PUCCI, Emilio
PUCCI, Emilio. – Nacque a Firenze il 19 settembre 1545, dal secondo matrimonio di Pandolfo di Roberto con Cassandra di Pierfilippo da Gagliano (18 aprile 1543).
Colpito come tutto il ramo familiare dalla confisca dei beni e dalla perdita del diritto di cittadinanza a seguito della condanna ed esecuzione capitale del padre Pandolfo (1559), riconosciuto a capo di un progetto di congiura contro il duca Cosimo I de’ Medici, venne assieme ai fratelli perdonato e riabilitato dal duca nel 1563 (motuproprio datato Pisa, 27 marzo 1563, Archivio Pucci, filza 118, f. 1456). Con questo provvedimento, Emilio e gli altri fratelli venivano anche reintegrati dei beni che erano stati confiscati nel 1559.
Prese l’abito di cavaliere gerosolomitano il 24 settembre 1565 (Bonazzi, 1897, p. 261; Processo di ammissione in Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, 132, filza 18, ins. 35). A seguito di questa scelta rinunciò alla sua parte dei beni familiari in favore dei quattro fratelli (Orazio e Roberto, nati dal primo matrimonio del padre Pandolfo con Laudomia Guicciardini; Alessandro e Ascanio, nati dall’unione di Pandolfo in seconde nozze con Cassandra da Gagliano).
Da rimarcare come in questi anni, immediatamente successivi alla creazione da parte del duca Cosimo I de’ Medici nel 1561 di un ordine cavalleresco ‘nazionale’ toscano (l’Ordine di S. Stefano con sede a Pisa), di fatto in concorrenza con quello maltese e destinato in primo luogo ad accogliere i membri delle casate toscane, la scelta di militare nell’uno o nell’altro dei due non fosse assolutamente neutra. Mentre entrare nell’Ordine stefaniano aveva un preciso significato di ‘lealismo dinastico’, optare per il secondo – nel quale uno dei principali nemici dei Medici, Leone Strozzi, aveva esercitato fino alla morte (1554) un ruolo di primissimo piano – assumeva un chiaro significato di non allineamento, anzi di sfida nei confronti del duca toscano.
Partecipò con la ‘squadra del grande soccorso’ alla difesa di Malta assediata dalle truppe di Solimano nello stesso 1565 (Bosio, 1594, pp. 659 s.). Nel corso delle operazioni militari fu catturato e successivamente liberato a seguito del pagamento di un riscatto. Prese parte il 15 luglio 1570 alla battaglia navale combattuta nelle acque tra la Sicilia e Malta, che si risolse per l’Ordine in una disastrosa sconfitta, e per Emilio in una nuova prigionia (ibid., pp. 858 s.).
Emilio, cavaliere combattente, fu dunque in questi anni quasi continuativamente impegnato in operazioni militari al servizio del suo Ordine, e non si trovava a Firenze nell’aprile 1575, quando fu scoperta e duramente repressa la congiura contro Francesco I de’ Medici capitanata dal fratello Orazio, che coinvolse giovani appartenenti ad alcune tra le maggiori famiglie patrizie cittadine. Infatti, all’inizio di febbraio di quell’anno aveva ricevuto il grado di capitano, assieme all’incarico di arruolare a Roma e nel Lazio una compagnia di 500 soldati e di condurla poi a Malta (Instruzione a voi il cavalier Emilio Pucci…, in Archivio di Stato di Firenze, Mannelli Galilei Riccardi, 383, ins. 3). Egli non sembra avere avuto un ruolo attivo nella congiura ordita dal fratello Orazio, né il suo nome risultò compreso negli elenchi dei fiorentini coinvolti. La vicenda, che causò la condanna a morte e l’esecuzione del fratello e negli anni successivi la caccia attraverso l’Italia e l’Europa ai numerosi altri congiurati, segnò tuttavia anche la vita e il destino di Emilio, che evitò di rientrare a Firenze dopo la sentenza e la confisca dei beni di famiglia, stabilendo la sua residenza a Roma.
