quale nel 1856 dedicò una camelia «a fondo incarnato con piccole vergature rosse delicatissime, e dai piccoli petali ovali» (Petrucci, 2010, p. 187), una delle molte da lui ibridate e intitolate ad artisti di fama antichi e moderni – Giorgio Vasari, per esempio, o Giuseppe Bezzuoli – o chiamate con nomi indicativi della soavità del nuovo fiore. Fra le camelie da lui create è la Giardino Santarelli (1873), dai grandi fiori bianchi screziati di rosso, tuttora molto apprezzata.
Agli anni Cinquanta risale il monumento di Alessandro Gherardesca morto nel 1852, destinato al Camposanto di Pisa, e al 1858 il busto di Cosimo Ridolfi per le scuole di Empoli, a ricordo delle lezioni di agraria là tenute dal marchese ai contadini del luogo (Empoli, Biblioteca comunale).
All’Esposizione nazionale del 1861 presentò quattro opere, fra cui il Buon pastore e una replica dell’Immacolata di Montpellier, probabilmente quella donata nel medesimo anno alla cappella di S. Giuseppino, allora destinata al culto dei morti.
All’aprile del 1863 risale l’incarico per la realizzazione del portale centrale di S. Croce, a spese di Vittorio Emanuele II; i gessi, terminati nel maggio del 1869, non furono mai fusi in bronzo.
Nel 1865 eseguì il monumento di Giuseppe Bezzuoli, collocato nella chiesa di S. Miniato al Monte, dove riprese, rinnovandolo, il tema del monumento di Francesco Sabatelli, e anche una replica del busto di Ridolfi per l’Accademia dei Georgofili.
Nel 1866 donò agli Uffizi la ricchissima collezione di disegni di autori antichi e contemporanei, in parte ereditata da Fabre, e costantemente arricchita; ben 12.461 fogli, più 243 di formato particolarmente grande, accompagnati da un catalogo manoscritto con descrizione, numero d’ordine e prezzo di ciascun disegno: una sessantina di essi furono esposti nel corridoio vasariano, allora riaperto. L’importanza e l’entità della donazione suggerirono ad Aurelio Gotti, direttore degli Uffizi, di far eseguire un busto celebrativo dello scultore da Vincenzo Consani, che non volle essere ricompensato.
Santarelli chiese che il governo facesse redigere entro due anni dalla donazione il catalogo a stampa della raccolta, che sarebbe rimasta presso di lui fino alla morte. Il compito venne assegnato ai funzionari Emilio Burci e Ferdinando Rondoni, suoi amici, e fu forse per consentire un’adeguata visibilità ai disegni e agevolare la loro catalogazione se lo scultore ristrutturò lo studio, creando al primo piano un’ampia sala centrale decorata nella volta da un affresco di Annibale Gatti raffigurante l’Apoteosi dell’arte del disegno.
Nel 1867 rinunciò al ruolo di professore residente presso l’Accademia di belle arti, incarico che ricopriva dal 1860 perché, come ammise, si riteneva incapace di comprendere e apprezzare le opere d’arte moderna dettate dal realismo.
Nel 1870, lasciata la casa di via S. Monaca, trasferì la sua residenza nell’edificio dove aveva lo studio, così da potersi dedicare con maggiore agio al lavoro, alle sue raccolte di disegni e di autografi, al giardinaggio.
L’anno seguente cominciò a lavorare al busto di Antonio Ciseri in cambio del ritratto fattogli dal pittore, per cui provava amicizia e stima, tanto da porsi come intermediario fra lui e il francescano Remigio Buselli, il commissario generale in Terra Santa che gli ordinò una replica dell’Immacolata per la chiesa di S. Caterina ad Alessandria d’Egitto, da realizzare a pendant della statua di S. Francesco già destinata alla tomba di Giovanni Antonio suo padre nel chiostro di Ognissanti, ma rimasta nel suo studio, dove venne ammirata dall’ecclesiastico nel 1871.
Nel 1873 donò due statue di angeli da collocare ai lati dell’Immacolata in S. Giuseppino, nel frattempo consacrata come chiesa. Entrato a far parte, come accademico di S. Luca, del comitato promotore delle celebrazioni per il quarto centenario della nascita di Michelangelo, propose la mostra di calchi e di riproduzioni fotografiche delle opere dell’artista. Nel 1875 una delle sue tante redazioni del busto di Michelangelo fu donata all’Istituto di scienze arti e cultura di Francoforte sul Meno, di cui fu nominato accademico.