Fece ritorno a Firenze a seguito della morte di Francesco I de’ Medici (17 ottobre 1587) richiamatovi dal nuovo granduca Ferdinando, che aveva avuto modo di frequentare durante gli anni del cardinalato romano di quest’ultimo (1562-87). In questo periodo Ferdinando aveva anche avuto al proprio servizio uno dei fratelli di Emilio, Alessandro, ecclesiastico e futuro abate. La buona predisposizione di Ferdinando verso i fratelli Pucci è attestata dal provvedimento con il quale nel 1585 aveva restituito loro la parte dei beni confiscati a seguito della congiura di Orazio, che gli erano stati donati dal fratello granduca Francesco nell’agosto del 1575 (ibid., 371, ins. 7).
Immediatamente dopo la morte del granduca Francesco, Emilio Pucci fu nominato da Ferdinando I ambasciatore, con l’incarico di portare al viceré spagnolo di Napoli, a quello di Sicilia e al gran maestro di Malta la notizia del decesso (ibid., Mediceo del Principato, 2636, cc 143r-144v). La missione tuttavia non era esclusivamente di rappresentanza, ma aveva anche un contenuto politico. Emilio avrebbe dovuto infatti protestare presso il viceré di Napoli per la protezione accordata di fatto dai rappresentanti spagnoli dello Stato dei Presidi ai briganti che infestavano la Maremma toscana, e che il nuovo granduca si apprestava a combattere. Secondo alcuni commentatori (Litta, 1868), l’incarico della missione in realtà avrebbe avuto lo scopo di allontanare Pucci da Firenze, ritenuto personaggio sgradito e potenzialmente pericoloso. Fatto sta che dopo questa egli non venne impiegato in altre missioni diplomatiche e, rimasto a Firenze sino agli inizi degli anni Novanta (Archivio di Stato di Firenze, Mannelli Galilei Riccardi, 383, ins. 3), stabilì poi la propria residenza a Roma, dove poté contare sulla protezione e sull’amicizia di papa Clemente VIII Aldobrandini, protettore dei fuorusciti fiorentini, che subito dopo essere stato eletto nel 1592 lo impiegò al suo servizio, nominandolo comandante generale delle galee pontificie (Gamurrini, 1673, p. 381).
Emilio Pucci morì in modo improvviso il 29 novembre 1595 e fu inumato nella chiesa di S. Maria sopra Minerva per volere del papa, che commissionò all’architetto e scultore Giacomo della Porta un monumento funebre ‘al vecchio amico’, inaugurato il 19 febbraio 1597 (von Pastor, 1942, p. 668).
L’inaspettata morte di Pucci alimentò voci di un suo avvelenamento commissionato dal granduca Ferdinando I de’ Medici, che ne avrebbe visto con preoccupazione e malanimo la posizione di primo piano raggiunta alla corte pontificia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Ceramelli Papiani, 3869; Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, 132, filza 18, ins. 35; Mannelli Galilei Riccardi, 371, ins. 7, 383, ins. 3; Mediceo del Principato, 2636; Sebregondi, 4334; Soprintendenza archivistica per la Toscana, Inventario fondo Pucci (1404-1930), a cura di D. D’agostino - F. Polidori, 2000, http://www.soprintendenzaarchivisticatoscana.beniculturali.it/fileadmin/inventari/Pucci.pdf (25 gennaio 2016); Archivio Pucci, filza 10, ins. 107, filza 118, ins. 1456; G. Bosio, Dell’istoria della Sacra Religione et ill.ma militia di S. Giovanni Gierosolimitano, Roma 1594, parte III, pp. 659 s., 858 s.; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane, III, Firenze 1673, pp. 381 s.; J.R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, t. II, Firenze 1781, pp. 146-148; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1868, Pucci di Firenze, tav. VI; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma, I, Roma 1869, p. 477; Istoria del granduca Ferdinando I scritta da Piero Usimbardi, a cura di G.E. Saltini, in Archivio storico italiano, s. 4, VI (1880), pp. 365-401; F. Bonazzi, Elenco dei cavalieri del S.M. Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, I, Napoli 1897, p. 261; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XI, Roma 1942, p. 668; F. Diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 231-233; A. Spagnoletti, Stato, aristocrazie e ordine di Malta nell’Italia moderna, Roma-Bari 1988, pp. 75-80; J. Boutier, Trois conjuractions italiennes: Florence (1575), Parme (1611), Gênes (1628), in Mélanges de l’École française de Rome, 1996, t. 108, 1, pp. 319-375 (in partic. pp. 327-343).