Alla seconda metà degli anni Settanta risalgono il monumento dell’arcivescovo di Firenze Gioacchino Limberti, morto nel 1874, eretto nel cimitero di Porta a Pinti, e il busto celebrativo di Filippo Parlatore, scomparso nel 1878, destinato all’Accademia dei Georgofili.
Con l’avanzare dell’età, Santarelli andò accantonando sempre più il lavoro di scultura per dedicarsi al giardinaggio e alle sue collezioni, di cui quella di autografi era diventata «una vera mania» (Gotti, 1887, p. 285).
Nel 1882 s’innamorò di una donna di quarantadue anni umile e incolta – una «camiciaia» come rammentava Ciseri (Spalletti, 1975, p. 731, n. 1375) – poi diventata sua moglie e che, poco dopo la morte dell’artista, avvenuta il 29 ottobre 1885, mise in vendita senza alcun rispetto per l’opera del defunto quanto era conservato nel suo studio, non prima però di averla offerta all’Accademia di belle arti, che non la ritenne degna d’acquisto. Lo scultore fu inumato nel cimitero della Misericordia, a Porta a Pinti.
Nel 1886 la sorella di Santarelli, Agnese Parigi, chiese ad Aurelio Gotti di redigere una commemorazione dello scultore che venne letta al Circolo filologico di Firenze il 13 dicembre di quell’anno, e quindi pubblicata nella Rassegna nazionale.
Fonti e Bibl.: A.M. Izunnia, La concezione di Maria Vergine - Statua del prof. E. S. commissione del fu Bar. Franc. Xaverio Fabre, in Giornale del Commercio, 23 settembre 1840; [W.B. Spence], The ‘Lions’ of Florence..., Florence 1852 (trad. it. Firenze. Guida alla capitale dei Granduchi, a cura di A. Brilli, Siena 1986, pp. 75 s.); P. Emiliani Giudici, Correspondence particulière, in Gazette des beaux-arts, I (1859), 3, pp. 237-243; Catalogo della raccolta dei disegni autografi antichi e moderni donata dal prof. E. S. alla Reale Galleria di Firenze, Firenze 1870; A. Gotti, E. S., in Rassegna nazionale, IX (1887), 35, pp. 268-285; Catalogo delle opere statuarie in marmo di Carrara eseguite dal defunto prof. commend. E. S. membro dell’Accademia di Vienna nonché di molte altre in vendita all’amichevole per conto della vedova erede con i prezzi fissati a ogni singolo oggetto, Firenze 1887, p. 17 n. 29; Disegni italiani della collezione Santarelli - secc. XV-XVIII, a cura di A. Forlani Tempesti, Firenze 1967; E. Spalletti, Per Antonio Ciseri, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, classe di lettere e filosofia», s. 3, V (1975), pp. 563-778; C. Del Bravo, E. S. e alcuni pensieri giobertiani (1996), in Id., Bellezza e Pensiero, Firenze 1997, pp. 279-288; G. Salvagnini, Fabre, S. - Un’amicizia e due monumenti, in Libero, XXII (2003), pp. 3-14; C. Monbeig Goguel, Les artistes florentins collectionneurs de dessins de Giorgio Vasari à E. S., in Rencontres internationales du Salon du Dessin, 22-23 marzo 2006, a cura di C. Monbeig Goguel, I, L’artiste collectionneur de dessins, Milano 2006, pp. 35-65 (in partic. pp. 56-58); L. Pellicer, L’uomo e i suoi segreti, in François-Xavier Fabre (catal. Montpellier e Torino), a cura di L. Pellicer - M. Hilaire, Paris 2008, pp. 17-46; F. Petrucci, Il giardino di E. S., in Artista, 2010, pp. 178-189; R.A. Moral, El escultor E. S. colecionista de dibujos, in I segni nel tempo. Dibujos españoles des los Uffizi (catal.), a cura di B. Navarrete Prieto, Madrid 2016, pp. 63-77; Accademia di belle arti di Firenze. Scultura 1784-1915, a cura di S. Bellesi, Pisa 2016, passim.